«La
vita fugge, et non s'arresta una hora,/et la morte vien dietro a gran
giornate». Con queste parole Francesco Petrarca iniziava uno dei più bei
sonetti della letteratura italiana. La vita fugge inesorabilmente, in quanto il
tempo inghiotte tutte le cose, segnando la nostra vita come un ineluttabile
dirigersi verso l'appuntamento ultimo al quale nessuno può sottrarsi: la morte.
Il tempo è implacabile, crudele. Questo è l'unico punto fermo della vita. Con
insistenza, il suo scorrere lento e costante ricorda che la morte arriva con la
falce in mano, spesso cavalcando un cavallo in corsa, mietendo il proprio
raccolto, incurante se alcune spighe sono troppo verdi, se desideravano
maturare... È la sua missione. È cieca. Impietosa. Crudele. Tempo, vita e morte
sono così indissolubilmente legati in una corsa che nessuno può arrestare.
Ogni
uomo fa esperienza del tempo. Anche se ha difficoltà a capire in cosa consista.
«Se nessuno me lo chiede, lo so. Se dovessi spiegarlo a chi me lo chiede, non
lo so», diceva Agostino d'Ippona. Certo, tre sono i tempi: il passato, il
presente, il futuro. Tuttavia il "tempo" sembra sottrarsi a qualunque
definizione. Potremmo dire infatti che è una strana realtà, in quanto il
passato non è più, il futuro non è ancora e non è possibile identificare il
presente nell'istante attuale, perché questo è subito trascorso. Nel momento
stesso in cui ci concentriamo sull'istante che stiamo vivendo, quello stesso
istante è già passato. È nella nostra memoria. Non ritornerà mai più come
"presente". In questo senso, il tempo è come il vento. Quando ci
accorgiamo della sua presenza, è già volato, lontano. E non possiamo cercare di
afferrarlo o di ingabbiarlo tra le mani. Ci è sfuggito. Ma allora quale è il
senso del tempo? Quello di ricordare il carattere effimero della vita, che
siamo esseri destinati alla morte? Fare esperienza del tempo vorrebbe solo dire
prepararsi a quel momento di fronte al quale tutti noi vorremmo fuggire? Certo,
l'esperienza del tempo non è separabile da quella della morte.
Non
a caso nella mitologia greca il tempo è un dio (Kronos) rappresentato come un gigante mostruoso, colto
nell'atto di mangiare i suoi figli, essendogli stato predetto che sarebbe stato
spodestato da uno di loro. E l'immagine di Kronos è archetipica, inscritta nella
coscienza umana. Quel mostro abita il cuore dell'uomo, da sempre. Kronos è
un dio che divora ciò che genera. Stritola ogni cosa. Incute paura, angoscia. È
un tiranno che non vuole condividere con nessuno il proprio potere. È come un
predatore in ricerca perenne di una vittima che, una volta identificata, non
può sfuggire. Incapace di condividere, riconduce tutto a se stesso, per soffocarlo
e annientarlo. Il tempo è nemico. È questa una visione del tempo tipicamente
umana. Perché – si chiede l'uomo –, se da un lato ci è donata la vita,
dall'altro dobbiamo restituirla? È come se gli fosse stato fatto un dono che in
realtà non gli può appartenere. Dio toglie quanto prima aveva donato. Dio
"appare" buono ma in realtà è chiuso nel proprio trattenere.
Tuttavia,
possiamo interpretare diversamente il tempo. A partire dal battesimo, la chiesa
dei primi secoli ha riflettuto a lungo sul senso del rapporto tempo-morte.
Questo sacramento, con l'immersione/emersione del neofita nelle acque del fonte
battesimale, segna il passaggio dalla morte alla vita, dalle tenebre alla luce.
L'uomo si immerge nelle acque del non senso, della morte, per diventare una
creatura nuova. È questo il tempo per eccellenza del passaggio della grazia,
del tempo opportuno, del Kairos, termine
con il quale i greci indicavano il tempo di Dio, il momento giusto, propizio,
che ci fa interpretare in modo diverso l'esperienza di Kronos.
Il cristiano era chiamato «colui che non ha
paura della morte», perché la propria morte non stava davanti a sé, ma era
dietro di sé, nel proprio battesimo. Davanti a sé sta la vita, rivolta verso la
casa del Padre. Il tempo che segue il battesimo è dunque quello della gioia, in
quanto la "vera" morte è già avvenuta. La fiducia nella buona morte
apre all'epifania della vita, all'incontro faccia a faccia con Dio. È la
fiducia che la vita assume pienezza di senso, nella gioia di questo incontro
definitivo. Questo tempo non distrugge quindi ogni cosa, quanto piuttosto
prende per mano, per accompagnare l'uomo verso l'origine stessa della vita,
verso un Dio pronto ad abbracciarci. Il tempo si fa amico. In questo senso, il
battesimo invita a guardare alla morte di Gesù sulla croce, per proclamare che
la vita dell'uomo non finisce con la sua esistenza terrena. Perché quell'uomo è
risorto! Vivere l'esperienza del tempo diventa allora attendere la
risurrezione. Il tempo diventa quello della fiducia che ci conduce verso
qualcuno che ci ama.
Nessun commento:
Posta un commento
Nota. Solo i membri di questo blog possono postare un commento.