domenica 25 giugno 2017

Domenica 25 Giugno, 2017 LA LETTURA - La casa è le sue cose (digitali)

L’etimologia della parola abitare significa «tenere» e «avere»: è legata al possesso di uno spazio o al controllo di un territorio. Infatti l’abitare e il costruire che — per Martin Heidegger — esprimono l’egemonia dell’uomo sul mondo, hanno sempre avuto una valenza sociale, in quanto spazio emotivo e fisico, sede delle relazioni familiari ed economiche, che gli inglesi distinguono con i termini di home e house .
Lo spazio da «tenere» si è progressivamente ridotto per effetto dell’incremento demografico e della riduzione di risorse; se per le comunità contadine e patriarcali i confini del proprio abitare si spingevano fino all’orizzonte, adesso non vanno oltre il pianerottolo. La casa rimane il luogo protetto che sottrae la quotidianità allo sguardo pubblico.
La sua funzione sociale è ben espressa dal termine greco òikos , che indica insieme casa e famiglia, l’abitazione e le persone che vi abitano, legate da relazioni parentali e affettive. Òikos è poi venuto assumendo il significato specifico di organizzazione del territorio in funzione produttiva, finalizzato al sostentamento della comunità. La casa-fattoria per lungo tempo ha rappresentato il modello economico perfetto, garantendo piena autonomia e protezione sotto un sistema gerarchico e autoritario. Lo spiega Max Weber, osservando come nella modernità, invece, l’attività d’impresa si distingue dall’economia domestica e il lavoro esce di casa. L’abitazione cambia volto, chiudendosi verso l’esterno, facendosi quasi inaccessibile; tanto anonima fuori, quanto ricca, curata e confortevole dentro. Gli spazi interni sono diversificati in base alla loro funzione (camere da letto, servizi igienici, cucina, soggiorno per la fruizione comune). Il soggiorno o salotto è l’unico luogo aperto alle relazioni sociali, in cui vengono ricevuti (su invito) parenti, amici e vicini. È il modello classico della casa moderna, anche se — nell’amaro commento di Robert Putnam — i legami sociali si indeboliscono quando le madri di famiglia smettono di ricevere le amiche per il tè pomeridiano: conseguenza dell’ingresso della donna nel mondo del lavoro.
La casa è destinata a un continuo cambiamento per adeguarsi alla progressiva individualizzazione della società: famiglie meno numerose, famiglia nucleare o composta da single. Da questa drastica mutazione l’abitazione esce stravolta e passa attraverso fasi successive, dal moderno al postmoderno. Non più ambienti dedicati a specifiche funzioni, ma l’ open space , il loft. Un’abitazione ricavata spesso da impianti industriali dismessi, pensata per chi è sganciato da relazioni stabili, quindi un unico spazio aperto dove tutte le attività casalinghe sono svolte indifferentemente, dal momento che chi vi abita è tendenzialmente solo o in coppia.
In tempi di crisi esistenziali e di crollo delle certezze, l’abitazione è un luogo informale che esprime la personalità di chi la vive. Secondo Raffaele Morelli è l’espressione simbolica del corpo dell’uomo. L’esclusione di altre convivenze, il ritirarsi in uno spazio privato dimostra la tipica tendenza postmoderna a isolarsi, a tenersi fuori dal caos cittadino e a costruirsi una cornice di sicurezza. La casa postmoderna si caratterizza per l’oggetto e non per lo spazio. Qui l’arredamento e gli oggetti d’uso, arricchiti di un design elegante e persino prezioso, riempiono un living esteso, dove sono svolte tutte le funzioni, dalla preparazione del cibo al sonno. L’individuo ama essere circondato dalla bellezza e mostrarla agli altri. La casa è essa stessa dimostrazione della propria sensibilità interiore, del buon gusto; gli «oggetti estetici», secondo ciò che riteneva Waldemar Conrad ai primi del Novecento, devono essere belli oltre che utili, in omaggio all’antico concetto platonico di kalokagathìa (bello e buono), opportunamente applicato al design industriale.
Oggi l’abitazione si modifica ancora, avviata verso un’ipermodernità di cui s’intravedono solo deboli segnali. Per uscire dall’isolamento tende ad aprirsi all’esterno, entra a far parte di una rete di relazioni sociali con tanti frammenti che l’architettura tende a ricucire, che comprendono la strada, il quartiere, i non-luoghi delle concentrazioni collettive (stazioni, aeroporti, centri commerciali).
Resta la «roccaforte della libertà personale», secondo quanto riconosce Wolfgang Sofky, ma anche il punto di partenza di nuove relazioni sociali che prescindono dai rapporti familiari e ricercano legami deboli. L’estroversione del privato, sempre più disposto a farsi pubblico e a mostrarsi, pone in secondo piano la condizione estetica degli oggetti e si focalizza sulla loro funzione comunicativa. Sono gli strumenti tecnologici a essere centrali, quasi a formare una casa-Facebook, spazio virtuale di esposizione di sé e di condivisione delle esperienze personali. L’abitare recupera la sua vocazione premoderna di nodo di relazioni con l’esterno e di luogo di lavoro. Sia pure di lavoro smaterializzato o di non-lavoro, nell’ansiosa ricerca di esser-ci e di realizzarsi. Abitare è ancora un modo di rapportarsi al mondo.

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