martedì 20 settembre 2016

XXVI Domenica Anno C - Commento alla seconda lettura Prima Timoteo capitolo 6,1 - Fuggire, Rincorrere, Lottare: i verbi che caratterizzano il discepolo di Cristo. A cura di @fradiafon

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Pietro e Paolo che discutono, dipinto di El Greco,
 attualmente all'
Ermitage diSan Pietroburgo

«
Ma tu, uomo di Dio, fuggi queste cose» (1Tim 6,11): così inizia l’esortazione di Paolo a Timoteo che costituisce la seconda lettura della XXVI domenica del tempo ordinario.

Le cose da fuggire sono accuratamente elencate nelle righe precedenti della lettera (6,3s).
Sono la ricerca di novità anziché la fedeltà alle «sane parole del Signore»;
La febbre di «cavilli e questioni oziose», che generano invidie, litigi e sospetti;
L’orgoglio e l’attaccamento al denaro.
L’insistenza è su queste ultime due cose.
L’orgoglio rende ciechi, cioè «corrotti nella mente e privi della verità».
Il verbo è al tempo perfetto, e dunque si tratta di una cecità permanente.
L’orgoglio non solo rende invidiosi e litigiosi, ma ottenebra la conoscenza.
E accanto all'orgoglio, l’attaccamento al denaro, che è «la radice di tutti i mali» (6,10). Si può persino giungere al punto – a volte con buone intenzioni! – di considerare la pietà come strumento di guadagno, mentre invece la pietà deve sempre accompagnarsi alla sobrietà: «Quando abbiamo di che mangiare e di che coprirci contentiamoci di questo» (6,8). Senza una vita sobria ogni forma di servizio e di testimonianza impallidisce, qualsiasi posizione si occupi e qualsiasi ministero si svolga.
Da tutte queste cose – che tratteggiamo la figura di un cristiano falso o illuso - si deve fuggire. Come suggerisce il verbo all’imperativo presente, sono cose da fuggire continuamente. Non si risolve il problema una volta per tutte, e nessuna situazione può ritenere di essere immune da queste tentazioni. Sono tentazioni che tornano sempre con lo stesso fascino.
Il vero discepolo deve sapere che ci sono cose da continuamente fuggire, ma anche cose da continuamente rincorrere: anche qui il verbo e nella forma dell’imperativo presente (6,11). Rincorrere è più che cercare: sottolinea la tensione verso qualcosa che non ha mai afferrato abbastanza, che non possiede mai del tutto. Lo rincorri sempre. Si tratta infatti di rincorrere una maturità cristiana che non può mai dirsi terminata. Le sue qualità sono così elencate: giustizia, pietà, fedeltà, amore, pazienza (che non è soltanto la forza di resistere, ma anche la forza di attendere), mitezza. Tutto questo è l’uomo di Dio. È la descrizione di un uomo solido e maturo, forte, generoso e pacato. Un uomo ricco non soltanto di fede, ma anche di solidità umana. Le due cose stanno sempre insieme.
Ma non basta fuggire e rincorrere, occorre anche “lottare”. Una lotta incessante, come dice anche qui l’imperativo presente. Vivere la fede, confessarla coraggiosamente davanti a tutti, tener fermo lo sguardo in direzione della vita eterna alla quale il cristiano sa di essere chiamato, tutto questo richiede il coraggio di una lotta. Paolo parla di «una buona battaglia della fede» (6,12). Ha ragione. Il difficile, infatti, non è soltanto abbracciare la fede, ma ancor più custodirla e mantenerla viva, qualsiasi cosa succeda. Può anche bastare il monotono logorio della vita, giorno dopo giorno, a indebolire la fede e renderla abitudinaria è il pericolo che Paolo sembra temere molto, più di ogni altro, tanto che non si accontenta qui di ricorrere all'imperativo, come ha fatto sopra, ma esprime la sua raccomandazione con un «ti scongiuro», che è molto più pressante del semplice imperativo. La fede abitudinaria è il pericolo più insidioso. Ci si può cadere anche senza avvertirlo.
Non sfugga da ultimo in questa esortazione di Paolo un inciso molto illuminante: l’allusione al processo di Gesù davanti a Pilato. È qui che si vede con particolare limpidezza che cosa Paolo intenda parlando della «bella confessione di fede». Il suo modello di riferimento è la testimonianza di Gesù di fronte a Pilato continua la storia del mondo. E qui sono direttamente coinvolti i discepoli, che si pongono dalla parte di Gesù contro il mondo, senza paura delle conseguenze. Difendendo Gesù, il discepolo viene coinvolto nello stesso rifiuto. La credibilità della testimonianza cristiana sta proprio nella disponibilità a condividere a condividere il destino di Gesù: lo stesso rifiuto, le stesse motivazioni, la stessa condanna. Questa è la «bella battaglia della fede», la sua forma più alta e più convincente, certamente non tutti i cristiani sono chiamati al vero e proprio martirio. Tutti però sono chiamati a percorrere una strada nella stessa direzione: quella cioè di un’esistenza che pone Dio, la verità e la giustizia al di sopra di ogni altra cosa, disposti a pagare il prezzo. [1]




[1]  SdP n° 329 Settembre 2001 pag. 119-121

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