Pace in Costa d'Avorio
Il cardinale Turkson inviato nel Paese per portare solidarietà alle vittime del conflitto
Appello del Papa per la Costa d'Avorio insanguinata dalla guerra civile. All'udienza generale di mercoledì 30 marzo, in piazza San Pietro, Benedetto XVI ha invitato a intraprendere la strada del dialogo per ristabilire la convivenza pacifica nel Paese africano. "Da molto tempo - ha detto rivolgendosi ai fedeli di lingua francese - il mio pensiero va spesso alle popolazioni della Costa d'Avorio, traumatizzate da dolorose lotte interne e da gravi tensioni sociali e politiche".
"Mentre esprimo la mia vicinanza a tutti coloro che hanno perso un essere caro e subiscono la violenza - ha continuato - lancio un appello pressante affinché sia avviato il più presto possibile un processo di dialogo costruttivo per il bene comune. La drammatica opposizione rende più urgente il ripristino del rispetto e della coabitazione pacifica. Nessuno sforzo deve essere lesinato in tal senso".
"Con tali sentimenti, ho deciso - ha rivelato - di inviare in questo nobile Paese il Cardinale Peter Kodwo Turkson, Presidente del Pontificio Consiglio Iustitia et Pax, affinché esprima la mia solidarietà e quella della Chiesa universale alle vittime del conflitto e incoraggi alla riconciliazione e alla pace". In precedenza il Pontefice aveva dedicato la catechesi a sant'Alfonso Maria de' Liguori, sottolineando in particolare la sua azione missionaria a favore dei poveri e il suo atteggiamento mite ispirato alla misericordia di Dio.
(©L'Osservatore Romano 31 marzo 2011)
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Mitezza e misericordia
per testimoniare l'ottimismo del bene
Modello di mitezza evangelica e di azione missionaria: così il Papa ha presentato la figura di sant'Alfonso Maria de' Liguori all'udienza generale di mercoledì 30 marzo, in piazza San Pietro.
Cari fratelli e sorelle,
oggi vorrei presentarvi la figura di un santo Dottore della Chiesa a cui siamo molto debitori, perché è stato un insigne teologo moralista e un maestro di vita spirituale per tutti, soprattutto per la gente semplice. È l'autore delle parole e della musica di uno dei canti natalizi più popolari in Italia e non solo: Tu scendi dalle stelle.
Appartenente a una nobile e ricca famiglia napoletana, Alfonso Maria de' Liguori nacque nel 1696. Dotato di spiccate qualità intellettuali, a soli 16 anni conseguì la laurea in diritto civile e canonico. Era l'avvocato più brillante del foro di Napoli: per otto anni vinse tutte le cause che difese. Tuttavia, nella sua anima assetata di Dio e desiderosa di perfezione, il Signore lo conduceva a comprendere che un'altra era la vocazione a cui lo chiamava. Infatti, nel 1723, indignato per la corruzione e l'ingiustizia che viziavano l'ambiente forense, abbandonò la sua professione - e con essa la ricchezza e il successo - e decise di diventare sacerdote, nonostante l'opposizione del padre. Ebbe degli ottimi maestri, che lo introdussero allo studio della Sacra Scrittura, della Storia della Chiesa e della mistica. Acquisì una vasta cultura teologica, che mise a frutto quando, dopo qualche anno, intraprese la sua opera di scrittore. Fu ordinato sacerdote nel 1726 e si legò, per l'esercizio del ministero, alla Congregazione diocesana delle Missioni Apostoliche. Alfonso iniziò un'azione di evangelizzazione e di catechesi tra gli strati più umili della società napoletana, a cui amava predicare, e che istruiva sulle verità basilari della fede. Non poche di queste persone, povere e modeste, a cui egli si rivolgeva, molto spesso erano dedite ai vizi e compivano azioni criminali. Con pazienza insegnava loro a pregare, incoraggiandole a migliorare il loro modo di vivere. Alfonso ottenne ottimi risultati: nei quartieri più miseri della città si moltiplicavano gruppi di persone che, alla sera, si riunivano nelle case private e nelle botteghe, per pregare e per meditare la Parola di Dio, sotto la guida di alcuni catechisti formati da Alfonso e da altri sacerdoti, che visitavano regolarmente questi gruppi di fedeli. Quando, per desiderio dell'arcivescovo di Napoli, queste riunioni vennero tenute nelle cappelle della città, presero il nome di "cappelle serotine". Esse furono una vera e propria fonte di educazione morale, di risanamento sociale, di aiuto reciproco tra i poveri: furti, duelli, prostituzione finirono quasi per scomparire.
Anche se il contesto sociale e religioso dell'epoca di sant'Alfonso era ben diverso dal nostro, le "cappelle serotine" appaiono un modello di azione missionaria a cui possiamo ispirarci anche oggi per una "nuova evangelizzazione", particolarmente dei più poveri, e per costruire una convivenza umana più giusta, fraterna e solidale. Ai sacerdoti è affidato un compito di ministero spirituale, mentre laici ben formati possono essere efficaci animatori cristiani, autentico lievito evangelico in seno alla società.
Dopo aver pensato di partire per evangelizzare i popoli pagani, Alfonso, all'età di 35 anni, entrò in contatto con i contadini e i pastori delle regioni interne del Regno di Napoli e, colpito dalla loro ignoranza religiosa e dallo stato di abbandono in cui versavano, decise di lasciare la capitale e di dedicarsi a queste persone, che erano povere spiritualmente e materialmente. Nel 1732 fondò la Congregazione religiosa del Santissimo Redentore, che pose sotto la tutela del vescovo Tommaso Falcoia, e di cui successivamente egli stesso divenne il superiore. Questi religiosi, guidati da Alfonso, furono degli autentici missionari itineranti, che raggiungevano anche i villaggi più remoti esortando alla conversione e alla perseveranza nella vita cristiana soprattutto per mezzo della preghiera. Ancor oggi i Redentoristi, sparsi in tanti Paesi del mondo, con nuove forme di apostolato, continuano questa missione di evangelizzazione. A loro penso con riconoscenza, esortandoli ad essere sempre fedeli all'esempio del loro santo Fondatore.
Stimato per la sua bontà e per il suo zelo pastorale, nel 1762 Alfonso fu nominato Vescovo di Sant'Agata dei Goti, ministero che, in seguito alle malattie da cui era afflitto, lasciò nel 1775, per concessione del Papa Pio VI. Lo stesso Pontefice, nel 1787, apprendendo la notizia della sua morte, avvenuta dopo molte sofferenze, esclamò: "Era un santo!". E non si sbagliava: Alfonso fu canonizzato nel 1839, e nel 1871 venne dichiarato Dottore della Chiesa. Questo titolo gli si addice per molteplici ragioni. Anzitutto, perché ha proposto un ricco insegnamento di teologia morale, che esprime adeguatamente la dottrina cattolica, al punto che fu proclamato dal Papa Pio XII "Patrono di tutti i confessori e i moralisti". Ai suoi tempi, si era diffusa un'interpretazione molto rigorista della vita morale anche a motivo della mentalità giansenista che, anziché alimentare la fiducia e la speranza nella misericordia di Dio, fomentava la paura e presentava un volto di Dio arcigno e severo, ben lontano da quello rivelatoci da Gesù. Sant'Alfonso, soprattutto nella sua opera principale intitolata Teologia Morale, propone una sintesi equilibrata e convincente tra le esigenze della legge di Dio, scolpita nei nostri cuori, rivelata pienamente da Cristo e interpretata autorevolmente dalla Chiesa, e i dinamismi della coscienza e della libertà dell'uomo, che proprio nell'adesione alla verità e al bene permettono la maturazione e la realizzazione della persona. Ai pastori d'anime e ai confessori Alfonso raccomandava di essere fedeli alla dottrina morale cattolica, assumendo, nel contempo, un atteggiamento caritatevole, comprensivo, dolce perché i penitenti potessero sentirsi accompagnati, sostenuti, incoraggiati nel loro cammino di fede e di vita cristiana. Sant'Alfonso non si stancava mai di ripetere che i sacerdoti sono un segno visibile dell'infinita misericordia di Dio, che perdona e illumina la mente e il cuore del peccatore affinché si converta e cambi vita. Nella nostra epoca, in cui vi sono chiari segni di smarrimento della coscienza morale e - occorre riconoscerlo - di una certa mancanza di stima verso il Sacramento della Confessione, l'insegnamento di sant'Alfonso è ancora di grande attualità.
Insieme alle opere di teologia, sant'Alfonso compose moltissimi altri scritti, destinati alla formazione religiosa del popolo. Lo stile è semplice e piacevole. Lette e tradotte in numerose lingue, le opere di sant'Alfonso hanno contribuito a plasmare la spiritualità popolare degli ultimi due secoli. Alcune di esse sono testi da leggere con grande profitto ancor oggi, come Le Massime eterne, Le glorie di Maria, La pratica d'amare Gesù Cristo, opera - quest'ultima - che rappresenta la sintesi del suo pensiero e il suo capolavoro. Egli insiste molto sulla necessità della preghiera, che consente di aprirsi alla Grazia divina per compiere quotidianamente la volontà di Dio e conseguire la propria santificazione. Riguardo alla preghiera egli scrive: "Dio non nega ad alcuno la grazia della preghiera, con la quale si ottiene l'aiuto a vincere ogni concupiscenza e ogni tentazione. E dico, e replico e replicherò sempre, sino a che avrò vita, che tutta la nostra salvezza sta nel pregare". Di qui il suo famoso assioma: "Chi prega si salva" (Del gran mezzo della preghiera e opuscoli affini. Opere ascetiche II, Roma 1962, p. 171). Mi torna in mente, a questo proposito, l'esortazione del mio precedessore, il Venerabile Servo di Dio Giovanni Paolo II: "Le nostre comunità cristiane devono diventare "scuole di preghiera"... Occorre allora che l'educazione alla preghiera diventi un punto qualificante di ogni programmazione pastorale" (Lett. ap. Novo Millennio ineunte, 33, 34).
Tra le forme di preghiera consigliate fervidamente da sant'Alfonso spicca la visita al Santissimo Sacramento o, come diremmo oggi, l'adorazione, breve o prolungata, personale o comunitaria, dinanzi all'Eucaristia. "Certamente - scrive Alfonso - fra tutte le devozioni questa di adorare Gesù sacramentato è la prima dopo i sacramenti, la più cara a Dio e la più utile a noi... Oh, che bella delizia starsene avanti ad un altare con fede... e presentargli i propri bisogni, come fa un amico a un altro amico con cui si abbia tutta la confidenza!" (Visite al SS. Sacramento ed a Maria SS. per ciascun giorno del mese. Introduzione). La spiritualità alfonsiana è infatti eminentemente cristologica, centrata su Cristo e il Suo Vangelo. La meditazione del mistero dell'Incarnazione e della Passione del Signore sono frequentemente oggetto della sua predicazione. In questi eventi, infatti, la Redenzione viene offerta a tutti gli uomini "copiosamente". E proprio perché cristologica, la pietà alfonsiana è anche squisitamente mariana. Devotissimo di Maria, egli ne illustra il ruolo nella storia della salvezza: socia della Redenzione e Mediatrice di grazia, Madre, Avvocata e Regina. Inoltre, sant'Alfonso afferma che la devozione a Maria ci sarà di grande conforto nel momento della nostra morte. Egli era convinto che la meditazione sul nostro destino eterno, sulla nostra chiamata a partecipare per sempre alla beatitudine di Dio, come pure sulla tragica possibilità della dannazione, contribuisce a vivere con serenità ed impegno, e ad affrontare la realtà della morte conservando sempre piena fiducia nella bontà di Dio.
Sant'Alfonso Maria de' Liguori è un esempio di pastore zelante, che ha conquistato le anime predicando il Vangelo e amministrando i Sacramenti, unito ad un modo di agire improntato a una soave e mite bontà, che nasceva dall'intenso rapporto con Dio, che è Bontà infinita. Ha avuto una visione realisticamente ottimista delle risorse di bene che il Signore dona ad ogni uomo e ha dato importanza agli affetti e ai sentimenti del cuore, oltre che alla mente, per poter amare Dio e il prossimo.
In conclusione, vorrei ricordare che il nostro Santo, analogamente a san Francesco di Sales - di cui ho parlato qualche settimana fa - insiste nel dire che la santità è accessibile ad ogni cristiano: "Il religioso da religioso, il secolare da secolare, il sacerdote da sacerdote, il maritato da maritato, il mercante da mercante, il soldato da soldato, e così parlando d'ogni altro stato" (Pratica di amare Gesù Cristo. Opere ascetiche I, Roma 1933, p. 79). Ringraziamo il Signore che, con la sua Provvidenza, suscita santi e dottori in luoghi e tempi diversi, che parlano lo stesso linguaggio per invitarci a crescere nella fede e a vivere con amore e con gioia il nostro essere cristiani nelle semplici azioni di ogni giorno, per camminare sulla strada della santità, sulla strada verso Dio e verso la vera gioia. Grazie
(©L'Osservatore Romano 31 marzo 2011)
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In difesa dei civili libici
TRIPOLI, 30. Nonostante l'incontro di Londra, si continua a combattere in Libia, dove nel dodicesimo giorno di raid degli alleati le forze fedeli a Gheddafi non solo hanno respinto l'avanzata degli insorti, ma hanno riconquistato oggi il sito petrolifero di Ras Lanuf, costringendo gli avversari ad abbandonare le postazioni e fuggire a est verso Brega ancora controllata dagli insorti.
Un Gruppo di contatto sulla Libia, per trovare una via d'uscita alla grave crisi, è stato intanto costituito al termine del vertice di Lancaster House, a Londra, dove ieri si sono riuniti trentasette ministri degli Esteri e le principali organizzazioni internazionali. Assente nella capitale britannica l'Unione africana: il segretario generale, il gabonese Jean Ping, ha però scritto al ministro degli Esteri britannico, William Hague, esortando il Gruppo di contatto a manifestare pieno sostegno alla road map, il piano di pacificazione messo a punto dall'organizzazione panafricana che prevede la cessazione delle ostilità, la protezione dei civili e garanzie per l'assistenza umanitaria.
A Londra si è esaminata l'ipotesi dell'esilio del colonnello in un Paese africano. "È l'unico modo per fermare il bagno di sangue", ha detto il premier e capo della diplomazia del Qatar, Hamad bin Jabr Al Than. Contrario all'esilio però il Consiglio nazionale di transizione libico che chiede un processo per Gheddafi. Un inviato dell'Onu si recherà comunque a Tripoli per chiedere al regime un vero cessate il fuoco. Il ministro degli Esteri francese, Alain Juppè, ha affermato che Parigi è invece pronta a discutere con gli alleati un aiuto militare agli insorti in Libia. Anche il presidente statunitense, Barack Obama, intervistato dalla Nbc, ha detto di non escludere che gli Stati Uniti possano garantire assistenza militare diretta ai rivoltosi. "Non lo escludo, ma non dico neanche che lo faremo. Stiamo valutando cosa faranno le forze di Gheddafi", ha detto il capo della Casa Bianca. L'Alleanza atlantica ha iniziato oggi a dirigere le operazioni in Libia. Il segretario generale della Nato, Anders Fogh Rasmussen, ha però dichiarato che l'operazione in Libia si svolge per proteggere la popolazione e non per armarla.
E questa posizione ha trovato in perfetta sintonia il ministro degli Esteri russo, Serghiei Lavrov, il quale ha ribadito che "gli obiettivi prioritari sono per Mosca il cessate il fuoco e colloqui immediati".
(©L'Osservatore Romano 31 marzo 2011)
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Il presidente della Repubblica Napolitano chiede una politica comune sull'immigrazione
Lampedusa frontiera d'Europa
ROMA, 30. "Quello degli sbarchi a Lampedusa non è solo un problema italiano, perché a Lampedusa non c'è solo la frontiera dell'Italia, ma anche quella dell'Europa. Chi sbarca a Lampedusa pensa di essere arrivato in Europa. Perciò ci vuole una politica comune europea sull'immigrazione e non 27 politiche nazionali sullo stesso tema. So che c'è una riluttanza a fare questo passo. Bisogna superarla". Lo ha detto il presidente della Repubblica italiana, Giorgio Napolitano, nell'intervista pubblica rilasciata ieri alla New York University, in occasione del conferimento di una medaglia d'onore. Sull'isola siciliana, ormai al collasso, è giunto oggi il presidente del Consiglio, Silvio Berlusconi. Sempre oggi sono arrivate le prime due delle cinque navi inviate per trasferire gli oltre seimila migranti presenti, molti dei quali, nei giorni scorsi, hanno dovuto accontentarsi di ripari di fortuna. In giornata è previsto l'arrivo di altre due navi con migliaia di metri cubi d'acqua potabile. Questa notte, intanto, non è stato registrato alcuno sbarco, mentre a Linosa sono giunti 31 tunisini sfuggiti ai controlli sul canale di Sicilia. È stato nel frattempo smentito che a Lampedusa si corra il rischio di epidemie ma - come hanno sottolineato i sei ispettori epidemiologici inviati dal ministero della Salute - lo stato igienico-sanitario desta comunque allarme e preoccupazione.
(©L'Osservatore Romano 31 marzo 2011)
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Il Dragone e il primato
della ricerca mondiale
PECHINO, 30. La Cina si avvia a superare gli Stati Uniti nel campo della ricerca scientifica. Il sorpasso avverrà entro il 2013, ben sette anni prima del previsto. A fare il calcolo è uno studio della britannica Royal Society, sulla base del numero di studi pubblicati sulle riviste internazionali dai vari Paesi.
Dall'analisi emerge che la tradizionale prevalenza di Stati Uniti, Europa e Giappone sta iniziando a cedere di fronte all'avanzata dei Paesi emergenti. Nel 1996 gli Stati Uniti hanno pubblicato 292.513 studi, dieci volte più della Cina (25.474). Ma in poco più di dodici anni la situazione è nettamente cambiata: nel 2008 gli studi americani erano 316.317 contro i 184.080 cinesi. Secondo gli esperti, la Cina, dopo aver soppiantato la Gran Bretagna al secondo posto, supererà gli Stati Uniti entro due anni. Ma a conoscere l'incremento più veloce come numero di studi tra il 1996 e il 2008 è stato l'Iran, il cui numero di ricerche pubblicate è cresciuto di ben diciotto volte, passando da 736 a 13.238. Il numero di studi in collaborazione tra iraniani e americani è quintuplicato, passando da 388 a 1831. Buoni risultati li hanno registrati anche la Turchia, i cui valori sono quadruplicati dopo aver aumentato di sei volte le sue spese in ricerca e sviluppo, Tunisia, Singapore e Qatar. Tuttavia, fanno notare gli analisti, non sempre l'aumento della quantità corrisponde a un aumento della qualità.
(©L'Osservatore Romano 31 marzo 2011)
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In fuga le popolazioni della Costa d'Avorio
investite dalla guerra
YAMOUSSOUKRO, 30. In Costa d'Avorio il fronte dei combattimenti si estende a tutte le regioni del Paese, mentre si fa di ora in ora più drammatica la condizione delle popolazioni civili. Nelle regioni occidentali gli sfollati interni sono stimati tra gli ottocentomila e il milione e almeno altri centomila si sono rifugiati nella confinante Liberia. Anche a est ci sono migliaia di civili in fuga verso il Ghana e altrettanto accade a nord verso il Mali. Nella stessa Abidjan, la principale città del Paese, fonti della Croce Rossa citate dalla Misna, l'agenzia internazionale delle congregazioni missionarie, riferiscono di interi quartieri ormai disabitati e di una fuga ininterrotta di civili.
Le forze militari fedeli al presidente uscente, Laurent Gbagbo, sono all'offensiva contro quelle che sostengono Alassane Ouattara, vincitore delle elezioni presidenziali dello scorso 28 novembre e riconosciuto dalla comunità internazionale come capo di Stato, al quale lo stesso Gbagbo ha rifiutato di cedere il potere, aprendo una crisi che ha rigettato il Paese nella guerra civile. Dopo intensi scontri, la città orientale di Bondoukou, confinante con il Ghana, sarebbe passata sotto il controllo dei reparti militari schierati con Ouattara.
Anche la località occidentale di Duékoué e quella centroccidentale di Daloa sono state investite da combattimenti che hanno visto prevalere le forze di Ouattara su quelle di Gbagbo. Fonti militari citate dalla stampa ivoriana annunciano nuove offensive verso le città di Tanda e Agnibilekrou, a cento chilometri a sud di Bondoukou, mentre sul fronte occidentale la strada è spianata verso il porto di San Pedro. Accuse di violenze contro i civili sono state reiterate dalla missione dell'Onu in Costa d'Avorio (Unoci) contro le forze di Gbagbo che controllano di fatto Abidjan, dove lo stesso Ouattara è assediato nel suo quartier generale all'Hotel du Golf, protetto dai caschi blu. Mentre scontri sono in atto nei quartieri di N'dotré e Anyama, abitati in prevalenza da sostenitori di Ouattara, un comunicato dell'Unoci ha denunciato che le milizie di Gbagbo hanno sparato su civili inermi nel quartiere settentrionale di Williamsville, facendo una decina di morti. Il comunicato aggiunge che gruppi sostenitori di Gbagbo hanno bruciato vivo un giovane avversario nel quartiere Riviera e hanno selvaggiamente aggredito due funzionari dell'Unoci che svolgevano il proprio lavoro.
Nel frattempo, Ouattara e i suoi alleati, riuniti nel Raggruppamento degli houphuetisti per la democrazia e la pace (Rhdp), la formazione che prende il nome da Felix Houphouet-Boigny, il primo presidente della Costa d'Avorio, hanno diffuso un comunicato nel quale si dichiara di voler tentare, anche mentre è in atto l'offensiva delle loro forze militari, "tutte le vie pacifiche" per indurre Gbagbo a farsi da parte. Tuttavia, le possibilità di una soluzione diplomatica della crisi, con una rinuncia di Gbagbo, sono giudicate sempre più remote dalla gran parte degli osservatori internazionali.
(©L'Osservatore Romano 31 marzo 2011)
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Telegiornali
a grande schermo
di CLAUDIA DI GIOVANNI A cavallo del Novecento maturano le condizioni economiche, politiche e sociali che portano l'Europa in una nuova era. Telegrafo, telefono, radio e cinema offrono straordinarie possibilità, consentendo alla massa un rapido accesso alle informazioni.
Il cinema nasce come esperimento scientifico per riprodurre la realtà. Poi, l'estro artistico e il desiderio di attrarre sempre più il pubblico creano l'arte della rappresentazione. Di fatto, però, l'informazione è fondamentale nel momento stesso in cui nasce il cinema, nel 1895, con l'arrivo di un treno in stazione dei fratelli Lumière. Sono loro che inventano la professione del reporter cinematografico, ingaggiando quello che passerà alla storia come il primo operatore dell'attualità, Félix Mesguich, mandato per il mondo a caccia di immagini eccezionali. E mentre Georges Méliès gira il primo film politico ispirato alla cronaca (L'affaire Dreyfus) gli operatori viaggiano realizzando cortometraggi d'informazione. Nel 1908, la casa di produzione Pathé lancia il primo vero rotocalco settimanale, Pathé-Faits Divers.
Le attualità filmate ottengono il favore del pubblico: con il commento sottotitolato, lo spettatore scopre l'attualità attraverso l'immagine. Le case di produzione cinematografica francesi dominano i mercati mondiali e anche la Gaumont (antagonista della Pathé) inizia a produrre il suo cinegiornale, Gaumont Actualités. Con la Grande guerra gli operatori sono mandati al fronte, nonostante la diffidenza e la censura delle autorità militari. I cinegiornali diventano talmente popolari da alimentare nel pubblico la fame di notizie, come la radio e le riviste, mescolando argomenti seri e frivoli. La sonorizzazione dell'immagine a fine anni Venti trasforma questi cinegiornali che, con il suono e la musica assumono un maggiore realismo, mentre il commento favorisce una migliore comprensione per lo spettatore. L'Europa deve fare i conti con l'egemonia del mercato cinematografico statunitense e la società americana Fox sarà la prima a inserire il sonoro nel suo reportage che filma il volo transatlantico (20 maggio 1927) di Charles Lindbergh, e lo proietta la sera stessa in un teatro di New York, aprendo così la strada al primo cinegiornale sonoro regolare, Movietone News. Con lo scoppio della seconda guerra mondiale, il cinegiornale è ormai la via d'informazione più popolare, divenendo allo stesso tempo un formidabile strumento di propaganda.
Anche l'Italia ha prodotto i suoi cinegiornali. Tra i più rappresentativi Il Giornale Luce (dal 1927 al 1945), fondamentale nella propaganda del regime fascista, ma in fondo anche organo informativo in un contesto difficile, e La Settimana Incom che (dal 1946 al 1965) racconterà l'Italia del dopoguerra. I cinegiornali hanno dunque rappresentato un veicolo di informazione ben più efficace delle riviste, poiché facilmente comprensibili anche dalle fasce meno alfabetizzate della popolazione e dotati di una diffusione più capillare grazie al cinema. Grazie a essi è possibile avere un panorama unico dell'epoca pre-televisiva.
(©L'Osservatore Romano 31 marzo 2011)
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Quando il cinema denunciava i mali dell'Italia
di EMILIO RANZATO Se il cinema ufficiale sul Risorgimento, pur sottolineando talvolta limiti e contraddizioni del processo storico, arriva raramente a criticarne il risultato, c'è invece un'altra filmografia che, senza parlare direttamente dell'unificazione, evidenzia in maniera aspra, a volte impietosa, i traumi delle sue conseguenze. Confermando così l'attitudine profondamente anticelebrativa del cinema italiano, ma soprattutto assolvendo a quel ruolo di denuncia che gli autori italiani, dal dopoguerra in poi, hanno sempre attribuito al grande schermo. Due film, complementari tra loro, sono in tal senso emblematici, specie per come sviluppano il tema della dicotomia nord-sud, peculiarità della penisola nel contesto europeo: In nome della legge (Pietro Germi, 1948) e Rocco e i suoi fratelli (Luchino Visconti, 1960).
Nel primo un pretore settentrionale (Massimo Girotti) arriva in un paese siciliano, trovando una terra divisa fra banditismo e una mafia ancora non soffocante ma già intenzionata ad assurgere a Stato nello Stato. Malgrado il contributo di sceneggiatori importanti (Monicelli, Fellini e Pinelli) e la fonte letteraria Piccola pretura (in cui il magistrato Giuseppe Guido Lo Schiavo raccontava in forma romanzesca un'esperienza da lui vissuta), del film è stata spesso sottolineata la scarsa attendibilità storica e sociologica. In particolare per l'ottica eccessivamente negativa con cui viene descritta la provincia siciliana e, viceversa, per il ruolo troppo positivo che si finisce per attribuire all'organizzazione mafiosa. Proprio gli eccessi del film, però, finiscono per essere funzionali al punto di vista di un protagonista genericamente settentrionale, appena sottaciuto alter-ego del genovese Germi. La sua intenzione non è infatti di fare un film storico, ma di sottolineare, con mezzi espressivi simbolici, la distanza fra due mondi, sostituendo alla propensione civile e in ultima analisi edificante del libro d'origine, lo spirito amaro e caustico che sarà tipico del regista. Assume così un significato particolare la scelta stilistica di sottrarsi ai mezzi espressivi del neorealismo, in favore di una messa in scena di evidente influenza americana. Proprio il neorealismo aveva infatti costituito la nascita di un idioma cinematografico italiano, rappresentando quasi un corrispettivo del processo culturale e linguistico che da Dante a Manzoni aveva innervato il crescente sentimento di unità nazionale.
i nascita come Germi ma da sempre attratto dalla cultura meridionale e dalla sua decadenza, Visconti procede con Rocco e i suoi fratelli in senso opposto, raccontando dall'ottica di una famiglia del sud una Milano in pieno boom economico incapace di accogliere realtà non pronte ai conformismi della società industriale. Il regista non si tira indietro nel tratteggiare, pur con partecipazione, l'arretratezza del nucleo familiare protagonista, ma a emergere sempre più nel film è l'immagine di un mondo esterno che lo rifiuta, e che trova nell'ambiente pugilistico frequentato da Simone e Rocco la metafora di una lotta per la sopravvivenza in cui non v'è spazio per la solidarietà e la comprensione. Film dicotomico anche a livello visivo, l'opera viscontiana opta per un bianco e nero inciso come una xilografia, in cui gli scuri delle periferie contrastano con i chiari violenti dei riflettori che sovrastano il quadrato simbolico del ring. Anche qui il neorealismo, con i suoi grigi realistici ma anche sottilmente evocativi di una comunione d'intenti, lascia spazio (pur senza strappi evidenti, tanto che all'estero ancora oggi il film viene considerato un tardo esempio dell'esperienza neorealista) a uno sguardo parziale e soggettivo, che rende bene la visione di un mondo più composito e difficile da interpretare rispetto al recente passato.
Ma ad avvalorare ulteriormente l'importanza di questi due film nel contesto del rapporto fra processo di unificazione e cinema italiano, è il fatto (certo non casuale) che entrambi i registi abbiano realizzato solo pochi anni dopo pellicole sul periodo risorgimentale. Con Il brigante di Tacca del Lupo (1952), Germi firma quasi un prequel del film interpretato da Girotti, sottolineando le connessioni fra unità e brigantaggio, e descrivendo quest'ultimo come un'anticamera al banditismo visto nell'altro film. Ancor più che in quello, si serve qui di mezzi espressivi da western americano per tratteggiare il rapporto fra personaggi e ambiente, e quindi fra anarchismi di vario genere e la realtà geopolitica del meridione.
Il Risorgimento per Visconti, ne Il Gattopardo (1963), è il pretesto per raccontare l'ennesima storia di decadenza, quella dell'aristocrazia siciliana. Ma dietro la famosa massima "se vogliamo che tutto rimanga com'è, bisogna che tutto cambi", Visconti coniuga l'indole di progressista con la pulsione da intellettuale aristocratico, finendo per far coincidere questa decadenza con un immobilismo venato amaramente di fatalismo: i poveri saranno ancora poveri e i borghesi si sostituiranno alla nobiltà senza per ciò dismettere una mentalità da piccoli feudatari. Col senno di poi, un'ottica propedeutica a quella del suo capolavoro precedente.
(©L'Osservatore Romano 31 marzo 2011)
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Per gli immigrati
una stagione di inclusione
ROMA, 30. Una nuova stagione per l'integrazione degli immigrati, che sbocchi nel pieno riconoscimento dei diritti di cittadinanza. La chiedono i presuli riuniti nel consiglio permanente della Conferenza episcopale italiana (Cei) mentre sulle sponde del Mediterraneo si vivono ore di vera emergenza umanitaria. In una dichiarazione diffusa martedì 29, monsignor Domenico Pompili, direttore dell'ufficio comunicazioni sociali della Cei, sottolinea infatti come per i presuli italiani le questioni "dell'immigrazione, la pace e l'accoglienza risultano strettamente collegate: ci si apre all'una, solo se si è aperti anche all'altra". E "la necessità di una nuova stagione di inclusione sociale che porti al riconoscimento degli immigrati come cittadini, soggetti di diritti e di doveri, è un obiettivo che non potrà essere ulteriormente dilazionato". L'intervento dei vescovi si fa così interprete delle preoccupazioni pastorali delle comunità locali impegnate nell'opera di accoglienza e soccorso della straordinaria ondata di profughi e immigrati che da giorni giunge dalla Libia e dagli altri Paesi del Nord Africa. In prima linea l'arcidiocesi di Agrigento, nel cui territorio ricade l'isola di Lampedusa, primo punto d'approdo italiano delle "carrette del mare". Come "segno di attenzione" per l'isola delle Pelagie e "vicinanza alla comunità cristiana", l'arcivescovo Francesco Montenegro ieri ha annunciato che celebrerà la veglia pasquale non nella cattedrale della città siciliana, ma nella parrocchia San Gerlando di Lampedusa.
Dalla Chiesa agrigentina anche la promozione di una strategia d'intervento unitario per Lampedusa, che coniughi, anche attraverso l'invio di sacerdoti, l'ambito pastorale con l'intervento della Caritas. "Sono molti i missionari - afferma monsignor Melchiorre Vutera, vicario generale dell'arcidiocesi siciliana - che hanno manifestato la loro disponibilità. Gli obiettivi sono quelli di garantire un sostegno al parroco di Lampedusa, nello svolgimento delle attività pastorali, garantire la loro ripresa, per quanto possibile, affinché la comunità ecclesiale dell'isola non abbia a soffrirne ulteriormente e possa trovare nella fede la carica per l'accoglienza".
Quanto all'attività di assistenza - afferma Valerio Landri, direttore della Caritas diocesana - "si tratta di riunire tutte le attività a sostegno delle condizioni dei migranti, cercando d'integrare i servizi che, in questo momento, non sono idonei a soddisfare i bisogni di 7.000 persone: servizi igienici, distribuzione abbigliamento, scarpe, coperte". E da don Carmelo La Magra, direttore del locale ufficio Migrantes, la richiesta "di un maggiore impegno e sensibilità da parte di chi è chiamato a decidere, augurandoci che nel rispetto della dignità di ciascuno sia salvaguardata la giustizia e la carità".
Infine, le Associazioni cristiane lavoratori italiane (Acli) chiedono di adottare per quanti sbarcano a Lampedusa un "provvedimento straordinario di accoglienza temporanea", che coinvolga l'Europa. Le Acli - ha detto il presidente Andrea Olivero - giudicano "immorali e inammissibili" le ipotesi avanzate di respingimenti di massa e chiamano tutti a "fare la loro parte": le regioni, "tutte, non solo quelle del Sud", e l'Europa che "deve mostrarsi coerente con le sue radici cristiane e illuministiche ed estendere la protezione umanitaria a coloro che sbarcano in queste ore".
(©L'Osservatore Romano 31 marzo 2011)
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