Tempo della fine come tempo originario»
L’espressione
sintetizza bene il concetto che si ritrova spesso nel Nuovo Testamento. Il
tempo finale come quello iniziale significa che gli eventi salvifici del futuro
sono modellati su quelli del passato. Nel Vangelo della prima domenica di
Avvento ne abbiamo un ottimo esempio con il collegamento tra i giorni di Noè e
quelli del ritorno del Figlio dell’uomo.
Come
è stato da tempo osservato, la colpa di quella generazione qui non è
individuata in mancanze gravi e precise, ma in un senso di trascuratezza che
determina uno stile di vita superficiale. Mangiare, bere e procreare non sono
certo azioni biasimevoli in sé, ma sono compiute senza alcuna percezione del
senso della vita e della storia.
L’evangelista
Matteo ha già trattato un argomento simile alla fine del discorso della
montagna, quando con la parabola delle due case metteva in evidenza la follia
di chi costruisce una casa sulla sabbia, esponendosi al rischio della rovina.
La stessa parabola di Luca ha un messaggio diverso, più moraleggiante, che richiama
l’attenzione sulla pigrizia di chi non vuole faticare per scavare le
fondamenta.
Matteo
ha invece di mira l’avventatezza di chi agisce senza pensare, di chi si illude
che basti conoscere le cose senza agire di conseguenza. Ma la conoscenza è
limitata e talvolta ci sono misteri sconosciuti a tutti, incluso il Figlio! e
obbligano a una vigilanza perenne.
*-*
Un imperativo: Vegliate
C’è una parola importante che ci viene donata, ogni anno,
all’inizio del tempo di avvento. È un imperativo che si rivolge a noi, oggi, ed
è al plurale perché vuole raggiungere chiunque voglia intendere la voce di Dio:
Vegliate! Ma perché vegliare? E che cosa vuol dire vegliare?
Vegliare, innanzitutto, per pregare
Gesù, prima di darci questo ordine, ci ha offerto un
esempio. Nei vangeli lo vediamo vegliare e pregare durante la notte (Lc 6,12).
La notte ci porta alla calma e la calma ci apre alla pace. La notte ci conduce
al di dentro di noi e questo al di dentro ci invita all’interiorità.
Nell’interiorità e nella pace colui che veglia con fede,
medita e prega. Le occupazioni del giorno sono interrotte, le distrazioni
svanite. Nel silenzio Dio può parlare. E la persona in preghiera e allora come
una lampada tranquilla che veglia nella notte, Dio le parla, la consola, la
rischiara, la nutre. Per pregare bene, bisogna vegliare.
La veglia è una costante nel cristianesimo. Ogni cristiano è
chiamato a consacrare alla preghiera una parte della notte, anche se molto
breve. Proviamo solo un attimo a pensare a tutte quelle ore che la nostra
civiltà ci induce a rubare alla notte. Quante volte esse rimangono piene di
banalità, fonte di fatica, occasione di molto rumore. Oggi veniamo invitati a
ritrovare qualcosa di essenziale: a riprendere alla notte, quello che ci ha
rubato per ricominciare, attraverso di essa, a pregare meglio.
Non basta vegliare per attendere e pregare, bisogna resistere, non venire
meno
Nel momento della grande lotta, al Getsemani, Gesù dice:
«Vegliate e pregate per non entrare in tentazione» (Mt 26,41). Il vangelo ce lo
annuncia molte volte: la venuta del Cristo coincide con una grande prova,
simile al dolore di un parto che sfocia poi nella gioia di dare alla luce una
nuova creatura. La nostra esistenza è segnata da questa lotta e la veglia del
cristiano è orientata proprio ad essa.
Il cristiano impara a far fronte a tener testa alta, a
resistere al male. Perché «il vostro nemico – ci dice l’apostolo Pietro – il
diavolo, come leone ruggente va in giro cercando chi divorare. Resistetegli
saldi nella fede» (1 Pt 5,8-9). È questa preghiera che la compieta canta, ogni
sera, aprendo la veglia della notte.
Il cristiano è un lottatore e un resistente. La tenebra
della notte è il simbolo del peccato e del mondo che perisce. Battezzati nella
speranza e nella luce, noi dobbiamo far fronte, opponendole la preghiera.
Vegliare per amare
Ma se Gesù ci invita a vegliare, non è solo per resistere al
male, ma per amare. In effetti, chi ama veglia. La madre veglia sul proprio
figlio, il padre sulla famiglia, il cristiano veglia nell’attesa amorosa di
Dio. Chi veglia nella preghiera porta in sé, nella notte, come un riflesso
della luce che viene: un primo chiarore dell’alba eterna che attende. Egli sa
che nell'alto dei cieli, come dentro di lui, nella profondità del cuore.
Qualcuno l’ama con forza e tenerezza. E veglia a quest’amore che viene.
Quindi il corpo veglia, il cuore si risveglia. Batte per
attendere Gesù. È come se diventasse interamente una sentinella. È afferrato
dal gran desiderio della vigilanza. L’amore lo fa tendere verso il Signore.
Allora la parola di Dio diventa in lui «come lampada che brilla nei vostri
cuori la stella del mattino» (2Pt 1,19).
Anche se è solo nella notte, è solidale con tutta la terra e
guarda verso l’alba del giorno nuovo.
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