ROBINSON
La riflessione
A
che punto è la notte?
La
XV edizione di Torino spiritualità incrocia fedi, religioni e culture per
indagare l’intensità del buio, le ombre da cui fuggiamo e quelle che ci affascinano.
Tra i protagonisti il fondatore della comunità di Bose che qui racconta l’arte
di attendere l’alba
di Enzo Bianchi
La vita di ciascuno di noi inizia nella notte del grembo materno, dove il
nostro essere si sviluppa fino al giorno in cui “ viene alla luce”. Allo stesso
modo la vita del mondo, secondo la Bibbia, comincia nella notte, in un abisso
oscuro di tenebre profonde, il tohu wa- bohu ( Gen 1,2) informe e caotico
dell’oscurità. È su questa tenebra che risuona la parola: “ Luce!” ( Gen 1,3),
e così luce fu e avvenne la separazione tra il giorno e la notte, mentre il
Creatore contemplava la luce come tob, bella e buona. È questo il ritmo del
cosmo, notte e giorno, tenebra e luce, nel quale anche noi umani siamo immersi.
Non potevamo evocare il giorno e la notte come metafore per descrivere ciò
che viviamo, senza ricordare che questi sono innanzitutto fenomeni cosmici.
Filosofie, religioni e spiritualità hanno invocato la luce in opposizione alla
notte, fino a misconoscere quell’alleanza tra giorno e notte impossibile a
spezzarsi: non esiste giorno senza notte né nel cosmo né nel cuore di alcun
uomo o donna! Eppure in questo contrasto vi è una verità: il venire alla luce
di ciascuno di noi, il venire e il vivere nel mondo è ciò che fa parte del
nostro più profondo desiderio, per questo la notte viene spontaneamente
associata alla tenebra, all’oscurità, al trionfo del male… La tradizione
ebraica e quella cristiana insistono: il giorno comincia subito dopo il
tramonto del sole, e allo stesso modo l’anno inizia dall’oscurità, come se la
luce dovesse essere partorita dopo un lungo e misterioso travaglio. È vero che
oggi non viviamo più la notte come nei lunghi secoli nei quali essa era solo
buio, perché non esisteva l’illuminazione, oggi onnipresente fino a essere
inquinante. Tuttavia la notte è ancora pensata in opposizione al giorno, tempo
in cui la vita delle nostre città quasi si ferma, anche se il ritmo della
giornata e dunque il tempo del sonno si spostano sempre più in avanti.
La notte è per molti un tempo di riposo, di solitudine e di intimità, di
riordino degli eventi del giorno trascorso e di preparazione all’inatteso del
giorno venturo. È certamente un tempo in cui le persone che si amano conoscono
l’intimità più profonda ed è anche il tempo della lettura al lume di una
lampada, compagna ideale della nostra attesa notturna. Ma non possiamo
dimenticare che la notte per alcuni significa anche fatica e maledizione:
fatica per chi deve vegliare e lavorare per gli altri nel prendersi cura di
persone malate o nel preparare il pane quotidiano; fatica nello
svolgimento di servizi essenziali alla nostra convivenza; ma anche maledizione
per chi nella notte conosce gli incubi, i fantasmi ( nocturna phantasma-ta), i
sensi di colpa che emergono e dominano la nostra mente; vi è poi la notte dei
malati, dei sofferenti, che nella solitudine e nell’oscurità patiscono di più…
Forse è per sfidare la notte, per combatterla, che i monaci si alzano nelle ore
più buie per stare tutti insieme, corpo accanto a corpo, e cantano in modo
corale quelli che chiamano i “ notturni”, ripetendo invocazioni e grida che
vorrebbero squarciare i cieli e far sorgere la luce. Sì, come si legge nei
Salmi, i monaci cercano di “svegliare l’aurora”, di accelerare il sorgere del
sole per affrettare la vittoria della luce sulle tenebre. Affrontare il buio,
combattere la tenebra, discernere la luce: questa è l’indispensabile arte della
veglia che pochi conoscono. Sono molti quelli che non solo conoscono il
tramonto ma l’attendono nel silenzio e nella pace, contemplando l’orizzonte
rossastro del cielo; ma sono pochissimi quelli che praticano l’arte dell’attesa
dell’alba, quindi dell’aurora e infine del sorgere del sole. È un’arte che
combina insieme realtà e speranza, adesione alla vita quotidiana e fiducia nel
giorno che viene, accettazione umile di ciò che siamo e tensione verso quanto
vogliamo essere.
Quest’arte di attesa dell’alba non è l’ansia nervosa di riprendere le
attività quotidiane né l’insonnia angosciante di chi vede avvicinarsi il giorno
come un intermezzo obbligato tra una notte d’incubo e l’altra. No, è la quieta
attesa di chi sa che vale la pena sperare per tutti, di chi accetta nella pace
che “presto verrà la notte”, sì, anche la propria notte, ma che intanto la vita
è già qui e ora, una vita i cui frutti più belli, perché più umani e più amati,
non avranno fine.
Ma non si può pensare alla notte solo in una prospettiva personale,
perché c’è anche una notte che sopraggiunge per una comunità, una società, un
popolo, per l’intera umanità. È il sopraggiungere della “notte della notte”,
quando la barbarie domina, la ragione è mortificata, il nichilismo ammorba
l’aria, la cattiveria e il rancore diventano il respiro della gente, la notte
in cui si precipita. Nel secolo scorso abbiamo conosciuto queste “notti” e
anche ai nostri giorni ci sembra che stiano ancora per sorprenderci.
“Sentinella, a che punto è la notte?” (Is 21,11), gridano quanti soffrono
la notte… A volte le sentinelle ci sono e sanno dare segni e messaggi;
altre volte sembrano tacere, e così la speranza di chi soffre è più
contraddetta. È la notte della notte in cui, ci dice la storia, anche i
credenti, incapaci di ascoltare, accusano Dio di restare muto e si lamentano
perché regna visibilmente “il Nulla”! Nelle parole del profeta Isaia viene però
offerta a tutti gli umani una possibilità di luce capace di vincere la notte:
quando questi sanno “condividere il pane con l’affamato, accogliere in casa gli
stranieri, vestire chi è nudo e liberare gli oppressi, allora brilla la luce
tra le tenebre, anzi la tenebra splende come il giorno” (cf. Is 57,7-8.10).
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