lunedì 12 settembre 2016

«La Misericordia senza Giustizia diventa buonismo... La Giustizia senza Misericordia diventa giustizialismo». Commento alla XXV Domenica del T.O. Anno C

«La Misericordia senza Giustizia diventa buonismo... La Giustizia senza Misericordia diventa giustizialismo».


Crediamo che sia questa, in ultima analisi, la sintesi della XXV domenica del Tempo Ordinario, anno C.


Non faremo analisi sociologiche sull'attuale situazione sociale e economica, ci lasceremo trasportare dalla Parola e faremo un cammino a ritroso, indietro nel tempo, fino a giungere nell’anno 784-744 a. C., in quella terra a nord della Palestina che dopo aver compiuto lo scisma con Gerusalemme, era in quel momento attraversata da profonde trasformazioni sociali ed economiche. Siamo nel secolo VIII e Israele passava da una vita seminomade ad una agricoltura stabile, a un inedito insediamento urbano, all'introduzione del potere regale e con esso alla creazione di un più complesso e costosissimo apparato statale, sia militare che amministrativo. Tutto ciò aveva contribuito a creare una stabilità politica e una certa prosperità economica, ma a prezzo di rovinosi rapporti sociali, di una malvagia corruzione nell'amministrazione pubblica, di insopportabili ingiustizie nei confronti delle classi più povere perpetrate dai nuovi arricchiti, latifondisti, padroni di mezzi di produzione, commercianti.
È contro questi risvolti negativi del progresso sociale che si leva forte la voce di Amos. Egli non si pronuncia, né avrebbe la competenza per farlo, sulle leggi economiche e sulle strutture sociali. La sua grandezza è altrove: da profeta scomodo quale lo furono gli uomini di Dio del IX secolo (Elia ed Eliseo), egli mette alla gogna la più elementare e conclamata ingiustizia quella dei palazzi e dei mobili di lusso (3,15; 6,4), delle orge e del culto sfarzoso. Nella sua predicazione la componente orizzontale, quella dei rapporti interpersonali e sociali, s’intreccia necessariamente con quella verticale-religiosa. Amos scuote la coscienza dei ricchi, ricorda loro che, mentre scardinano l’ordinamento sociale sfruttando i poveri, non fanno che gettare discredito sul piatto di alleanza tra il Signore e il suo popolo. Per questo la lotta del profeta si estende ad una pratica religiosa più preoccupante della formalità dei riti che della genuinità della fede, ad una religione connivente con il potere, ad ogni uso magico o strumentale del nome di Dio (9,10).
Il passo odierno è una requisitoria profetica. Leggiamolo insieme:

PRIMA LETTURA (Am 8,4-7)
Contro coloro che comprano con denaro gli indigenti.

Dal libro del profeta Amos

Il Signore mi disse:
«Ascoltate questo,
voi che calpestate il povero
e sterminate gli umili del paese,
voi che dite: “Quando sarà passato il novilunio
e si potrà vendere il grano?
E il sabato, perché si possa smerciare il frumento,
diminuendo l’efa e aumentando il siclo
e usando bilance false,
per comprare con denaro gli indigenti
e il povero per un paio di sandali?
Venderemo anche lo scarto del grano”».
Il Signore lo giura per il vanto di Giacobbe:
«Certo, non dimenticherò mai tutte le loro opere».


Il profeta mette poi impietosamente a nudo i sentimenti di questi oppressori dei poveri riferendo la loro argomentazioni cariche di insipiente avidità. Sopportano con insofferenza giorni del riposo liturgico in quanto vengono a spezzare il ritmo frenetico del loro commercio: il sabato, giorno di assoluto riposo (es 20,8-11; Dt 5,12-15; Ger 17,19-27), il novilunio, anch’esso giorno di interruzione del lavoro dai tempi remoti fino all’esilio babillonese. Non hanno pudore a conclamare la propria disonestà nel «vendere anche lo scarto del grano», nel falsificare bilance, pesi e misure – nella fattispecie l’efa, contenitore di 40 litri e il siclo, peso di 11,5 grammi -, una frode stigmatizzata dai testi sacri (Lv 19,35s; Dt 25,13-16; Pr 11,1) che ben conoscevano le disoneste manomissioni che in tale materia si perpetravano a scapito dei poveri. Dunque, una sorta di criminalità organizzata affliggeva – allora come oggi – la società “civile”, con la tacita connivenza dei gestori del potere (legislatori, giudici, governanti) ai quali spetterebbe la responsabilità di tutelare l’ordine e di promuovere il bene comune.

Il testo ricorda poi una prassi selvaggia, tollerata in Israele e regolata da disposizioni di legge: sul povero che non poteva pagare il grano necessario per la sopravvivenza personale e della sua famiglia, incombeva il sequestro di oggetti (es 22, 25 s; Dt 24,6.10 -13) o addirittura la riduzione in schiavitù nel senso che l’indigente e i suoi familiari potevano forzatamente essere costretti a prestazioni servili in sostituzione del denaro che non erano in grado di versare. L’immagine dei “sandali” - forse in modo proverbiale per indicare un contratto di minima entità – pesa come un’aggravante su chi, per così poco, ha costretto un uomo a vendere la propria libertà.


A conclusione del breve testo, il profeta Amos lascia la parola direttamente a JHWH che con solenne giuramento «per il vanto di Giacobbe» - vale a dire per Colui del quale il popolo va fiero, cioè il Signore stesso – annuncia un severo giudizio: «Certo, non dimenticherò mai tutte le loro opere». E come potrebbe dimenticare Colui che si è proclamato «padre degli orfani e difensore delle vedove» (Sal 68,6), che ha preso a cuore il diritto dei poveri, che ascolta il loro grido (Es 22,22) e sceglie il debole per confondere il forte (1 Cor 1,27).

Nessun commento:

Posta un commento

Nota. Solo i membri di questo blog possono postare un commento.