sabato 26 marzo 2011

Il Quotidiano Osservatore Romano del 27 Marzo 2011


Il messaggio del Papa per l'inaugurazione del Cortile dei Gentili

Spazi di dialogo e di fraternità
tra credenti e non credenti


Si è conclusa venerdì sera, 25 marzo, a Parigi, la due giorni sul tema Illuminismo, religione, ragione comune, che ha inaugurato il Cortile dei Gentili, la struttura permanente d'incontro e di dialogo fra credenti e non credenti voluta dal Pontificio Consiglio della Cultura. La serata, svoltasi sul sagrato della cattedrale di Notre-Dame de Paris, è stata dedicata ai giovani. Nel corso dell'avvenimento dal titolo Sul sagrato dello Sconosciuto, che prevedeva momenti di musica, spettacolo, testimonianze, suoni e luci - e che si è tenuto in contemporanea alla veglia di preghiera animata dalla Comunità di Taizé all'interno della cattedrale - è stato trasmesso sui maxi-schermi il messaggio di Benedetto XVI che pubblichiamo di seguito.

Questa la traduzione del messaggio indirizzato ai giovani.


Cari giovani, cari amici!
So che vi siete riuniti numerosi sul sagrato di Notre-Dame de Paris, su invito del Cardinale André Vingt-Trois, Arcivescovo di Parigi, e del Cardinale Gianfranco Ravasi, Presidente del Pontificio Consiglio della Cultura. Vi saluto tutti, senza dimenticare i fratelli e gli amici della Comunità di Taizé. Sono grato al Pontificio Consiglio per aver ripreso e sviluppato il mio invito ad aprire, nella Chiesa, dei "Cortili dei gentili", immagine che richiama quello spazio aperto sulla vasta spianata vicino al Tempio di Gerusalemme, che permetteva a tutti coloro che non condividevano la fede di Israele di avvicinarsi al Tempio e di interrogarsi sulla religione. In quel luogo, essi potevano incontrare degli scribi, parlare della fede ed anche pregare il Dio ignoto. E se, all'epoca, il Cortile era allo stesso tempo un luogo di esclusione, poiché i "Gentili" non avevano il diritto di entrare nello spazio sacro, Cristo Gesù è venuto per "abbattere il muro di separazione che divideva" ebrei e gentili, "per riconciliare tutti e due con Dio in un solo corpo, per mezzo della croce, eliminando in se stesso l'inimicizia. Egli è venuto ad annunziare pace..." (Ef 2, 14-17), come ci dice san Paolo.
Nel cuore della "Città dei Lumi", davanti a questo magnifico capolavoro della cultura religiosa francese, Notre-Dame di Paris, un grande spazio si apre per dare nuovo impulso all'incontro rispettoso ed amichevole tra persone di convinzioni diverse. Giovani, credenti e non credenti presenti questa sera, voi volete stare insieme, questa sera come nella vita di tutti i giorni, per incontrarvi e dialogare a partire dai grandi interrogativi dell'esistenza umana. Al giorno d'oggi, molti riconoscono di non appartenere ad alcuna religione, ma desiderano un mondo nuovo e più libero, più giusto e più solidale, più pacifico e più felice. Nel rivolgermi a voi, prendo in considerazione tutto ciò che avete da dirvi: voi non credenti, volete interpellare i credenti, esigendo da loro, in particolare, la testimonianza di una vita che sia coerente con ciò che essi professano e rifiutando qualsiasi deviazione della religione che la renda disumana. Voi credenti, volete dire ai vostri amici che questo tesoro racchiuso in voi merita una condivisione, un interrogativo, una riflessione. La questione di Dio non è un pericolo per la società, essa non mette in pericolo la vita umana! La questione di Dio non deve essere assente dai grandi interrogativi del nostro tempo.
Cari amici, siete chiamati a costruire dei ponti tra voi. Sappiate cogliere l'opportunità che vi si presenta per trovare, nel profondo delle vostre coscienze, in una riflessione solida e ragionata, le vie di un dialogo precursore e profondo. Avete tanto da dirvi gli uni agli altri. Non chiudete la vostra coscienza di fronte alle sfide e ai problemi che avete davanti.
Credo profondamente che l'incontro tra la realtà della fede e quella della ragione permetta all'uomo di trovare se stesso. Ma troppo spesso la ragione si piega alla pressione degli interessi e all'attrattiva dell'utilità, costretta a riconoscere quest'ultima come criterio ultimo. La ricerca della verità non è facile. E se ciascuno è chiamato a decidersi, con coraggio, a favore della verità, è perché non esistono scorciatoie verso la felicità e la bellezza di una vita compiuta. Gesù lo dice nel Vangelo: "La verità vi renderà liberi". Spetta a voi, cari giovani, far sì che, nel vostro Paese e in Europa, credenti e non credenti ritrovino la via del dialogo. Le religioni non possono aver paura di una laicità giusta, di una laicità aperta che permette a ciascuno di vivere ciò che crede, secondo la propria coscienza. Se si tratta di costruire un mondo di libertà, di uguaglianza e di fraternità, credenti e non credenti devono sentirsi liberi di essere tali, eguali nei loro diritti a vivere la propria vita personale e comunitaria restando fedeli alla proprie convinzioni, e devono essere fratelli tra loro.
Una delle ragion d'essere di questo Cortile dei Gentili è quella di operare a favore di questa fraternità al di là delle convinzioni, ma senza negarne le differenze. E, ancor più profondamente, riconoscendo che solo Dio, in Cristo, ci libera interiormente e ci dona la possibilità di incontrarci davvero come fratelli. Il primo degli atteggiamenti da assumere o delle azioni che potete compiere insieme è rispettare, aiutare ed amare ogni essere umano, poiché esso è una creatura di Dio e in un certo modo la strada che conduce a Lui. Portando avanti ciò che vivete questa sera, contribuite ad abbattere le barriere della paura dell'altro, dello straniero, di colui che non vi assomiglia, paura che spesso nasce dall'ignoranza reciproca, dallo scetticismo o dall'indifferenza. Siate attenti a rafforzare i legami con tutti i giovani senza distinzioni, vale a dire non dimenticando coloro che vivono in povertà o in solitudine, coloro che soffrono per la disoccupazione, che attraversano la malattia o che si sentono ai margini della società.
Cari giovani, non è solo la vostra esperienza di vita che potete condividere, ma anche il vostro modo di avvicinarvi alla preghiera. Credenti e non credenti, presenti su questo sagrato dell'Ignoto, siete invitati ad entrare anche all'interno dello spazio sacro, a varcare il magnifico portale di Notre-Dame e ad entrare nella cattedrale per un momento di preghiera. Per alcuni di voi, questa preghiera sarà una preghiera ad un Dio conosciuto nella fede, ma per gli altri essa potrà essere anche una preghiera al Dio Ignoto. Cari giovani non credenti, unendovi a coloro che stanno pregando all'interno di Notre-Dame, in questo giorno dell'Annunciazione del Signore, aprite i vostri cuori ai testi sacri, lasciatevi interpellare dalla bellezza dei canti e, se lo volete davvero, lasciate che i sentimenti racchiusi in voi si elevino verso il Dio Ignoto.
Sono lieto di aver potuto rivolgermi a voi questa sera per questo momento inaugurale del Cortile dei Gentili. Spero che vorrete rispondere ad altri appuntamenti che ho fissato, in particolare alla Giornata Mondiale della Gioventù, quest'estate, a Madrid. Il Dio che i credenti imparano a conoscere vi invita a scoprirLo e vivere di Lui sempre più. Non abbiate paura! Sulla strada che percorrete insieme verso un mondo nuovo, siate cercatori dell'Assoluto e cercatori di Dio, anche voi per i quali Dio è il Dio Ignoto.
E che Colui che ama tutti e ciascuno di voi vi benedica e vi protegga. Egli conta su di voi per prendersi cura degli altri e dell'avvenire, e voi potete contare su di Lui!
Dal Vaticano, 25 marzo 2011



(©L'Osservatore Romano 27 marzo 2011)
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Da Gerusalemme a Parigi


L'intuizione di Benedetto XVI di un nuovo spazio dove laici e non credenti possano essere accolti con amicizia per condividere con chi crede la ricerca dell'unico Dio sta prendendo forma. Nella visione papale questa proposta è rappresentata dall'immagine del "cortile dei gentili" nel Tempio di Gerusalemme - dove appunto erano ammessi i pagani attratti dalla religiosità ebraica - ed è stata assunta dall'organismo curiale che si occupa del mondo della cultura con originale creatività.
Carica di simboli è stata così la scelta di Parigi - la "città dei Lumi" emblema di quella modernità contraddittoria e drammatica nata dagli ideali e dagli errori della rivoluzione francese - per l'esordio di questa iniziativa. Che senza dubbio è tra le più importanti decise da un Papa tanto mite quanto coraggioso, uomo di fede e teologo profondo, abituato sin da giovane al confronto, soprattutto nel mondo universitario, con chi è al di fuori dei confini visibili della Chiesa.
Uso dunque a esprimersi con parole comprensibili a tutti, Benedetto XVI ha voluto essere presente a Parigi con un messaggio ai giovani riuniti davanti a Notre-Dame, in uno spazio aperto oggi come venti secoli fa era accessibile ai pagani il cortile esterno del Tempio gerosolimitano. Dal grande santuario di un ebraismo sempre più caratterizzato da aspirazioni universalistiche rimanevano però esclusi i non giudei.
A cambiare tutto è stata la venuta di Cristo, quella luce vista da Giovanni che illumina ogni essere umano e ha abbattuto "il muro di separazione" tra ebrei e gentili, e dunque ogni divisione: anche quella tra credenti e non credenti. E perché non fosse reso difficile l'accesso dei pagani allo spazio loro riservato nel santuario di Gerusalemme Gesù aveva cacciato chi di questo luogo si approfittava per lucro. Per questo Benedetto XVI in molti modi si fa capire. Come hanno dimostrato, diversamente ma con straordinaria efficacia, i suoi ultimi due libri.
Ed efficaci per credenti e non credenti sono risuonate a Parigi le sue parole, rivolte ai giovani, ma più in generale alle donne e agli uomini di oggi. Il Papa ha così rinnovato l'invito che nel succedersi dei secoli e sino alla fine dei tempi la Chiesa di Cristo non si è stancata e non si stancherà di rivolgere: di non aver paura di aprire a Dio i cuori e le società. Senza timore di assumere le parole - libertà, uguaglianza, fraternità - che hanno riassunto gli ideali rivoluzionari, tante volte poi brandite con asprezza contro la Chiesa e il cristianesimo, e che pure dal cristianesimo sono nate.
Comuni sono moltissime aspirazioni di credenti e non credenti, per costruire "un mondo nuovo e più libero, più giusto e più solidale, più pacifico e più felice". Allora - dice Benedetto XVI - tra chi crede e chi non crede deve cadere, nel riconoscimento reciproco, ogni diffidenza: Dio non è un pericolo per la società e la vita umana e non lo è naturalmente la ragione, purché non si pieghi agli interessi e all'utilità, come spesso avviene. Per questo il Papa ha invitato i giovani parigini, riuniti davanti a Notre-Dame, senza distinguere tra credenti e non credenti, a non fermarsi nel cortile dei gentili. E a entrare invece nella cattedrale, dove come incenso si alzava la preghiera della sera.
g.m.v.


(©L'Osservatore Romano 27 marzo 2011)
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Appello di Benedetto XVI durante l'udienza ai fedeli della diocesi di Terni-Narni-Amelia

Un lavoro
dignitoso e stabile per tutti


"La Chiesa sostiene, conforta, incoraggia ogni sforzo diretto a garantire a tutti un lavoro sicuro, dignitoso e stabile". Lo ha affermato il Papa dinanzi alle migliaia di fedeli della diocesi di Terni-Narni-Amelia ricevuti in udienza stamane, sabato 26 marzo, nell'Aula Paolo VI.

Cari fratelli e sorelle,

sono molto lieto di accogliervi questa mattina e di rivolgere il mio cordiale saluto alle autorità presenti, alle lavoratrici e ai lavoratori e a voi tutti che siete venuti pellegrini alla sede di Pietro. Un saluto particolare al vostro Vescovo, Mons. Vincenzo Paglia, che ringrazio per le parole rivoltemi anche a nome vostro. Siete venuti numerosi a questo incontro - mi dispiace che alcuni non siano più potuti entrare -, cogliendo l'occasione del trentesimo anniversario della visita di Giovanni Paolo II a Terni. Oggi, vogliamo ricordarlo in maniera speciale per l'amore che mostrò per il mondo del lavoro; quasi lo sentiamo ripetere le prime parole che pronunciò appena giunto a Terni: "Scopo precipuo di questa visita, che si svolge nel giorno di San Giuseppe... è di portare una parola di incoraggiamento a tutti i lavoratori ed esprimere loro la mia solidarietà, la mia amicizia e il mio affetto" (Discorso alle autorità, Terni, 19 marzo 1981). Faccio miei questi sentimenti, e di cuore abbraccio tutti voi e le vostre famiglie. Nel giorno della mia elezione, mi sono presentato anch'io con convinzione come un "umile lavoratore nella vigna del Signore", ed oggi, assieme a voi, vorrei ricordare tutti i lavoratori e affidarli alla protezione di san Giuseppe lavoratore.
Terni è segnata dalla presenza di una delle più grandi fabbriche dell'acciaio, che ha contribuito alla crescita di una significativa realtà operaia. Un cammino segnato da luci, ma anche da momenti difficili, come quello che stiamo vivendo oggi. La crisi dell'assetto industriale sta mettendo a dura prova la vita della Città, che deve ripensare il suo futuro. In tutto questo viene coinvolta anche la vostra vita di lavoratori e quella delle vostre famiglie. Nelle parole del vostro Vescovo ho sentito l'eco delle preoccupazioni che portate nel cuore. So che la Chiesa diocesana le fa sue e sente la responsabilità di esservi accanto per comunicarvi la speranza del Vangelo e la forza per edificare una società più giusta e più degna dell'uomo. E lo fa a partire dalla sorgente, dall'Eucaristia. Nella sua prima lettera pastorale, L'Eucaristia salva il mondo, il vostro Vescovo vi ha indicato quale è la sorgente da cui attingere e a cui tornare per vivere la gioia della fede e la passione per migliorare il mondo. L'Eucaristia della Domenica è diventata così il fulcro dell'azione pastorale della Diocesi. È una scelta che ha portato i suoi frutti; è cresciuta la partecipazione all'Eucarestia domenicale, dalla quale parte l'impegno della Diocesi per il cammino della vostra Terra. Dall'Eucaristia, infatti, in cui Cristo si rende presente nel suo atto supremo di amore per tutti noi, impariamo ad abitare da cristiani la società, per renderla più accogliente, più solidale, più attenta ai bisogni di tutti, particolarmente dei più deboli, più ricca di amore. Sant'Ignazio di Antiochia, vescovo e martire, definiva i cristiani coloro che "vivono secondo la Domenica" (iuxta dominicum viventes), ossia "secondo l'Eucaristia". Vivere in maniera "eucaristica" significa vivere come un unico Corpo, un'unica famiglia, una società compaginata dall'amore. L'esortazione ad essere "eucaristici" non è un semplice invito morale rivolto a singoli individui, ma è molto di più: è l'esortazione a partecipare al dinamismo stesso di Gesù che offre la sua vita per gli altri, perché tutti siano una cosa sola.
In questo orizzonte si colloca anche il tema del lavoro, che oggi vi preoccupa, con i suoi problemi, soprattutto quello della disoccupazione. È importante tenere sempre presente che il lavoro è uno degli elementi fondamentali sia della persona umana, che della società. Le difficili o precarie condizioni del lavoro rendono difficili e precarie le condizioni della società stessa, le condizioni di un vivere ordinato secondo le esigenze del bene comune. Nell'Enciclica Caritas in veritate - come ricordava Mons. Paglia - ho esortato a non lasciare di "perseguire quale priorità l'obiettivo dell'accesso al lavoro o del suo mantenimento, per tutti" (n. 32). Vorrei ricordare anche il grave problema della sicurezza sul lavoro. So che più volte avete dovuto affrontare anche questa tragica realtà. Occorre mettere in campo ogni sforzo perché la catena delle morti e degli incidenti venga spezzata. E che dire poi della precarietà del lavoro, soprattutto quando riguarda il mondo giovanile? E' un aspetto che non manca di creare angoscia in tante famiglie! Il Vescovo accennava anche alla difficile situazione dell'industria chimica della vostra Città, come pure ai problemi nel settore siderurgico. Vi sono particolarmente vicino, mettendo nelle mani di Dio tutte le vostre ansie e preoccupazioni, e auspico che, nella logica della gratuità e della solidarietà, si possano superare questi momenti, affinché sia assicurato un lavoro sicuro, dignitoso e stabile.
Il lavoro, cari amici, aiuta ad essere più vicini a Dio e agli altri. Gesù stesso è stato lavoratore, anzi ha passato buona parte della sua vita terrena a Nazaret, nella bottega di Giuseppe. L'evangelista Matteo ricorda che la gente parlava di Gesù come del "figlio del falegname" (Mt 13,55) e Giovanni Paolo II a Terni parlò del "Vangelo del lavoro", affermando che era "scritto soprattutto dal fatto che il Figlio di Dio, diventando uomo, ha lavorato con le proprie mani. Anzi, il suo lavoro, che è stato un vero lavoro fisico, ha occupato la maggior parte della sua vita su questa terra, ed è così entrato nell'opera della redenzione dell'uomo e del mondo" (Discorso ai lavoratori, Terni, 19 marzo 1981). Già questo ci parla della dignità del lavoro, anzi della dignità specifica del lavoro umano che viene inserito nel mistero stesso della redenzione. È importante comprenderlo in questa prospettiva cristiana. Spesso, invece, viene visto solo come strumento di guadagno, se non addirittura, in varie situazioni nel mondo, come mezzo di sfruttamento e quindi di offesa alla stessa dignità della persona. Vorrei accennare pure al problema del lavoro nella Domenica. Purtroppo nelle nostre società il ritmo del consumo rischia di rubarci anche il senso della festa e della Domenica come giorno del Signore e della comunità.
Cari lavoratori e lavoratrici, cari amici tutti, vorrei terminare queste mie brevi parole dicendovi che la Chiesa sostiene, conforta, incoraggia ogni sforzo diretto a garantire a tutti un lavoro sicuro, dignitoso e stabile. Il Papa vi è vicino, è accanto alle vostre famiglie, ai vostri bambini, ai vostri giovani, ai vostri anziani e vi porta tutti nel cuore davanti a Dio. Il Signore benedica voi, il vostro lavoro e il vostro futuro. Grazie.


(©L'Osservatore Romano 27 marzo 2011)
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Le conclusioni del vertice dei capi di Stato e di Governo

L'Ue accelera sul debito


Fissati nuovi criteri per il risanamento dei conti pubblici

BRUXELLES, 26. La crisi dei debiti sovrani resta una grave minaccia per la stabilità dell'Eurozona. E i leader europei dettano la linea per la stesura delle prossime Finanziarie, chiedendo maggiori sforzi ai Paesi con i conti più in disordine. Paesi che - anche alla luce delle persistenti turbolenze sui mercati - sono invitati a spingere sull'acceleratore nel consolidamento dei propri bilanci. Il messaggio contenuto nelle conclusioni del vertice dei capi di Stato e di Governo della Ue è chiaro. "Il risanamento dovrebbe essere accelerato negli Stati membri che versano in una situazione di forte disavanzo strutturale o di livello del debito pubblico molto alto o in rapida crescita". Le indicazioni del Consiglio Ue sono precise: "Le politiche di bilancio per il 2012 dovrebbero mirare a ripristinare la fiducia, assicurando la sostenibilità del trend del debito e garantendo che i disavanzi siano ricondotti al di sotto del tre per cento del pil, secondo la tempistica convenuta dal Consiglio". Per ogni Paese, infatti, è stata fissata una scadenza. Nel testo si legge ancora: "A tal fine è necessario, nella maggior parte dei casi, un aggiustamento strutturale su base annua ben superiore allo 0,5 per cento del pil". Gli sforzi in materia di risanamento di bilancio - si legge inoltre nel testo - "devono essere integrati da riforme strutturali a sostegno della crescita". Tutto ciò va inquadrato nell'ambito del "semestre europeo", inaugurato all'inizio di quest'anno e finalizzato a uno stretto coordinamento tra le finanziarie dei vari Paesi. Tutti gli Stati membri, in pratica, dovranno tradurre le priorità indicate in sede Ue in misure concrete che saranno inserite nei rispettivi programmi di stabilità e nei programmi nazionali di riforma. Sulla base di tali programmi la Commissione Ue avanzerà pareri specifici, Paese per Paese, in tempo utile affinchè tali raccomandazioni possano essere adottate prima del Consiglio europeo di giugno. Raccomandazioni alle quali i Paesi dovranno attenersi. E in futuro, con la riforma del Patto di stabilità e di crescita, il rischio è quello di incappare nelle nuove, pesanti sanzioni finanziarie previste per i Paesi non virtuosi. "Quello deciso oggi è un messaggio politico chiaro ai mercati" ha affermato il cancelliere tedesco, Angela Merkel, a proposito del pacchetto anticrisi varato dal Consiglio Ue: dalla nuova governance all'inasprimento del Patto di stabilità e di crescita, alla creazione di un Fondo salva-Stati permanente, quello che nascerà dalla metà del 2013 e che già in molti chiamano Fondo monetario europeo.


(©L'Osservatore Romano 27 marzo 2011)
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In Israele e nella Striscia di Gaza

Tregua carica di tensione


TEL AVIV, 26. A tre giorni dall'attentato a Gerusalemme e a poco più di ventiquattro ore dall'ultimo raid israeliano in risposta ai lanci di razzi palestinesi, è una calma carica di tensione quella che si respira al confine tra Israele e la Striscia di Gaza. Al momento, fonti della stampa locale segnalano l'esplosione di due ordigni che, questa mattina, da Gaza hanno raggiunto il Neghev senza causare né vittime né danni materiali. Il premier israeliano Benjamin Netanyahu, ieri, dopo un incontro con il segretario alla Difesa statunitense, Robert Gates, è tornato anche ad avvertire i gruppi estremisti palestinesi attivi nella Striscia che Israele è pronto a difendersi. Il Governo israeliano - stando al giudizio degli analisti - non sembra interessato a far salire ulteriormente la tensione: Netanyahu stesso, da Mosca, dove si è recato in visita, ha parlato di una possibile "risposta misurata". Analogo il messaggio espresso dal ministro della Difesa, Ehud Barak, al termine di un sopralluogo fra le forze israeliane disposte ai margini della Striscia. "Negli ultimi dieci giorni - ha rilevato Barak - i gruppi estremisti a Gaza hanno subito colpi pesanti". Ieri, in Cisgiordania, la polizia israeliana ha aperto il fuoco ferendo un palestinese dopo che un soldato era rimasto ferito alla testa perché colpito da una pietra. Lo ha riferito la radio pubblica. Gli incidenti sono avvenuti alla stazione dell'autobus di Tomer.
Nel frattempo, fonti palestinesi riferiscono da Gaza che Hamas e la Jihad islamica sono intenzionati a sospendere le ostilità. Il presidente dell'Autorità palestinese (Ap), Abu Mazen, ha chiesto a Mosca di "fare pressione su Israele" per fermare le violenze.
Sul fronte diplomatico, dopo l'incontro con Netanyahu, il capo del Pentagono, Robert Gates, si è recato ieri a Ramallah per parlare con i rappresentanti dell'Ap. Gates ha incontrato il premier dell'Ap, Salam Fayyad. Al termine del vertice non c'è stata alcuna dichiarazione congiunta. "Questo è un momento di grande sfida nella regione" ha detto Gates. "È un momento che impone di raddoppiare le forze per perseguire la causa della pace, della giustizia e della sicurezza" ha aggiunto, ribadendo l'impegno dell'Amministrazione Obama verso l'obiettivo dei "due Stati per due popoli" che prevede l'istituzione di uno Stato palestinese, autonomo e sovrano, accanto a Israele. Anche nei suoi incontri con i vertici israeliani, nei giorni scorsi, Gates ha chiesto "iniziative coraggiose" sul fronte negoziale per rilanciare il negoziato tra le due parti, fermo da circa sei mesi. Il capo del Pentagono, tuttavia, non ha fornito alcun dettaglio in merito ai punti nodali del contenzioso.


(©L'Osservatore Romano 27 marzo 2011)
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A colloquio con il cardinale Andrea Cordero Lanza di Montezemolo

Dagli orrori di via Tasso alle Fosse ardeatine


Il padre del porporato fu una delle vittime della strage del 24 marzo 1944 e suo figlio scavò tra le macerie per ritrovare i corpi degli uccisi

di GIAMPAOLO MATTEI
Il 27 marzo ad accogliere e accompagnare Benedetto XVI nella visita alle Fosse ardeatine ci sarà anche il cardinale Andrea Cordero Lanza di Montezemolo. Suo padre, il colonnello Giuseppe, è tra le 335 vittime della strage compiuta dai tedeschi il 24 marzo 1944. Il diciannovenne Andrea fu tra i primi a scavare nella fragile pozzolana delle cave ardeatine, fatte esplodere dai tedeschi in fuga per nascondere l'eccidio, contribuendo a ritrovare i corpi delle persone uccise e partecipando in prima persona alla triste operazione del riconoscimento. Nell'intervista al nostro giornale, il cardinale apre il diario dei suoi ricordi più intimi, rivivendo quei giorni cruciali nella storia d'Italia. Lo fa con parole di perdono cristiano per gli autori della strage e con "un messaggio di speranza perché non si ripetano mai più crimini così efferati".

Qual è stato il suo primo pensiero appena saputo che il Papa avrebbe visitato le Fosse ardeatine dove suo padre è stato ucciso ed è sepolto?

Ho provato stupore, commozione, gratitudine. Stupore perché, confesso, non me l'aspettavo. Commozione perché le Fosse ardeatine sono una pagina importante della mia storia personale e anche dell'Italia intera. Stupore e commozione diventano gratitudine al Papa per aver deciso di compiere la visita. È un grande gesto. E, in fondo, è una prima volta anche per me. Mi trovavo infatti all'estero, impegnato nel servizio diplomatico della Santa Sede, quando i Pontefici Paolo VI nel 1965 e Giovanni Paolo II nel 1982 andarono alle Fosse ardeatine.

Quando suo padre venne ucciso lei aveva diciannove anni. Quali sono i suoi ricordi più vivi?

Rivivo spesso, momento per momento, quei giorni. Come fosse ora. La mia famiglia, dopo l'8 settembre 1943, è stata costretta a entrare in clandestinità. Una vita complicata, sempre con il fiato sospeso. Tra paure, trepidazione, dolore non abbiamo mai perso la speranza di vivere in un tempo migliore, senza guerre.

In clandestinità per via del ruolo di primo piano che aveva suo padre?

I tedeschi conoscevano bene mio padre. Era stato al comando supremo delle forze militari italiane e poi al fronte. Le vicende seguite al 25 luglio 1943 hanno stravolto tutto. Il generale Pietro Badoglio, nuovo capo del governo, lo ha chiamato come capo della sua segreteria particolare. L'8 settembre ecco un nuovo stravolgimento. Il generale Giorgio Calvi di Bergolo ha costituito il comando della città aperta di Roma affidandogli il settore dell'amministrazione. Ha fatto parte della delegazione che ha trattato con i tedeschi il cessate il fuoco. Pochi giorni dopo, però, i tedeschi hanno fatto prigioniere tutte le autorità. Calvi ha chiesto a mio padre di accompagnarlo in Germania, ma lui ha preferito restare a Roma, entrando in clandestinità per continuare a dare un contributo alla liberazione dell'Italia.

Da quel momento, nel settembre 1943, siete tutti entrati in clandestinità.

Sì. Mio padre ha fondato il fronte militare clandestino. Era il rappresentante del comando supremo del sud per l'Italia occupata. Un lavoro non facile, tutto alla macchia. A noi familiari ha subito chiesto di stare attenti a ogni passo. Poi è venuto il momento di scappare dal nostro appartamento di via Vico, non lontano da piazzale Flaminio. Ci ha nascosti in vari posti di Roma. Mia madre e le mie tre sorelle al collegio di Trinità dei Monti. Mio fratello maggiore e io cambiavamo spesso nascondiglio per non farci catturare. Ho vissuto a lungo nel Pontificio Collegio Ucraino al Gianicolo.

Il 25 gennaio 1944 suo padre è stato arrestato e rinchiuso nella famigerata prigione di via Tasso.

L'arresto è avvenuto in circostanze mai chiarite. Aveva documenti falsi ma il suo volto era ben noto per i ruoli di primo piano che aveva ricoperto. Nel tempo aveva assunto l'identità dell'ingegner Giacomo Cataratto e del professor Giuseppe Martini. Anche in carcere abbiamo cercato di seguirlo da vicino, restando però sempre nascosti. Ci aveva mandato a dire più volte di non farci prendere perché ci avrebbero usato come ostaggi contro di lui. Siamo riusciti a comunicare con qualche biglietto nascosto nel cambio della biancheria che gli portava un'anziana donna. Mia madre cuciva i messaggi nei colletti delle camicie.

L'attentato di via Rasella, il 23 marzo 1944, ha fatto precipitare la situazione mandando in fumo progetti e trattative per liberarlo.

I tedeschi hanno messo in atto, in ventiquattr'ore, la rappresaglia immediata dopo il disgraziato eccidio di via Rasella dove persero la vita trentatré tedeschi. In poche ore hanno prelevato prigionieri da via Tasso e da Regina Coeli e molti ebrei. Il resto è storia.

Suo padre, nel ruolo di comandante militare clandestino, aveva chiesto espressamente di evitare attentati come quello di via Rasella, soprattutto nelle grandi città. Le rappresaglie, aveva spiegato, si sarebbero abbattute anche sui civili...

Il suo ordine scritto era precisamente questo: "Nelle grandi città la gravità delle conseguenti rappresaglie impedisce di condurre molto attivamente la guerriglia". Tra le sue priorità c'era la protezione dei civili. Era certo che attentati contro i tedeschi a Roma avrebbero procurato morti inutili nelle rappresaglie. Ed è noto che su quell'azione ci siano diverse valutazioni dovute alle prospettive con cui è stata affrontata la resistenza.

La notizia certa della morte di suo padre alle Fosse ardeatine l'ha avuta solamente al momento del ritrovamento del corpo nel luglio 1944.

Sì, anche se tutto faceva pensare che fosse stato ucciso proprio alle Fosse ardeatine. Il 24 marzo 1944 il cambio della biancheria venne rifiutato a via Tasso con una frase secca: "Il colonnello Montezemolo è morto". I particolari della strage vennero fuori solo in un secondo momento. Girano voci incerte e confuse. L'esatta dimensione della tragedia non venne percepita subito, anche perché i tedeschi erano ancora a Roma. In quei giorni di guerra le comunicazioni erano quelle che erano.

Lei fu tra i primi a scavare tra le macerie causate dalle mine fatte esplodere dai tedeschi per nascondere i corpi delle vittime.

Ho vissuto molto da vicino, per tutta l'estate del 1944, la parte del ritrovamento e del riconoscimento delle vittime. È stata un'operazione laboriosa che ha visto una partecipazione eccezionale. È vero, i tedeschi avevano fatto esplodere due mine per chiudere l'ingresso delle cave e nascondere il luogo della strage. Scavando e facendo un lungo giro siamo finalmente potuti arrivare al luogo dell'eccidio. Tirare fuori i corpi non è stata un'operazione facile. Sia dal punto di vista tecnico che umano. Vedendo tutti quei corpi ammassati ho provato un senso di orrore e di pietà oltre ogni immaginazione che, dopo tutti questi anni, è rimasto in me.

Come avete proceduto al riconoscimento dei corpi?

L'opera molto attenta, delicata, capace, è stata condotta dal medico legale Attilio Ascarelli, ebreo. È riuscito a identificare quasi tutte le 335 vittime, nonostante lo stato di corruzione fosse avanzato. Sono andato tutti i giorni a seguire da vicino il lavoro, dando il mio contributo. A ogni famiglia che temeva di avere un congiunto tra le vittime è stato chiesto di riempire un formulario per fornire tutti gli elementi utili per l'identificazione. Per quanto riguarda mio padre, sapevo da mia madre che indossava una camicia con le iniziali cucite sul petto. Poi ho riconosciuto l'anello nuziale.

Come ricorda suo padre?

Il suo profilo è delineato nell'ultimo biglietto che è riuscito a farci arrivare dalla cella di via Tasso. Ha scritto alla moglie parole tenerissime: "Non sapevo di amarla tanto e rimpiango solo lei e i figli". E poi: "Confido in Dio. Però occorre aiutarsi. Io non posso che resistere e durare. Lo farò per quanto umanamente possibile".

Quando è stato ucciso aveva quarantatré anni.

Sì, era nato nel 1901. Fatta la prima guerra mondiale come volontario negli alpini era divenuto ingegnere civile e poi aveva intrapreso con successo la carriera militare. Di lui ho ben presente idealità e signorilità. Era un uomo che si imponeva per equilibrio, valori, saggezza, vissuti con una certa rigidità mista ad affabilità. Ricordo che aveva il cruccio di stare poco in famiglia ma quegli anni così difficili, fatti di tensioni politiche e di guerre, lo avevano portato spesso lontano da casa. Noi cinque figli lo vedevamo soprattutto all'ora dei pasti. Si preoccupava molto per i nostri studi.

È anche per proseguire il servizio di suo padre che lei è andato volontario nella guerra di liberazione?

Ho creduto giusto dare il mio contributo al bene della patria. Sono stato, per pochi mesi in verità, con un raggruppamento militare del genio che aveva preso proprio il nome di mio padre. Intanto mi ero iscritto alla facoltà di architettura e, finita la guerra, mi sono laureato e ho svolto questa professione per dieci anni, fino a quando mi ha sorpreso quella realtà misteriosa che è la vocazione al sacerdozio. Tornando alle motivazioni della mia esperienza come volontario nella guerra di liberazione, prima di fare l'architetto e il sacerdote volevo intraprendere la carriera militare che nella mia famiglia era l'opzione quasi obbligata e indiscussa. Mio fratello nel 1942 era entrato nell'accademia e diventato ufficiale. L'anno dopo avrebbe dovuto essere il mio turno. Già, avrei dovuto presentarmi a Modena e fare la visita medica per l'ammissione all'accademia militare proprio la mattina dell'8 settembre 1943. Ricordo che mio padre, nei giorni precedenti, mi disse di non muovermi da Roma per nessuna ragione. Non capivo la sua raccomandazione così ferma. Mi arrabbiai, obiettando che così mi avrebbe fatto perdere un anno di tempo. Lui fu irremovibile. Poi ho capito perché. Avevo diciannove anni, un'età che forse ancora non dà la capacità di valutare in pieno la realtà.

Lei ha collaborato anche con Pierluigi Nervi, come valuta il monumento che custodisce le tombe delle vittime e ricorda la strage?

È un'opera realizzata con abilità che ha saputo mantenere il giusto equilibrio, dando un senso di spiritualità. Subito dopo la fine della guerra il comune di Roma ha bandito un concorso per la sistemazione delle cave ardeatine e la costruzione del monumento. Il primo concorso d'architettura nell'Italia liberata. Purtroppo ero troppo giovane per partecipare, non ero neppure laureato. Ai vincitori venne assegnato l'incarico di un progetto comune per la costruzione del cosiddetto sacrario, la sistemazione del piazzale e il consolidamento delle gallerie fatte esplodere dai nazisti dopo l'eccidio. Il monumento è stato inaugurato il 24 marzo 1949.

Come trova la sistemazione delle tombe, allineate l'una accanto all'altra, sotto una grande lastra di cemento che le rende quasi un'unica sepoltura?

È una sistemazione ottimale perché dà un effetto di fratellanza, senza cadere nella retorica. L'idea di base, molto semplice ma eloquente, è una pietra tombale unica, priva di enfasi celebrativa, solenne, silenziosa ed espressiva. La grande lapide rende al meglio valore e significato del fatto e del posto. Riguardo alle gallerie di accesso, va ricordato che sono di pozzolana fragile e non di tufo compatto come le vicinissime catacombe. Dunque sono cave molto precarie e la sistemazione ha tenuto conto dei rischi di crollo.

Un monumento che mette tutti d'accordo: ebrei e cristiani, credenti e non credenti.

Alle Fosse ardeatine si respira un senso di fratellanza nella morte. Non è mai venuto meno il rispetto reciproco né hanno trovato spazio rivendicazioni o contrasti religiosi. Le rievocazioni sono state organizzate senza problemi, in piena solidarietà e collaborazione. Davvero la morte ha accomunato persone diverse tra loro rendendole, per sempre, come fratelli. Ricordo che già al riconoscimento delle vittime erano presenti un sacerdote e un rabbino per la benedizione.

Veniamo alla figura di Pio XII. Qual è la sua valutazione sulle polemiche che lo hanno investito? Cosa si pensava del Papa negli anni che lei ha vissuto a Roma in clandestinità?

Non c'è dubbio che sia stata messa in atto un'enorme speculazione. Così come non c'è nessun dubbio che l'opera di Pio XII sia stata, al di sopra di ogni sospetto, dalla parte di tutti i perseguitati. Trovo giusto lasciare la parola agli storici. Mi pare, comunque, che gli studi più seri e approfonditi confermino ciò che i testimoni diretti sanno da sempre.

Quali sentimenti nutre verso gli autori della strage? C'è un perdono possibile?

In una visione cristiana non c'è che il perdono. Un atteggiamento che non porta a dimenticare o giustificare. La giustizia deve fare il suo corso, è evidente. Umanamente però è inutile continuare a perseguire chi si è macchiato di crimini così gravi. Per il cristiano il perdono è un atto di amore che non chiede nulla in cambio.

Ha mai contattato Erich Priebke, principale collaboratore di Herbert Kappler nella strage, e che ora, a novantotto anni, vive a Roma agli arresti domiciliari?

Personalmente no. Le Fosse ardeatine ci hanno fatto prendere strade molto diverse. Una delle mie sorelle ha scambiato lettere con Priebke. Gli ha fatto sapere che la morte di nostro padre resterà sempre una ferita. In realtà è un'amputazione. La ferita si rimargina, l'amputazione resta. Come famiglia consideriamo del tutto inutile infierire su quanti hanno ucciso nostro padre. Abbiamo scelto il perdono e non la vendetta.

Trova un collegamento con la visita di Benedetto XVI nel 2006 ad Auschwitz?

Alle Fosse ardeatine il Papa farà una visita privata che non vuole dare nessun richiamo speciale se non ai valori fondamentali dell'amore cristiano che supera ogni nazionalità. È un atto di omaggio, di fronte alla storia, a persone che non vanno dimenticate. Un abbraccio nella preghiera alle vittime di tutte le guerre. La sua presenza sarà un nuovo conforto per i familiari delle vittime e la conferma che quel sacrificio non è stato inutile. È il gesto di un padre.

Ad accogliere il Papa ci saranno i familiari delle vittime. Quali sono i rapporti tra voi?

Ricordo i giorni del riconoscimento dei corpi. Vedevo il dolore sui volti di genitori, mogli, figli, fratelli, sorelle, amici... Eppure c'era un clima di grande fratellanza, di solidarietà. Nessuno faceva distinzioni religiose o politiche. Col tempo ci si è persi di vista. Non ho mantenuto rapporti personali. Oggi, poi, i familiari diretti ancora vivi sono davvero pochi. Devo dire che, dopo aver lasciato il servizio diplomatico, ho avuto la possibilità di essere più presente alle cerimonie. In queste occasioni ho incontrato il presidente della Repubblica, Giorgio Napolitano, sempre molto attento, puntuale, rispettoso nel mettere in evidenza i valori che le Fosse ardeatine esprimono ancora oggi.

Com'è stata la commemorazione di giovedì scorso?

Ho visto il presidente Napolitano particolarmente commosso. È stata una buona idea far partecipare all'incontro numerose scolaresche, venute da diverse parti d'Italia. Sono commemorazioni semplici ed eloquenti. Vengono letti, a uno a uno, i nomi delle vittime. Si recitano preghiere cristiane ed ebraiche. Non ci sono speculazioni partitiche.

Cosa rappresentano le Fosse ardeatine, anche nella prospettiva delle celebrazioni per i 150 anni dell'unità d'Italia?

Il valore della memoria consiste nell'imparare l'essenziale dalle generazioni che ci hanno preceduto: fare nostro ciò che ci insegna la storia e stare attenti a non ripetere gli errori del passato. Purtroppo nelle guerre di fatti simili ce ne sono stati. Tanti. Persino con un numero maggiore di vittime. Ognuno di questo crimini è una pagina di storia che parla, particolarmente alle nuove generazioni.

Nella vicenda di suo padre, e non solo, collegata alle Fosse ardeatine c'è la prigione di via Tasso. Cosa significa per un figlio visitare il luogo dove il padre è stato detenuto e crudelmente torturato?

A via Tasso ho rivissuto, interiormente, la prigionia di mio padre e i suoi ultimi cinquantotto giorni di vita passati in detenzione. Ho avvertito la consapevolezza che se il Signore ha permesso una tragedia così inumana, saprà tirarne fuori beni maggiori. Per me, lo confesso, è stata un'esperienza dura visitare i locali dell'edificio che, nei nove mesi dell'occupazione nazista di Roma, venne utilizzato come carcere dal comando della polizia di sicurezza. Le celle di detenzione sono ancora come furono lasciate dai tedeschi in fuga. Una visita che mi ha reso ancor più convinto che fare memoria delle vittime significa anche fare in modo che non si ripetano più simili crudeltà.

C'è una significativa coincidenza di date che la riguarda. Nel 2006, proprio il 24 marzo, esattamente sessantadue anni dopo la strage, lei è stato creato e pubblicato cardinale da Benedetto XVI. Cosa ha provato quel giorno a San Pietro?

Per me è un collegamento impressionante. Dal 1945, ogni 24 marzo con i miei familiari andiamo alle Fosse ardeatine per pregare. Siamo in tanti: ho un fratello, tre sorelle, sedici nipoti, venti pronipoti e due pro-pronipoti. Anche nel 2006 avevamo già fatto il nostro programma quando è arrivata la nomina cardinalizia. A San Pietro, vestito di porpora, il colore del sangue che rammenta il martirio, ho portato con me anche il ricordo del sacrificio di mio padre. È un altro motivo di gratitudine a Benedetto XVI.


(©L'Osservatore Romano 27 marzo 2011)
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Giovanni Fagiolo, Giuseppe Perrinella e Enrico Bolis furono i primi a vedere le cataste di cadaveri

Quando il sospetto
divenne realtà


di FRANCESCO MOTTO
Il 25 marzo 2010 moriva don Giuseppe Perrinella, il salesiano che lo stesso giorno del 1944 ebbe la triste ventura di essere il primo a vedere le vittime innocenti della rappresaglia nazista, seguita all'attentato di via Rasella del 23 marzo precedente.
Come è noto, nel primo pomeriggio del 24 marzo, 335 uomini e giovani prelevati dal carcere di Regina Coeli e dal quartiere generale dei nazisti di via Tasso, furono caricati su autocarri e portati nelle vecchie cave di arenaria di via Ardeatina, dove i salesiani delle comunità residenti sul territorio delle vicinissime catacombe di san Callisto erano più volte entrati d'estate, soli o con i ragazzi, alla ricerca di un po' di frescura.
Più di uno di loro dall'alto del terrapieno poté quel pomeriggio osservare sia i soldati tedeschi bloccare le vie d'accesso, sia i camion arrivare carichi di uomini. Il fiammingo Van der Wijist, guida delle catacombe, venne con minacce allontanato dal suo posto di osservazione. Così anche il collega ungherese Luigi Szenik. L'uccisione vera e propria delle vittime durò dalle 15.30 alle ore 20, cui seguirono potenti esplosioni, udite distintamente dai salesiani. L'esecuzione, comunicata dall'agenzia Stefani già nella notte del 24 marzo, fu poi confermata il giorno seguente dall'Ente italiano per le audizioni radiofoniche (EIAR) e dai giornali. La prima conferma dell'avvenuto eccidio l'ebbe il sabato mattina 25 marzo il succitato salesiano laico Luigi Szenik direttamente attraverso una breve conversazione con due soldati tedeschi rimasti di guardia la notte alle cave e, indirettamente, carpendo parte della telefonata che un sottoufficiale tedesco fece a fine mattinata al suo comando all'apparecchio telefonico situato proprio presso il banco di vendita degli oggetti religiosi delle catacombe.
La guida ungherese non riuscì a mantenere per sé il terribile segreto, per cui verso le ore 15, una volta partiti per le loro case gli alunni esterni dell'Istituto san Tarcisio, don Giovanni Fagiolo invitò il chierico Giuseppe Perrinella e il laico Enrico Bolis a fare un sopralluogo alle cave.
Vista ostruita la galleria di sinistra, il terzetto si inoltrò per quella di destra, completamente libera. A pochi metri dall'entrata notarono un filo rosso coperto da polvere. Sollevandolo passo dopo passo, lo seguirono per una trentina di metri, dove un cumulo di terra, dell'altezza superiore ai due metri, bloccava in parte il tratto di galleria che metteva in comunicazione con l'altra. Arrampicatosi sul terrapieno, dall'alto il giovane chierico vide appoggiata, sulla parete interna, una scala, dalla quale scese non appena don Fagiolo lo ebbe raggiunto in cima al cumulo di terra.
Con l'aiuto di una candela videro i cadaveri, sovrapposti in più strati, mal coperti da pozzolana e terriccio. Il sospetto era diventato realtà.
Tornati all'istituto, avvisarono il loro direttore, don Umberto Sebastiani, che si premurò di notificare alle autorità religiose la macabra scoperta.
Domenica 26 marzo fu ancora lo stesso Szenik ad andare, accompagnato da altri, a raccogliere metri di filo utilizzato dai tedeschi per accendere le mine, mentre a fine mattinata Van der Wijist portò dei fiori. Col lunedì 27 marzo, i tedeschi avevano abbandonato definitivamente il luogo dell'eccidio, per cui i giorni seguenti vari salesiani visitarono le grotte, senza arrivare però al luogo delle salme. Rilevarono solo la provenienza del fetore di cadaveri, assieme a quello di cumuli di immondizia portata per coprire il nauseabondo odore dei corpi in putrefazione.
Il 30 marzo vari salesiani, accompagnando i due fratelli Gallarello, si inoltrarono lungo le cave, finché si parò loro dinanzi la raccapricciante visione delle cataste dei cadaveri.
L'intera mattinata del 31 marzo, assieme a una studentessa di medicina, don Ferdinando Giorgi e un amico procedettero con maschere e fanali a un minuzioso sopralluogo.
Lo stesso accadde al pomeriggio a due membri della Resistenza: don Michele Valentini e l'avvocato Umberto Gazzoni, che con due periti medici e due ragionieri, grazie a uno stratagemma, poterono superare l'ostacolo dei carabinieri della Garbatella ormai presenti sul posto.
Nonostante severe disposizioni, il luogo della strage, ormai pienamente individuato, divenne meta di continui pellegrinaggi da parte delle famiglie che avevano congiunti arrestati o deportati.
Allarmati, i tedeschi il sabato pomeriggio, 1° aprile, con alcuni operai italiani, fecero brillare varie mine che, sfondando la volta delle gallerie, impedirono definitivamente l'accesso alle medesime. Passavano i giorni e non si precisavano né le modalità dell'esecuzione né i nominativi dei giustiziati. I tedeschi si rifiutavano di pubblicare la lista. L'ambasciata tedesca si dichiarò estranea ai fatti. Da via Tasso nessun elenco.
Don Tomasetti, però, ebbe modo di entrare in possesso di una lista dei nominativi delle vittime prelevati dal carcere di Regina Coeli. La fece immediatamente pervenire al Pontefice tramite il principe Carlo Pacelli, nipote del Papa e consigliere generale dello Stato della città del Vaticano.
Anche don Virginio Battezzati, direttore della comunità di san Callisto, ebbe copia di tale lista, potendo così rispondere a chi veniva a cercare notizia di congiunti. Ma sparsasi la notizia, fu "avvisato" di non dare informazioni, e di non parlarne.
Invero non tutti vissero "nel riserbo col parlare e coll'agire". Forse qualche imprudenza di troppo fece sì che don Giorgi entrasse nel mirino dei tedeschi. Il suo zelo sacerdotale lo faceva andare sovente davanti alle cave a portare conforto a donne, madri e spose che stavano là in lacrime. Si univa alle loro preghiere. E certamente lo fece in occasione della trigesima della strage, quando un tappeto di fiori e una corona d'alloro vennero posti all'imbocco delle cave. Avvisato in tempo, si allontanò da Roma il 17 maggio.
Non così don Valentini che, pur ricercato dalle SS, più volte si incontrò presso le cave ardeatine - ormai diventate "Fosse" - con monsignor Respighi, per trovare una soluzione al problema delle salme, le quali, anche dopo l'arrivo degli alleati il 4 giugno, continuavano a rimanere colà insepolte.
Si volevano seppellirle almeno provvisoriamente dentro le catacombe accanto ai "martiri cristiani". Ma si rispose che non era conveniente.
Solo a fine luglio si iniziò la rimozione delle salme che, ricomposte e identificate, furono benedette dal padre Umberto di san Sebastiano, da un rabbino e pure da don Battezzati, scioccato nel vedere "lo stato di quei corpi che avevano la nuca fracassata e le altre membra che parevano intatte".


(©L'Osservatore Romano 27 marzo 2011)
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A Washington il convegno dell'Ecumenical Advocacy Days

Il cambiamento viene dalle donne


di RICCARDO BURIGANA
L'Ecumenical Advocacy Days (Ead) è un organismo ecumenico che raccoglie Chiese, comunità cristiane e associazioni. Esso si fonda sull'idea che tutti coloro che desiderano farne parte devono accettare di condividere alcune regole minime in uno spirito ecumenico che invita a manifestare l'unità dei cristiani nell'azione quotidiana. Così, ai membri della Ead è chiesto di riconoscersi reciprocamente a partire dalla centralità del fondamento biblico nell'esperienza cristiana. E anche dall'impegno per la promozione della giustizia, della pace e della salvaguardia del creato come parte essenziale e irrinunciabile dell'annuncio evangelico. La Ead, infatti, si propone di rafforzare la voce dei cristiani nella società su questi temi, grazie a una riflessione teologica, alla preghiera, alla realizzazione di progetti comuni, non limitandosi agli Stati Uniti, dove l'organizzazione è nata e dove si trovano la stragrande maggioranza dei suoi membri. Nella sua azione, inoltre, la Ead pone particolare attenzione alle istituzioni politiche alle quali vengono rivolti così appelli e sottoposte richieste nella convinzione che un loro coinvolgimento assicuri maggiori possibilità di successo a alcune istanze, soprattutto nella lotta per la pace, portate avanti dall'organizzazione fin dalla sua creazione.
Tra le molte iniziative, che configurano l'azione della Ead, spesso in prima linea nella denuncia della guerra, delle ingiustizie economiche e sociali e delle loro conseguenze per il futuro del mondo, si colloca il suo convegno annuale, giunto alla nona edizione. Per alcuni giorni membri e sostenitori della Ead s'incontrano per discutere un tema, cercando di individuare nuove forme per favorire la realizzazione dello scopo per il quale è stata creata l'organizzazione, che continua a raccogliere nuovi membri, che sempre più si riconoscono in questa forma di ecumenismo. Tanto che ne fanno parte delle comunità ecclesiali nazionali, come i luterani degli Stati Uniti, gli episcopaliani, i presbiteriani, l'unione metodista. Come pure, comunità religiose cattoliche, come le Oblate missionarie di Maria immacolata, i frati francescani minori, associazioni, come Pax Christi, e la Rete per la fede e la giustizia in Africa. Fino a organizzazioni ecumeniche nazionali, come il Consiglio delle Chiese cristiane degli Stati Uniti e la Commissione ecumenica per la pace nel Medio Oriente, e internazionali, come il Consiglio ecumenico delle Chiese.
L'incontro del 2011 si tiene in questi giorni - dal 25 al 28 marzo - a Washington. Ed è dedicato a "Development, Security and Economic Justice: What's Gender Got to Do with It?", con un esplicito richiamo a un passo dell'Antico Testamento (Proverbi, 31) per rendere evidente che con questo convegno si vuole proseguire la riflessione sul ruolo della donna nella società contemporanea, fondandola sulla lettera della Bibbia. Per invitare i cristiani, proprio alla luce delle tradizioni bibliche, a farsi promotori della riscoperta delle ricchezze della donna, che, spesso ignorate, impediscono la soluzione di tanti problemi nelle comunità religiose e nella società.
La riscoperta di queste ricchezze, che sono in grado di produrre dei profondi cambiamenti nella società, nella comunità religiosa e nella famiglia, nella fedeltà di quanto le sacre Scritture indicano in tanti episodi, consente anche di mettere fine alle violenze che spesso hanno accompagnato, e in alcuni Paesi ancora accompagnano, la vita della donna, condannandola a un ruolo di povertà ed emarginazione. Nella presentazione di questo incontro, il comitato direttivo della Ead - composto dalla presbiterana Catherine Gordon, da Wesley Pat Pattilo del Consiglio nazionale delle Chiese di Cristo, da Marty Shupach della "Chiesa a servizio del mondo" e da Russ Testa della rete delle comunità francescane statunitensi - ha posto l'accento sul fatto che le donne rappresentano una formidabile forza di cambiamento, le cui potenzialità devono essere ancora completamente espresse. Si tratta, quindi, di proseguire nella riflessione che già coinvolge molte realtà nel mondo, sul ruolo delle donne per assicurare loro quella sicurezza e quella libertà senza le quali sarebbe molto più difficile promuovere uno sviluppo sociale ecologicamente sostenibile, come pure una giustizia, un'economia e la pace secondo quanto la Bibbia e le tradizioni cristiane chiedono alle comunità del XXI secolo.
I cristiani, infatti, non possono più accettare l'idea che il 70 per cento di coloro che vivono nella povertà siano donne. Quindi devono mettere in campo ogni tipo di azione per denunciare questa situazione e rimuovere le cause che l'hanno determinata. A partire dagli Stati Uniti, come ha detto Douglas Grase, coordinatore della Ead, per il quale uomini e donne devono contribuire insieme a questo cambiamento di mentalità e di condizione che apre delle prospettive per migliorare la qualità della vita di tutta la società. Agli oltre 700 partecipanti al convegno di Washington viene proposto un intenso programma che prevede delle relazioni sull'azione dei cristiani in favore della giustizia e della pace, sul ruolo delle donne nella società contemporanea, sulle vicende storiche della discriminazione delle donne. E, anche, sulle radici bibliche per una nuova riflessione sul ruolo delle donne e della famiglia. C'è poi largo spazio per i gruppi di lavoro, caratterizzati soprattutto dalla condivisione di esperienze concrete, sulla condizione delle donne in Africa e nell'Estremo oriente e sulle conseguenze che la crescente militarizzazione sta avendo sulla vita delle donne, le quali pure giocano un ruolo fondamentale nei processi di riconciliazione, come è il caso della Corea. Riflettori puntati anche sugli Stati Uniti, con particolare attenzione alle conseguenze della riforma sanitaria sulle donne. Sull'America Latina, con una sempre maggiore presenza delle donne nella vita politica, non solo nelle istituzioni ma anche nelle associazioni impegnate per l'affermazione dei diritti umani. E sul Medio Oriente, dove i cristiani sono chiamati a confrontarsi con altri modelli, soprattutto con quelli ispirati alla religione islamica.
Altri gruppi affrontano aspetti più generali, legati a progetti portati avanti dai cristiani per favorire la crescita di una giustizia economica sempre più estesa e per rafforzare l'impegno per la pace e la salvaguardia del creato, con le quali testimoniare la volontà dei cristiani di incidere sul presente e sul futuro della società in nome di valori e tradizioni condivise.
Non mancano momenti di preghiera ecumenica, come la liturgia domenicale, presieduta dalla pastora morava Peg Chemberlin, presidente del Consiglio nazionale delle Chiese cristiane degli Stati Uniti.
Nel corso del convegno si tiene anche la riunione annuale dell'Africa Faith e Justice Network (Afjn), che manifesta l'impegno di una pluralità di soggetti, prevalentemente del mondo cattolico, per la costruzione della pace, l'affermazione dei diritti umani e la costruzione della giustizia sociale in Africa. La Afjn opera grazie a una stretta collaborazione con numerose congregazioni missionarie presenti in Africa, con il chiaro intento di mobilitare delle risorse economiche e di rafforzare una politica estera negli Stati Uniti concretamente volta a combattere la povertà in Africa, per mettere fine ai conflitti locali, promuovere le regole economiche in grado di favorire il commercio e gli investimenti e per definire piani di sviluppo eco-sostenibili. Come ha ricordato recentemente il suo direttore, il sacerdote saveriano Rocco Puopolo, la Afjn, che fonda la propria azione sulla dottrina sociale della Chiesa, è venuta sviluppando un'intensa attività ecumenica con la condivisione di istanze e prospettive che testimoniano la volontà dei cristiani di essere sempre più costruttori di pace nel mondo.


(©L'Osservatore Romano 27 marzo 2011)
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In un volume le omelie rivolte ai sacerdoti da Roberto Amadei per diciotto anni vescovo di Bergamo

Immagine del Buon pastore


Nel "sì" l'icona del Buon Pastore è il titolo di un volume che raccoglie, con la prefazione del cardinale Angelo Scola, le omelie che il compianto vescovo di Bergamo, Roberto Amadei, ha rivolto ai sacerdoti della diocesi (Venezia, Marcianum Press, 2011, pagine 376, euro 29). Pubblichiamo quasi integralmente la premessa, a firma del suo successore alla guida della Chiesa bergamasca.
di FRANCESCO BESCHI
Ogni vescovo diocesano raccoglie nella propria diocesi l'eredità che gli viene trasmessa, dentro il popolo santo di Dio, dai suoi predecessori. Ciò diventa vero in modo tutto particolare verso il vescovo predecessore immediato: quando egli affida, al nuovo vescovo, il bastone pastorale, segno della cura intensa svolta per anni nella guida del popolo di Dio, gli confida contemporaneamente l'amore per quella Chiesa particolare che è la diocesi, le gioie, le ansie, le speranze che ha vissuto in quella realtà di uomini e di donne, raccolti da Cristo intorno al Vangelo e all'Eucarestia, nella forza dello Spirito Santo.
Quando il 15 marzo 2009 monsignor Roberto Amadei mi ha consegnato il bastone pastorale, in mezzo ai preti di Bergamo, raccolti in concelebrazione eucaristica per l'inizio del mio ministero episcopale nella diocesi, ho sentito che egli mi consegnava una delle sue attenzioni più intense, uno dei suoi affetti più appassionati, una delle sue cure più sentite, amate e talvolta sofferte: quella per i preti.
Docente di storia ecclesiastica e di patrologia e contemporaneamente prefetto agli studi nella Scuola teologica del seminario vescovile di Bergamo, rettore dello stesso per nove anni, monsignor Roberto Amadei maturò fino all'ordinazione episcopale un'esperienza profonda, pensata, adeguata alle necessità dell'oggi sulla vita dei presbiteri. Leggendo la preziosa raccolta di omelie per le ordinazioni dei presbiteri e per la messa crismale del giovedì santo, tenute da monsignor Roberto Amadei durante i diciotto anni del suo ministero episcopale a Bergamo, si percepisce subito la passione educativa, la riflessione teologica e spirituale, il profilo alto della proposta di vita per il presbitero, diventati nella mente del vescovo uno stile, un habitus mentale, sempre rinnovato, sempre ricondotto alle radici, sempre proposto con efficacia.
Proprio sulla scorta di una personale esperienza di vita presbiterale e di un diuturno accompagnamento dei giovani candidati al sacerdozio, l'affermazione insistente e insistita della centralità dell'incontro con Cristo appare la più frequente: essa infatti è essenziale e fondamentale. Se lo studio della storia della Chiesa aveva convinto monsignor Amadei della necessità di una continua riforma della Chiesa proprio nella linea di una continua conversione a Cristo, la vita del prete, discepolo di Cristo e suo apostolo nella comunità, non può essere che orientata a Lui, al Maestro, al Verbo incarnato. L'Eucarestia, la liturgia delle ore, la meditazione della Parola, ma insieme una relazione profonda con Cristo, che entra nel vissuto, lo plasma in ogni atteggiamento, rende il presbitero pastore in Cristo e come Cristo. Il presbitero dunque nella sua personale relazione a Cristo nutre e suscita la vita apostolica, offre il suo significativo contributo alla costruzione della Chiesa - la comunità che nel tempo si raduna intorno a Cristo - vive e respira di Lui, lo rende presente nel mondo, nella storia, ne è l'incarnarsi oggi.
Leggendo le omelie che di anno in anno si sono succedute si scorge la profonda speranza che il vescovo Roberto nutriva nei giovani preti; non certo perché li ritenesse giovanilisticamente protagonisti di stili stravaganti di ministero, ma perché riteneva i giovani preti capaci di lasciarsi plasmare dallo Spirito Santo, e di diventare annunciatori del Vangelo, strumenti validi per una Chiesa che obbedisce alla forza dello Spirito Santo. "Non contristate lo Spirito che è in loro" fu il motivo conduttore della prima omelia per l'ordinazione presbiterale: lo Spirito di Cristo guida e conduce chi a esso realmente si affida, plasmando in lui l'immagine di Cristo; e chi obbedisce allo Spirito sa cogliere l'essenziale, rinnovare le strutture della Chiesa, essere attento alle realtà che lo Spirito crea nel cuore dei credenti e nelle comunità cristiane.
Il tema della comunione profonda con Cristo come possibilità unica di dialogo si fa sempre più frequente nello scorrere degli anni: segno dell'attenzione che il vescovo Roberto poneva alla complessità delle situazioni nella società. Solo il riferimento a Cristo rende il presbitero capace di una lettura attenta, profonda, mai faziosa, mai pessimistica; e solo l'unione con Cristo consente alla fine un dialogo sincero con chiunque sull'uomo, sulla sua vocazione, sulla sua dignità, sul senso della sua vita; dialogo che monsignor Amadei raccomandava fosse possibile e doveroso verso ognuno, verso ogni situazione.
Ho notato con passione e con commozione la lettura che monsignor Amadei ha fatto dello stile presbiterale nei grandi temi del celibato, della povertà, dell'obbedienza: è sempre il Maestro, Cristo, a plasmare in noi gli atteggiamenti che sono i suoi, che lo rendono vero, amabile, autentico, che lo fanno riconoscere come "il Signore". È delicato e profondo il linguaggio che monsignor Roberto usa nel descrivere, nel presentare, nel far appassionare allo stile dei consigli evangelici, che egli identifica in fine come lo stile delle Beatitudini. Non decade mai il linguaggio in esemplificazioni alla fine banali. È sempre la forza del Maestro a suggerire al presbitero la forza di uno stile evangelico che renda quasi naturalmente pastori. E si direbbe che con il passare degli anni, mentre le indicazioni sui grandi temi della vita personale del presbitero, sulla sua santità, si fanno ampie e di vasto respiro, è sempre di più l'essenziale fonte della preghiera come dimensione insostituibile, diuturna e confidenziale di incontro con il Maestro a essere indicata, sottolineata, raccomandata in modo quasi accorato. La lettura delle omelie di monsignor Roberto Amadei, mio predecessore come vescovo di Bergamo, mi ha comunicato l'intenso amore a Cristo che egli ha vissuto; e mi ha comunicato la sincera passione per il ministero presbiterale, che egli ha vissuto in modo esemplare, e che ha amato nei suoi preti, ai quali ha dedicato tutto nella sua vita.


(©L'Osservatore Romano 27 marzo 2011)
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