POLITICA
Il reportage/2 La nuova questione meridionale
Reggio
Calabria il riscatto negato
La ’ndrangheta, la disoccupazione, la fuga dei giovani
Viaggio nella città in cui lo Stato ha sempre fatto grandi promesse senza mai
mantenerne una. Ma che non smette di lottare
dal nostro inviato Sergio Rizzo
REGGIO CALABRIA
Racconta il sindaco Giuseppe Falcomatà che durante una riunione dell’Anci
un suo collega del Nord si sente in dovere di consolarlo perché in tivù c’è una
fiction sulla ‘ndrangheta: «Per te dev’essere difficile, mi dice. Ma quello che
mi ha dato più fastidio era la sua aria compassionevole…». L’episodio descrive
perfettamente la maledizione che perseguita Reggio Calabria. Una città, come il
resto del Sud, semplicemente abbandonata dallo stato centrale. E l’abbandono
l’ha condannata alla narrazione di capitale della ‘ndrangheta e del malaffare,
emblema di tutti i mali meridionali. Ma non per questo, davanti alla bellezza
abbagliante dello Stretto, ci si può rassegnare.
Sarebbe tuttavia un errore ignorare quanto in profondità l’immaginario
collettivo sia stato contagiato da quel virus antico. Perché la riscossa civile
è da qua che deve e può partire. Correva l’anno 1869 quando le prime elezioni
comunali vennero annullate dal governo perché condizionate da un’organizzazione
di stampo mafioso, la Setta degli accoltellatori. «La prima prova», ha scritto
Alessia Candito, «di cosa abbia significato il rapporto tra mafia e massoneria
». Centocinquant’anni dopo, ecco la clamorosa inchiesta giudiziaria sulla
Multiservizi, la ex società delle manutenzioni pubbliche a Reggio, che
coinvolge professionisti secondo i giudici contigui alle cosche. Ed è
impossibile non ricordare come sette anni fa il consiglio comunale di Reggio
sia stato sciolto proprio per quelle "contiguità". Né che l’ex
sindaco di An Giuseppe Scopelliti, poi governatore calabrese, condannato a
quattro anni e sette mesi per fatti accaduti durante la sua amministrazione, è
ora indagato nella stessa inchiesta.
È lui che ha spento la luce accesa da Italo Falcomatà, il sindaco del
centrosinistra padre di quello attuale, che fu sconfitto da una terribile
leucemia nel dicembre 2001 senza mai essersi arreso: riuniva la giunta intorno
al letto d’ospedale. E la spegne, quella luce, rispolverando i fantasmi di un
terribile passato. Sul lungomare che Falcomatà aveva voluto creare coprendo la
ferrovia e così ricucendo il rapporto fra città e mare, il 16 novembre 2005
Scopelliti inaugura una stele in onore di Ciccio Franco, il missino che
guidò nel 1970 la rivolta di Reggio Calabria al grido di "Boia chi molla!"
La stele sta ancora lì. Tutto, nella Reggio come nella Calabria di oggi, è
iniziato da quella rivolta che scoppiò feroce nella cupa stagione delle bombe
fasciste. Per un’apparentemente futile ragione di campanile: la decisione di
fare Catanzaro capoluogo della nascente Regione. Ci furono i morti e i carri
armati, ma finì all’italiana. Da allora la Regione di capoluoghi ne ha
addirittura due: la giunta a Catanzaro e il consiglio a Reggio. Centosessanta
chilometri di distanza. E la sede della Rai a Cosenza, omaggio al potentissimo
socialista Giacomo Mancini.
Non bastava. Presidente del consiglio in quel 1970 era il lucano
Emilio Colombo, un democristiano che maneggiava alla perfezione il codice del
consenso. E confezionò un pacchetto con lo stabilimento della Liquichimica e il
quinto centro siderurgico a Gioia Tauro. Quarantamila posti di lavoro, si
vendettero. Ma l’altoforno non si fece, e nemmeno la megacentrale al posto suo.
Restò solo il porto. Quanto alla Liquichimica, ci sono operai andati in
pensione dopo decenni di cassa integrazione senza aver varcato i cancelli. Poi,
dopo quei fallimenti, il decreto Reggio. Correva l’anno 1989 e il governo De
Mita stanziò 600 miliardi di lire, pari a 642 milioni di euro attuali. Gli
scandali, le ruberie i commissariamenti non si contano. Sappiamo solo che nel
2019 ci sono ancora da spendere 200 milioni di euro.
A mezzo secolo dalla rivolta e a tre decenni dal decreto i giovani senza
lavoro in superano anche il 60 per cento. Il datore di lavoro più importante è
sempre il Comune. C’è la Hitachi, è vero, che occupa qualche centinaio di
persone. Ma è un altro paradosso estremo: una fabbrica di treni modernissimi
nell’area metropolitana meno servita dai treni in tutta Europa. E i pochi che
arrivano sono vecchi come il cucco. C’è anche il porto di Gioia Tauro,
cinquanta chilometri più a nord, è vero. Che purtroppo finisce sui giornali più
per i sequestri di cocaina che per altro. Eppure, grazie ai fondali profondi,
potrebbe diventare lo scalo più importante del Mediterraneo per le grandi navi
container. «Bisognerebbe attrezzare i 1.500 ettari della piana, bonificare il
territorio da baraccopoli, abusivismo e capannoni edificati anche le truffe
alla legge 488. E adeguare la ferrovia, far partire finalmente la zona
speciale… I soldi ci sono ma non vengono usati», denuncia Michele Albanese. Fa
il giornalista e sa le cose: vive nella piana sotto scorta da cinque anni,
quando si è scoperto che la ‘ndrangheta voleva ucciderlo. Ma non molla.
Poi c’è la qualità dei servizi pubblici. Ed è anche per questo che la gente
scappa. Dal 2015 Reggio ha perduto 3.605 abitanti. Per il sociologo Tonino
Perna è andata anche peggio: «Le statistiche si fanno sui residenti, ma ci sono
tanti giovani che risiedono qui e vivono altrove. Per non dire degli sconfitti
dall’emigrazione, che tornano perché non hanno alternative. Non si risolverà
certo il problema, ma si potrebbe affrontare intanto coprendo i buchi che si
sono aperti nella pubblica amministrazione». Buchi enormi, se si pensa che
i dipendenti del Comune di Reggio sono 830 contro i 1.697 previsti.
I servizi, dunque. A marzo Alessia Candito ha raccontato
su Repubblica che l’azienda sanitaria è stata sciolta per
infiltrazioni mafiose, e negli ultimi dieci anni 600 mila calabresi sono andati
a farsi curare in altre Regioni. Poi c’è l’amministrazione di un Comune sciolto
sette anni fa con 200 milioni di debito in eredità. Il giovane Falcomatà
allarga le braccia: «La cura è lunga. Se sei costretto dalle norme a lasciare
intatto l’apparato amministrativo, cambiare le cose è difficile…». Senza dire
dei soldi. «Il fatto è che le risorse straordinarie, come i denari del piano
d’azione e coesione e i fondi europei, hanno ormai sostituito i trasferimenti
ordinari. Senza quelli non avrei potuto aprire tre asili nido o fare qualche
intervento nelle periferie», aggiunge.
Rivendica di aver ripescato 104 lavoratori socialmente utili dopo il crac
Multiservizi e di averne stabilizzato altri 110. Dice di voler continuare
l’opera del padre, sottraendo alla ferrovia altri chilometri di litorale,
bonificando l’area degradata dello stabilimento balneare comunale con 1.200
cabine. Auguri a lui e a Reggio. Ma è chiaro che data la situazione fa quel che
può, peraltro in una città letteralmente sommersa dalle inchieste giudiziarie e
dove lo stato è assente.
Può un Paese sviluppato lasciare un’area di 600 mila abitanti (Reggio
Calabria più Messina) priva di collegamenti civili? Dalla capitale due voli in
orari strampalati dell’Alitalia e quattro treni al giorno. Tutto qua. E i
prezzi? Provare per credere: un volo di sola andata da Bologna a Reggio può
costare 585 euro. E l’aeroporto di Reggio Calabria sarebbe perfino chiuso se
non ci fossero, fra l’altro, i 40 dipendenti del personale di terra Alitalia,
non licenziabili.
Dunque che il meraviglioso Museo archeologico di Reggio dove ci sono tesori
inimmaginabili come i Bronzi di Riace, abbia avuto nel 2018 100.553 visitatori
paganti, numero inferiore di quanti hanno pagato il biglietto per entrare allo
zoo di Pistoia, è già un grande successo.
Da qui si vedono nitidamente tutte le falle e le irresponsabilità della
nostra politica. Con scelte determinate solo da interessi di parte, come la
decisione di non riunire le città metropolitane di Reggio e Messina, due città
di confine destinate a parlarsi.
E adesso si profila, nel cinquantesimo anniversario del "Boia chi
molla!" una nuova resa dei conti. Fra pochi mesi si vota per la Regione,
con il governatore Mario Oliverio azzoppato dalle inchieste giudiziarie e
scaricato dal suo Pd. Partito che dovrà negoziare con i grillini un faticoso
accordo elettorale per sperare di non riconsegnare la Regione alla destra. Poi
tocca al Comune, e anche a Reggio Salvini ha fatto il botto alle europee. Il Pd
si è fermato al 24,3 per cento, dieci punti meno del 2014. Mentre i leghisti
hanno superato il 22 per cento. Cinque anni fa Salvini prese 309 voti, adesso
sono 12.741. Raccattati, guarda caso, anche grazie e un certo Scopelliti.
Perché a volte ritornano. Basta cambiarsi d’abito...
(2 / continua)
MARKA/UNIVERSAL IMAGES GROUP VIA GETTY IMAGES
Il lungomare
Nella foto, il lungomare di Reggio Calabria. L’affaccio sullo Stretto di
Messina offre uno dei panorami più belli del Sud
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