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Si
può sperare solo insieme
di Enzo Bianchi
Il tempo scorre inesorabilmente, un altro anno è passato, ed ecco ne
inizia uno nuovo, al quale quasi sempre leghiamo attese, speranze; ma
soprattutto, rimandiamo all’anno che inizia ciò che dovevamo fare e non abbiamo
ancora fatto.
Anche questo però dipende dalle stagioni della vita che viviamo, perché con
il passare degli anni si impone sempre più davanti a noi il principio della
realtà: e così siamo posti di fronte alle difficoltà incontrate, ai progetti
caduti nel vuoto, a sogni che si mostrano illusori, a fallimenti ineludibili…
Vengono inoltre meno le energie e gli entusiasmi della giovinezza e appaiono le
tentazioni, prima sconosciute, connesse al crescente cinismo.
Così il passare del tempo ci opprime, «non abbiamo più tempo», ripetiamo
spesso, anche a causa della dittatura dei tempi della tecnica e
dell’informatica, e finiamo per non vivere più nel tempo ma nell’accelerazione
del tempo. Abitare il tempo significa invece abitare ciò che viviamo, ritrovare
il senso della durata, darsi tempo per guardare indietro, in avanti, e dunque
per considerare con sapienza il presente, assumendo la realtà: in una parola,
siamo chiamati a fare del tempo il luogo, lo spazio della vita. Ed ecco che
allora, finalmente, il tempo si manifesta come il senso della vita.
Si tratta perciò di combattere l’alienazione creata all’idolo del tempo che
ci domina: non solo nella forma del “non avere tempo” ma – come si dice con
superficialità – nella convinzione che “il tempo è denaro”, generatore
simbolico di tutti i valori e perciò non più mezzo ma fine che determina i
bisogni e la produzione per soddisfarli.
La sapienza afferma: «Impara a contare i tuoi giorni e il tuo cuore
discernerà la sapienza». Sì, ci è chiesto di contare i giorni, cercando di
rispondere alla prima domanda presente nel grande codice della Bibbia: «O
terrestre, dove sei?». Dove sei nel tuo cammino di umanizzazione, dove sei nel
rapporto con gli altri, dove ti collochi nella società umana?
Il solo fatto di essere vivi è una benedizione, è ciò di cui essere grati
al mondo, perché la cosa più importante nella vita è la vita stessa. La fine di
un anno è dunque l’ora per dire: «Al passato, grazie; al futuro, sì!». E lo
scambio degli auguri non sia un gesto formale e scaramantico ma ci porti ad
assumere una precisa responsabilità e a rivestirla di impegni concreti:
sappiamo dare finalmente alla fraternità il suo ruolo decisivo, in modo che
libertà e uguaglianza possano, grazie a un tale fondamento, essere davvero instaurate
nella società?
Rinasca la solidarietà tra tutti noi appartenenti all’unica umanità, una
solidarietà tra generazioni e tra popolazioni diverse. Così sapremo impegnarci
per affrontare a livello globale i problemi che opprimono l’umanità:
cambiamenti climatici, guerre, migrazioni, violazioni dei diritti umani… Si
tratta di sperare contro ogni speranza: ma si può sperare solo “insieme”, mai
da soli, mai senza l’altro.
L’autore Enzo Bianchi 76 anni saggista e monaco laico ha fondato la
Comunità monastica di Bose in Piemonte
La repubblica 30 dicembre 2019
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