Si cerca di delineare
un futuro per la Libia
BRUXELLES, 25. Settimo giorno di operazioni militari in Libia - che dureranno "settimane, si spera non mesi" secondo la previsione dei vertici militari francesi - con i caccia della coalizione che dopo avere neutralizzato la contraerea libica si concentrano nel colpire obiettivi militari. Da fonti statunitensi si è appreso che gli Emirati Arabi Uniti invieranno 12 aerei da combattimento in Libia per rafforzare la coalizione. Un caccia francese ha distrutto ieri un aereo da addestramento libico che era atterrato a Misurata violando la no-fly zone. E mentre la Nato ha annunciato che è stato raggiunto un compromesso per guidare le operazioni per imporre una zona di non volo sulla Libia, l'Unione europea è determinata a contribuire all'applicazione della risoluzione del Consiglio di sicurezza dell'Onu 1973. È quanto sottolineano i capi di Stato e di Governo dei 27 nelle conclusioni del vertice che si è tenuto a Bruxelles. Nel frattempo, ad Addis Abeba si è riunita questa mattina l'Unione africana per tentare di trovare una soluzione diplomatica alla crisi libica.
L'Ue sollecita ancora una volta Gheddafi a farsi da parte immediatamente per consentire l'avvio di un dialogo con le parti interessate per dare il via al processo di transizione democratica tenendo presente la necessità di assicurare la sovranità e l'integrità territoriale della Libia. Per il momento è stato deciso che la Nato guiderà le operazioni per imporre la no-fly zone sulla Libia. Si sta invece ancora valutando l'opportunità che l'Alleanza Atlantica assuma maggiori responsabilità. A dare il senso delle decisioni che hanno preso forma al Consiglio Atlantico a Bruxelles è stato il segretario generale della Nato, Anders Fogh Rasmussen, come riportato dalla Bbc. Sebbene la Nato assumerà il comando delle operazioni militari per imporre la no-fly zone sulla Libia, il presidente francese, Nicolas Sarkozy, ribadisce che "tutti debbono capire che il coordinamento deve rimanere esclusivamente politico anche se (tutto il resto) è affidato al meccanismo della Nato". Hillary Clinton ha fatto del suo meglio per nascondere la delusione per la decisione della Nato di limitarsi ad assumere la responsabilità solo dell'applicazione della no-fly zone sulla Libia. Il segretario di Stato americano contava - come Obama - di cedere all'Alleanza atlantica la guida di tutte le operazioni militari per proteggere il popolo libico. Il presidente statunitense si è consultato ieri telefonicamente con il presidente russo, Dmitri Medvedev, al quale ha manifestato apprezzamento per il supporto della Russia all'attuazione della risoluzione 1973 dell'Onu riaffermando l'appoggio degli Stati Uniti all'ingresso della Russia nel Wto nel 2011.
(©L'Osservatore Romano 26 marzo 2011)
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I danni di una crescita
solo materialistica
di ETTORE GOTTI TEDESCHI Il titolo del libro attrae e invita subito a riflettere in modo necessariamente critico. La malattia dell'Occidente (Roma-Bari, Laterza, 2010, pagine 151, euro 16), per l'autore Marco Panara, nasce dal non aver saputo sostenere il valore del lavoro verso il presunto valore del capitale. È questo, forse, l'unico punto di dissenso con l'autore, il cui libro ha l'originalità di fornire la prima analisi completa del crollo della offerta di lavoro in occidente. Le tesi di Panara andrebbero dibattute a livello internazionale e potrebbero perfino servire come base per una serie di interrogazioni al Governo europeo, a cui si potrebbe chiedere quali strategie pensa di adottare per gestire il fenomeno.
La vera malattia dell'occidente è però ben altra, più profonda e grave: è il nichilismo che lo ha sradicato da ogni verità assoluta e lo ha portato a diventare materialista, perseguendo una soddisfazione sempre più consumistica. La malattia dell'uomo occidentale è la sua lontananza da Dio e la tendenza ad affogare nel consumismo le sue ansie da essere intelligente.
Ma al di là della premessa, Panara sviluppa perfettamente l'analisi. In un mondo che rinuncia alla crescita naturale - interrompendo quasi le nascite e conseguentemente la crescita vera del pil - l'unico modo per consumare sempre di più e fare crescere il potere di acquisto, che invece diminuisce con l'aumento delle tasse necessarie a pagare i costi dell'invecchiamento della popolazione. Per incrementare il potere di acquisto si può tentare di aumentare la produttività, ma è più facile diminuire i prezzi dei beni, producendoli dove la mano d'opera è più economica. Cioè delocalizzando la produzione in Paesi a basso costo e reimportando i beni a prezzi molto inferiori rispetto a quelli prodotti all'interno. Per questo sono stati spostati, soprattutto in Asia, capitali e tecnologie, dimenticando forse che si stava trasferendo anche occupazione. Inoltre, questo processo non è stato accompagnato, forse per la fretta, dall'adozione di strategie compensative per l'occidente.
Panara è uno dei migliori e più noti giornalisti economici italiani, è responsabile del supplemento "Affari e Finanza" de "la Repubblica". Nel suo libro spiega perfettamente la dinamica che ha condotto l'occidente alla mancanza di sostegno al lavoro, soprattutto manuale. Per rincorrere l'esigenza del consumo, necessario a far crescere un pil che altrimenti sarebbe crollato, il mondo è stato spaccato in due. Da una parte i Paesi produttori ma non ancora consumatori, dall'altra i Paesi consumatori e non più produttori, cioè noi occidentali. Per cercare di essere competitivi nel mondo globale gli occidentali cercano maggiore efficienza, concorrendo però a peggiorare le condizioni dal punto di vista del lavoro. Investono in tecnologia, che è labour saving. Privatizzano le inefficienti imprese di Stato e la pubblica amministrazione, le quali, rinunciando ai costi dell'inefficienza, tagliano molta mano d'opera. Liberalizzano i mercati, confrontandosi con Paesi che vantano costi minori, trovandosi così obbligati a delocalizzare ancora di più produzione e occupazione.
Il libro è un manuale di storie di efficienza ritrovata, ma senza strategie di compensazione della mano d'opera in eccesso: il mercato globale avvantaggia il consumatore, che può scegliere di acquistare prodotti meno costosi e allo stesso tempo colpisce i produttori inefficienti o ad alto costo. Ma questi produttori sono gli stessi che, attualmente, danno lavoro ai consumatori che desiderano spendere meno e che rischiano di perdere l'impiego nella loro rincorsa al prezzo più basso. È un conflitto che crea disoccupazione se manca una strategia economica.
Panara ci aiuta a ricordare tutti gli errori fatti negli ultimi cinquant'anni. Errori di statalismo, protezionismo, assistenzialismo e poi di consumismo, fino agli eccessi del consumismo a debito insostenibile che ha portato a suonare la campanella di "fine ricreazione". Gli strumenti descritti nel libro - tecnologia, finanza, delocalizzazione - sono tutti buoni, ma non funzionano se sono usati male. E ciò avviene quando ci si dimentica che sono strumenti in mano all'uomo, il quale non solo deve saperli utilizzare, ma deve saper dare loro un senso, un fine. Altrimenti arriva al crac che coinvolge la politica e mette persino a rischio la democrazia, come appunto l'autore ci spiega.
Ma per non cadere nella trappola non basta rinnovare il capitalismo, come sostiene Panara. È invece necessario rinnovare l'uomo, come propone Papa Benedetto XVI nella Caritas in veritate. E per riuscirci ci vogliono buoni preti, più che buoni economisti o buoni industriali. Loro potrebbero forse spiegare che il lavoro è venuto a mancare perché si è pensato a consumare a debito senza investire, sprecando risorse e inseguendo una crescita solo materialistica.
(©L'Osservatore Romano 26 marzo 2011)
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Cresce la paura della radioattività
TOKYO, 25. Mentre con il passare dei giorni in Giappone cresce il numero delle vittime del terremoto e dello tsunami dell'11 marzo - l'ultimo bilancio diffuso oggi dalle autorità parla di 10.443 i morti accertati e di 17.443 dispersi - aumenta anche la paura di non riuscire a contenere la contaminazione radioattiva provocata dalla centrale nucleare di Fukushima danneggiata.
Il Governo giapponese ha invitato gli abitanti dell'area di trenta chilometri intorno alla centrale a sgomberare la zona. Il portavoce governativo Yukio Edano detto che si tratta appunto di un invito e non di un ordine di evacuazione, parlando di una misura "per migliorare la qualità della vita quotidiana e non legata a motivi di sicurezza", ma il ministero della Scienza e della Tecnologia ha comunicato che la quantità di radiazioni giornaliere rilevata a 30 chilometri da Fukushima ha superato il limite annuale della dose naturale. Radioattività oltre la norma è stata segnalata dal ministero della Sanità anche su legumi coltivati nella zona di Tokyo, a 240 chilometri da Fukushima. Inoltre, l'Agenzia nipponica per la sicurezza nucleare ha indicato che si accinge ad alzare la valutazione dell'incidente dall'attuale quinto livello al sesto dei sette della International Nuclear and Radiological Event Scale (Ines), la scala introdotta dell'Agenzia internazionale dell'energia atomica. Finora il settimo livello della Ines è stato assegnato solo al disastro di Chernobyl del 26 aprile del 1986.
In tutto il mondo, intanto, si prendono iniziative per controllare le centrali nucleari. Il Consiglio europeo riunito a Bruxelles ha deciso oggi cosiddetti stress test "completi e trasparenti". Inoltre, la Commissione europea rivedrà l'attuale normativa sulla sicurezza degli impianti nucleari e proporrà ogni intervento che possa risultare necessario. Ieri era stato annunciato che Russia e Stati Uniti hanno concordato stress test comuni su tutte le centrali, con mutue verifiche.
(©L'Osservatore Romano 26 marzo 2011)
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Il Dragone
diventa verde
Lo sviluppo sostenibile nel Piano quinquennale cinese
DI STEFANIA SCHIPANI Il prossimo piano quinquennale della Cina relativo al periodo 2011-2015 parrebbe orientato all'affermazione di un nuovo modello di sviluppo rivolto alla tutela dell'ambiente. Prevede infatti ingenti investimenti (che potrebbero raggiungere il valore di circa 450 miliardi di dollari destinati in prevalenza al risparmio energetico) per lo sviluppo di tecnologie volte alla riduzione dei gas serra, al miglioramento dell'efficienza energetica, allo sviluppo di fonti energetiche rinnovabili e anche alla diffusione di veicoli ecologici. Sebbene la Cina non abbia mai esplicitamente firmato accordi internazionali finalizzati alla riduzione dell'inquinamento atmosferico, già da tempo erano stati espressi l'orientamento allo sviluppo di un'economia più verde (nel 2009 ha investito quasi 35 miliardi di dollari per le energie rinnovabili) e l'intento di ridurre entro il 2020 le emissioni di anidride carbonica nell'atmosfera del 40-45 per cento rispetto al 2005. Le motivazioni sono diverse.
Sicuramente, il Paese non vuole rinunciare alla sostenuta crescita economica che lo ha caratterizzato negli ultimi anni (pur prevedendo un lieve rallentamento rispetto al passato), in controtendenza con i Paesi industrializzati. E il rafforzamento della cosiddetta green economy è anch'essa una condizione indispensabile per proseguire il percorso di accrescimento produttivo. Conciliare le tecnologie verdi e l'aumento della produzione e della domanda, con il patrimonio infrastrutturale esistente - in Cina l'utilizzo delle centrali a carbone a tecnologia fortemente inquinante è altissimo - non sarà facile. Ma il ricorso alle energie rinnovabili non è soltanto una scelta, è anche una necessità. La crescita può essere assicurata soltanto da un approvvigionamento energetico sicuro. Sebbene i dati scientifici e le proiezioni al riguardo siano ancora controversi, il rischio di difficoltà nel rifornimento di combustibili fossili (dovuto al probabile depauperamento dei giacimenti) e il problema della elevata volatilità dei prezzi (che si è verificata per esempio nel mercato petrolifero), sono fortemente sentiti soprattutto nelle economie in crescita che, come quella cinese, esprimono un progressivo aumento della domanda di energia.
Il forte potenziale energetico dei combustibili fossili, come carbone petrolio, gas, ha consentito il ritmo frenetico di sviluppo industriale dei Paesi occidentali ma ora deve essere integrato con altre fonti. La Cina secondo i dati dell'International Energy Agency, l'agenzia internazionale per l'energia, ha bruciato nel 2009 più di 2 milioni di tonnellate di petrolio, il 4 per cento in più rispetto agli Stati Uniti. Ma l'ipotesi di una scarsità di risorse rende necessario il ricorso anche a fonti energetiche alternative rinnovabili, le uniche che sono, in pratica, inesauribili. Ovviamente, ciò richiede investimenti enormi e un cambio di rotta nel modello di consumo e di produzione.
Inoltre la Cina non è certo estranea alle conseguenze del surriscaldamento climatico provocato, attraverso i processi industriali di produzione, dall'emissione di gas serra in atmosfera. I fenomeni di desertificazione che erodono progressivamente i terreni agricoli, le calamità atmosferiche violente che causano la fuga di milioni di eco-profughi, l'inquinamento atmosferico e i veleni dell'aria che soffocano le metropoli (in cui il livello di anidride carbonica pro capite è fra i più alti in tutta l'Asia), non lasciano indifferenti le autorità cinesi.
Il nuovo programma economico stabilisce una forte spinta al cambiamento: gli investimenti nel settore della ricerca e l'ammodernamento tecnologico per le energie alternative e l'efficienza energetica, esprimono una svolta decisa per il superamento di un modello di consumo e produzione che è divenuto oramai insostenibile.
(©L'Osservatore Romano 26 marzo 2011)
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Al crocevia
della cultura contemporanea
Il 25 e il 26 marzo si svolge a Concesio (Brescia), presso l'Istituto Paolo VI il convegno "L'idea di università". Pubblichiamo stralci di due relazioni.
di ANGELO MAFFEIS Il 9 marzo 1964 Paolo VI, in un discorso rivolto ai partecipanti a un congresso di studenti di scienze economiche, ricorda di essere stato anche lui studente e cappellano degli studenti. A distanza di quasi quarant'anni dall'inizio della sua attività come assistente ecclesiastico della Federazione universitaria cattolica italiana (Fuci), confida agli ascoltatori che "le ore migliori della nostra attività sacerdotale (...) sono quelle che abbiamo passato come giovane sacerdote in mezzo agli studenti, ascoltandoli, cercando di comprenderli, facendo del nostro meglio per aiutarli a scoprire la verità, il Vangelo, il Cristo, la Chiesa". Queste parole rivelano la prospettiva fondamentale secondo cui Giovanni Battista Montini ha considerato l'università e ha maturato nel corso degli anni una riflessione sulla missione a essa affidata, sulle relazioni che al suo interno si intrecciano tra docenti e studenti e sulle forme della presenza cristiana nell'ambiente accademico. Si tratta di una prospettiva pastorale, che considera cioè l'università non primariamente nei suoi assetti istituzionali o nell'esercizio delle funzioni di ricerca e insegnamento, ma come ambiente e come tempo vissuto da studenti ai quali la Chiesa è chiamata a prestare gli aiuti necessari perché questa stagione della vita non sia vissuta nel segno della dissipazione delle convinzioni religiose e morali acquisite in precedenza, ma favorisca al contrario un'autentica maturazione della fede e della vita cristiana.
La riflessione montiniana è dominata dal senso dell'urgenza di questo compito e dalla consapevolezza che troppo poco è stato fatto. È eloquente al riguardo la risposta che nel 1930 egli dà all'interrogativo circa i modi in cui la Chiesa ha manifestato la sua attenzione per il mondo universitario. "Qual è la cura che il clero italiano s'è preso della sua Università? La risposta è terribilmente semplice; perché, salvo qualche buona eccezione, si può dire nessuna". Tra le eccezioni a questa diffusa assenza della Chiesa dal mondo accademico Montini menziona l'Università Cattolica del Sacro Cuore e la Fuci. L'università fondata da padre Gemelli non persegue però l'obiettivo di assicurare la cura pastorale a tutti gli studenti universitari, ma intende formare i propri studenti e proporsi come soggetto in grado di incidere nel panorama della cultura italiana. La Fuci si è invece assunta direttamente il compito "di assistere localmente gli Studenti delle ventitré città universitarie e di rintracciarli anche nelle loro sedi originarie".
A quest'opera Montini si è dedicato con passione nei primi anni del suo ministero, affiancando l'attività in mezzo agli studenti al lavoro nella Segreteria di Stato e proprio tale impegno ha conferito una connotazione pastorale al suo interesse per l'università. Tale interesse non è venuto meno neppure in seguito, quando Montini, dopo aver lasciato l'incarico di assistente della Fuci, ha assunto responsabilità via via crescenti in Segreteria di Stato, rimanendo però autorevole punto di riferimento per il movimento dei Laureati cattolici e si è manifestato in numerose occasioni durante l'episcopato milanese e il pontificato. Si fraintenderebbe tuttavia il senso della connotazione pastorale dell'interesse montiniano per l'università se lo si riducesse alla ricerca e alla pianificazione di interventi volti ad assicurare la cura pastorale degli studenti cattolici. L'orizzonte all'interno del quale Montini considera l'università è molto più ampio ed è dominato dalla convinzione che il mondo universitario rappresenti il crocevia delle fondamentali questioni della cultura contemporanea. A ragione Giuseppe Colombo sottolinea che nella visione di Paolo VI "l'Università assume quasi il valore di un simbolo, grave e delicato, perché tendenzialmente si identifica con la cultura (in senso umanistico) e quindi col pensiero e quindi con la ragione". Senza mai perdere di vista la concreta esperienza dello studente universitario, Montini considera dunque tale esperienza come lo spettro attraverso il quale considerare le vicende storiche dell'università e la sua missione culturale, dal momento che essa rappresenta un luogo decisivo dell'incontro tra fede cristiana e cultura moderna. La convinzione che la conoscenza credente della verità rivelata appartiene alla formazione integrale della persona porta, da una parte, ad affermare il principio che essa dovrebbe trovare spazio come oggetto di studio all'interno dell'università. D'altra parte, realisticamente, Montini riconosce che l'università si comprende come luogo laico di ricerca e, a partire da tale presupposto, ha bandito lo studio teologico della religione cristiana, conservando semplicemente qualche insegnamento di carattere storico. Il giudizio sull'abolizione delle facoltà di teologia nell'università italiana, deciso nel 1873, è rivelatore di questo duplice punto di vista. "L'abolizione delle cattedre di teologia, avvenuta dopo il Settanta, tutto sommato, fu certamente un bene, dal momento che un simile insegnamento, squisitamente delicato, in mano ad uno Stato liberale e massonico, e sottratto da un controllo autorizzato e da una direttiva ortodossa, avrebbe dato in breve cattedre di eresia, vale a dire di corrosione del patrimonio religioso e, in definitiva, di negazione. Ma sta il fatto che è mancata così all'Italia tutta una corrente di studi, che negli altri Paesi civili assumeva in questi ultimi decenni proporzioni immense". Il prezzo pagato per questa esclusione è stato alto. "Ha fatto esulare dalla Scuola italiana quello che c'era, indiscutibilmente, di più italiano, il cattolicesimo, e (...) l'ha confortata a restringere le sue aspirazioni spirituali ai problemi immediati del sapere borghese". Rimane in Montini profondo il rispetto per lo spirito della ricerca universitaria e per l'esercizio della critica che tale ricerca richiede. Tale spirito critico è richiesto anche agli studenti nel non allinearsi in modo passivo a quanto viene insegnato, ma a giudicarne la verità, così che lo studio universitario possa essere una vera scuola di libertà del pensiero. La libertà del pensiero deve essere fatta valere in particolare contro la pretesa totalitaria di un metodo scientifico che non si limita a dichiararsi incompetente riguardo alle questioni fondamentali di carattere filosofico e religioso, ma ne dichiara l'insensatezza.
Persino il dramma contemporaneo dell'ateismo può avere un significato positivo come stimolo a purificare il concetto di Dio e a riconoscerne in modo più appropriato la trascendenza. Ma quando ricerca scientifica e studio universitario si chiudono in modo pregiudiziale nei confronti dell'esperienza religiosa è la stessa qualità scientifica della ricerca e della formazione che ne risulta impoverita. Al contrario, dove l'esperienza credente entra in contatto con l'istituzione universitaria l'una non mortifica l'altra né si ignorano reciprocamente al fine di assicurarsi una pacifica convivenza. "Si direbbe anzi che una profonda simpatia avvicini questi due aspetti della vita".
Il contributo che la religione porta alla ricerca scientifica è prima di tutto la fiducia, fiducia "nella possibilità, sia soggettiva che oggettiva, del sapere, di quel sapere, che sarà sempre suscettibile di sviluppi e di progressi e avrà sempre perciò un aspetto problematico, ma che in ogni grado della sua onesta formulazione dà la certezza, dà il gusto della verità (Gaudium de veritate)". La religione favorisce in particolare la fiducia nell'universalità e nell'unità del sapere, che un sistema universitario sempre più specializzato rischia di perdere completamente di vista. Il ricercatore e lo studente che si immergono nello studio sempre più specializzato traggono perciò beneficio dall'esperienza religiosa che "tiene aperto e disteso il cielo della realtà totale, dell'ordine complesso e gerarchico delle varie discipline, dei principi filosofici assoluti e universali, della possibile collaborazione delle varie fonti di studio (...) e indirizza l'enciclopedia dello scibile umano a quell'armonia (...) che i maestri medioevali designavano con una parola scolastica di superbo valore, la Summa".
L'elezione pontificia di Giovanni Battista Montini, insieme alla dilatazione della responsabilità ecclesiale, porta con sé anche un ampliamento dell'orizzonte in cui ha considerato il tema dell'università. Le indicazioni che egli offre al riguardo sono in continuità con la riflessione maturata nei decenni precedenti e attingono all'insegnamento del Vaticano sulla missione della Chiesa e sull'impegno al quale essa è chiamata in campo educativo.
Tra la fine degli anni Sessanta e l'inizio degli anni Settanta gli interventi di Paolo VI rivolgono l'attenzione anche ai movimenti di contestazione che, sorti all'interno delle università, hanno attraversato il mondo occidentale. Di fronte a questi fenomeni, il Papa conferma l'attitudine maturata negli anni giovanili nei confronti delle correnti della cultura contemporanea: il giudizio critico non può essere disgiunto dallo sforzo di capire. La via del discernimento è indicata da Paolo VI nel 1969 ai partecipanti al Congresso dei delegati delle università Cattoliche. "In mezzo alle agitazioni che si sviluppano con violenza e asprezza, raccogliete il loro grido, ascoltate quello che c'è di vero nel loro appello, rispondete alle loro giuste istanze. Con coraggio e lucidità, accettate le messe in questione necessarie. Con saggezza e misura, operate i discernimenti indispensabili. Con audacia e fermezza, aprite le vie del futuro. A tutti sappiate insegnare, con la vostra vita come col vostro insegnamento, come e perché si vive, in una fede ardente, una speranza inconfondibile e un'ardente carità".
Come pastore della Chiesa romana Paolo VI ha incontrato anche l'università di Roma. In occasione della visita del 14 marzo 1964 alla Sapienza, torna sul tema dell'università come luogo in cui è possibile la ricerca di una sintesi armonica di fede e ragione. Al tempo stesso si sofferma sulla condizione di chi non è giunto alla fede, ma si impegna con onestà nella ricerca della verità. Più che la laicità dell'istituzione accademica, al centro dell'interesse di Paolo VI si trova la condizione personale di chi cerca la verità attraverso le vie della scienza, ma non è approdato alla scoperta della verità della rivelazione. Si direbbe anzi, osserva il Papa, che la permanenza nel dubbio sia atteggiamento tipico della vita universitaria, come se il dubbio fosse la condizione necessaria per continuare la ricerca. A chi si trova in tale condizione, egli esprime anzitutto pieno rispetto e rivolge insieme l'invito a portare fino in fondo il loro dubbio. Quando infatti il dubbio non è atteggiamento pigro e convenzionale, ma è assunto con serietà, proprio nel rifiuto di accettare surrogati della verità, si manifesta la sua relazione con la verità e può essere inteso come attesa della sua rivelazione.
Volendo sintetizzare il senso della riflessione di Montini sull'università, si possono ricordare due espressioni che ricorrono nei suoi discorsi. In un messaggio indirizzato a padre Gemelli il 15 febbraio 1959, in occasione della Giornata per l'Università cattolica, Montini parla dell'università come espressione di "carità intellettuale, che può stare sul piano della carità missionaria, perché appunto è rivolta alla illuminazione e alla salvezza degli spiriti umani". Il 10 febbraio 1964, incontrando i dirigenti e i soci dell'Editrice Studium, il Papa afferma che l'idea originaria da cui è nata l'editrice è stata quella di "fare della cultura cattolica un principio di coesione, (...) di amicizia spirituale, di collaborazione intellettuale".
L'università come espressione di "carità intellettuale" e come luogo di "amicizia spirituale" possono valere come assi portanti della riflessione montiniana sull'identità e sulla missione dell'università. Essa incarna istituzionalmente questi valori in quanto offre una risposta qualificata al bisogno di sapere della comunità umana e si pone a servizio della formazione delle nuove generazioni. Al suo interno la ricerca e la formazione non sono impresa solitaria, ma presuppongono e richiedono la cooperazione di tutti i protagonisti coinvolti in un progetto comune. Le espressioni "carità intellettuale" e "amicizia spirituale" alludono però anche a elementi che non sono riducibili ad attività, procedure e ordinamenti che formano l'istituzione universitaria, e che tuttavia sono essenziali per lo sviluppo di quella che Montini chiamava la "vita spirituale" dell'università, da cui dipende in larga misura la sua fecondità culturale.
(©L'Osservatore Romano 26 marzo 2011)
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Basta la cultura
Anticipiamo l'editoriale che il presidente dell'Unione delle Comunità Ebraiche Italiane ha scritto per il prossimo numero di "Pagine Ebraiche", la rivista dell'unione diretta da Guido Vitale.
di RENZO GATTEGNA Il dibattito sull'opportunità dell'emanazione di una legge che contempli e definisca il reato di negazionismo è in pieno svolgimento. Lo spirito dell'iniziativa è certamente da condividere, ma non sono da sottovalutare le difficoltà e le insidie che si presenteranno sia nella stesura del testo che nell'applicazione della legge. Nella nostra civiltà giuridica è certamente lecito il contrasto alla diffusione di falsità storiche, ma costituirebbe una grave violazione dei principi fondamentali l'introduzione di qualsiasi tipo di reato di opinione. Nessuna rilevanza penale potrà essere attribuita ai pensieri, ma solo agli atti e ai comportamenti che siano lesivi di diritti e nei quali si configurino ingiurie, diffamazioni, offese alla dignità, incitamenti all'odio e all'uso della violenza, soprattutto se ispirati da finalità di razzismo e di xenofobia. Nella difesa della verità e nella lotta contro la diffusione di falsità storiche il ruolo più complesso e più importante spetterà sempre alla cultura; la tutela giudiziaria non dovrà sostituire, ma aggiungersi e integrare, l'attività educativa, l'unica in grado di prevenire che le nuove generazioni vengano avvelenate da versioni strumentalmente alterate dei fatti storici.
Una legge mirata a colpire i falsari che tentano di negare la Shoah sarà utile solo se saprà affermare principi universali e costituire una efficace difesa per tutti i perseguitati. Se sarà un baluardo per la difesa della libertà di tutti.
(©L'Osservatore Romano 26 marzo 2011)
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Dalla Spagna all'America
in piazza per la vita
MADRID, 25. In occasione delle celebrazioni della Giornata internazionale della vita, oggi e domani si tengono in Spagna e in America latina numerose manifestazioni organizzate dai movimenti pro life e a cui partecipano migliaia di fedeli cattolici e di altre comunità cristiane. Sabato a Madrid si terrà un grande corteo che partirà a mezzogiorno da piazza Cibeles fino ad arrivare alla Puerta del Sol. Secondo il comunicato degli organizzatori, al raduno madrileno si attendono migliaia di persone che manifesteranno per la vita "come diritto primario dell'uomo". Nel comunicato di presentazione della manifestazione si sottolinea che vi parteciperanno i membri di quarantotto organizzazioni d'impegno civile. Alicia Latorre, presidente della federazione spagnola delle "Asociaciones Provida", ha sottolineato che "questa organizzazione ha, in Spagna, una lunga storia di duro lavoro per la difesa della vita umana sia nella sfera pubblica che nell'ambito privato. Purtroppo ogni giorno si aprono nuovi fronti di lotta ma questo radica sempre di più in noi l'idea della validità della nostra causa".
Oltre che a Madrid, manifestazioni per la Giornata internazionale della vita si tengono in molte altre città spagnole. Tutti questi raduni hanno per obiettivo quello di fornire una immagine positiva della vita intesa dal momento del suo concepimento fino alla sua fine naturale. Carmina García Valdés, responsabile della "Fundacíon Redmadre", ha dichiarato che "l'organizzazione ha aderito alle manifestazioni per dire "sì alla vita" con l'obiettivo di trasmettere l'immagine positiva della vita che sta per nascere fin dal momento in cui la futura mamma inizia il periodo di gravidanza. Crediamo che sia dovere del nostro Governo aiutare tutte le donne in gravidanza e gli chiediamo di promuovere politiche che diano un aiuto attivo alle famiglie e un valido sostegno alle madri in attesa. La famiglia è sempre stata, e ancora rimane, l'ambito insostituibile per la nascita dei nuovi esseri umani, per il loro sviluppo, la loro educazione e maturazione". Per Manuel Cruz, direttore della Fondac?on Vita, "l'aborto non è mai stato né potrà mai essere un auspicabile traguardo. In questo atto prevalgono il dolore e la morte. Non bisogna mai barare su ciò che è più importante nella nostra vita umana. Tutti gli esseri umani sono simili tra loro perché questa somiglianza si basa sul fatto di essere vivi. Per questo dobbiamo sempre ripetere il nostro sì alla vita". Yolanda Melul, portavoce della stessa fondazione, ha sottolineato che "intende sollecitare le autorità governative a promuovere una legge organica per il sostegno alle donne in gravidanza, specialmente per quelle che lavorano".
Nel "Manifesto per la Giornata internazionale della vita 2011", che viene letto nel corso dei raduni, si sottolinea che "a nome di milioni di spagnoli, facciamo appello alla società per far crescere la consapevolezza del valore di ogni vita che esige il rispetto e la tutela legale dal momento del concepimento fino alla morte naturale. Intendiamo annunciare e celebrare il dono della vita come un diritto naturale, essenziale e indiscutibile per tutti gli esseri umani". Il testo prosegue esortando tutti i cittadini spagnoli "a chiedere alle forze politiche che li rappresentano d'includere nei programmi elettorali l'impegno di difendere la vita e combattere la cultura della morte, una cultura che ha prevalso in Spagna negli ultimi decenni".
(©L'Osservatore Romano 26 marzo 2011)
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Conferma di una priorità
WASHINGTON, 25. I bambini e i giovani devono avere la certezza di essere amati e protetti dalla Chiesa. Anche per questo, ogni sacerdote riconosciuto responsabile di abusi nei confronti di minori verrà rimosso in modo "permanente" dal proprio ministero. È quanto ha assicurato l'arcivescovo di New York, Timothy Michael Dolan, presidente della Conferenza episcopale statunitense, che ha anche sottolineato gli sforzi compiuti dall'episcopato, dal clero e dal laicato cattolici per applicare e migliorare la Charter for the Protection of Children and Young People redatta dai vescovi nel 2002.
Il presule è intervenuto, mercoledì 22, all'incontro dell'Administrative Committee dell'episcopato statunitense. E, assecondando anche le richieste di alcuni vescovi, ha incentrato il suo intervento sul delicato tema degli abusi compiuti su minori da membri del clero, "questione dolorosa che continua a ricevere la nostra attenzione". Ribadendo "il fermo impegno di rimuovere in modo permanente dal ministero pubblico ogni sacerdote responsabile di tali intollerabili reati". Poiché la tutela dei bambini e dei giovani è per la Chiesa cattolica un tema di "massima priorità".
Dolan ha poi ricordato l'importanza della Charter for the Protection of Children and Young People, sottolineando anche gli sforzi compiuti per una sua rigorosa e sempre più efficace applicazione. Anzi, sulla scorta dei suggerimenti arrivati negli ultimi tempi, e fatti giungere anche dai parenti delle vittime di abusi, l'episcopato provvederà, in una sua prossima riunione in programma a giugno, a un aggiornamento di tale Carta.
L'impegno della Chiesa, viene sottolineato, non è isolato. Ad aprile, infatti, in tutti gli Stati Uniti tradizionalmente si tiene il National Child Abuse Prevention Month. E tale iniziativa "offre la provvidenziale opportunità di unirci a tutti gli americani in una rinnovata risolutezza per fermare nella nostra società la piaga degli abusi sessuali compiuti sui giovani". Confortati in questo anche dal magistero di Benedetto XVI.
(©L'Osservatore Romano 26 marzo 2011)
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L'ultima parola sul male
è della misericordia di Dio
"L'ultima parola sul male dell'uomo e della storia è di Dio, è della sua misericordia, capace di far nuove tutte le cose". Lo ha detto il Papa nel discorso rivolto stamane, venerdì 25 marzo, ai partecipanti al corso sul foro interno promosso dalla Penitenzieria Apostolica, durante l'udienza svoltasi dell'Aula della Benedizione.
Cari amici,
sono molto lieto di rivolgere a ciascuno di voi il più cordiale benvenuto. Saluto il Cardinale Fortunato Baldelli, Penitenziere Maggiore, e lo ringrazio per le cortesi parole che mi ha indirizzato. Saluto il Reggente della Penitenzieria, Mons. Gianfranco Girotti, il personale, i collaboratori e tutti i partecipanti al Corso sul Foro Interno, che è diventato ormai un appuntamento tradizionale e un'importante occasione per approfondire i temi riguardanti il Sacramento della Penitenza.
Desidero soffermarmi con voi su un aspetto talora non sufficientemente considerato, ma di grande rilevanza spirituale e pastorale: il valore pedagogico della Confessione sacramentale. Se è vero che è sempre necessario salvaguardare l'oggettività degli effetti del Sacramento e la sua corretta celebrazione secondo le norme del Rito della Penitenza, non è fuori luogo riflettere su quanto esso possa educare la fede, sia del ministro, sia del penitente. La fedele e generosa disponibilità dei sacerdoti all'ascolto delle confessioni, sull'esempio dei grandi Santi della storia, da san Giovanni Maria Vianney a san Giovanni Bosco, da san Josemaría Escrivá a san Pio da Pietrelcina, da san Giuseppe Cafasso a san Leopoldo Mandi?, indica a tutti noi come il confessionale possa essere un reale "luogo" di santificazione.
In che modo il Sacramento della Penitenza educa? In quale senso la sua celebrazione ha un valore pedagogico, innanzitutto per i ministri? Potremmo partire dal riconoscere che la missione sacerdotale costituisce un punto di osservazione unico e privilegiato, dal quale, quotidianamente, è dato di contemplare lo splendore della Misericordia divina. Quante volte nella celebrazione del Sacramento della Penitenza, il sacerdote assiste a veri e propri miracoli di conversione, che, rinnovando l'"incontro con un avvenimento, una Persona" (Lett. enc. Deus caritas est, 1), rafforzano la sua stessa fede. In fondo, confessare significa assistere a tante "professiones fidei" quanti sono i penitenti, e contemplare l'azione di Dio misericordioso nella storia, toccare con mano gli effetti salvifici della Croce e della Risurrezione di Cristo, in ogni tempo e per ogni uomo. Non raramente siamo posti davanti a veri e propri drammi esistenziali e spirituali, che non trovano risposta nelle parole degli uomini, ma sono abbracciati ed assunti dall'Amore divino, che perdona e trasforma: "Anche se i vostri peccati fossero come scarlatto, diventeranno bianchi come la neve" (Is 1, 18). Conoscere e, in certo modo, visitare l'abisso del cuore umano, anche negli aspetti oscuri, se da un lato mette alla prova l'umanità e la fede dello stesso sacerdote, dall'altro alimenta in lui la certezza che l'ultima parola sul male dell'uomo e della storia è di Dio, è della sua Misericordia, capace di far nuove tutte le cose (cfr. Ap 21, 5). Quanto può imparare poi il sacerdote da penitenti esemplari per la loro vita spirituale, per la serietà con cui conducono l'esame di coscienza, per la trasparenza nel riconoscere il proprio peccato e per la docilità verso l'insegnamento della Chiesa e le indicazioni del confessore. Dall'amministrazione del Sacramento della Penitenza possiamo ricevere profonde lezioni di umiltà e di fede! È un richiamo molto forte per ciascun sacerdote alla coscienza della propria identità. Mai, unicamente in forza della nostra umanità, potremmo ascoltare le confessioni dei fratelli! Se essi si accostano a noi, è solo perché siamo sacerdoti, configurati a Cristo Sommo ed Eterno Sacerdote, e resi capaci di agire nel suo Nome e nella sua Persona, di rendere realmente presente Dio che perdona, rinnova e trasforma. La celebrazione del Sacramento della Penitenza ha un valore pedagogico per il sacerdote, in ordine alla sua fede, alla verità e povertà della sua persona, e alimenta in lui la consapevolezza dell'identità sacramentale.
Qual è il valore pedagogico del Sacramento della Penitenza per i penitenti? Dobbiamo premettere che esso dipende, innanzitutto, dall'azione della Grazia e dagli effetti oggettivi del Sacramento nell'anima del fedele. Certamente la Riconciliazione sacramentale è uno dei momenti nei quali la libertà personale e la consapevolezza di sé sono chiamate ad esprimersi in modo particolarmente evidente. È forse anche per questo che, in un'epoca di relativismo e di conseguente attenuata consapevolezza del proprio essere, risulta indebolita anche la pratica sacramentale. L'esame di coscienza ha un importante valore pedagogico: esso educa a guardare con sincerità alla propria esistenza, a confrontarla con la verità del Vangelo e a valutarla con parametri non soltanto umani, ma mutuati dalla divina Rivelazione. Il confronto con i Comandamenti, con le Beatitudini e, soprattutto, con il Precetto dell'amore, costituisce la prima grande "scuola penitenziale". Nel nostro tempo caratterizzato dal rumore, dalla distrazione e dalla solitudine, il colloquio del penitente con il confessore può rappresentare una delle poche, se non l'unica occasione per essere ascoltati davvero e in profondità. Cari sacerdoti, non trascurate di dare opportuno spazio all'esercizio del ministero della Penitenza nel confessionale: essere accolti ed ascoltati costituisce anche un segno umano dell'accoglienza e della bontà di Dio verso i suoi figli. L'integra confessione dei peccati, poi, educa il penitente all'umiltà, al riconoscimento della propria fragilità e, nel contempo, alla consapevolezza della necessità del perdono di Dio e alla fiducia che la Grazia divina può trasformare la vita. Allo stesso modo, l'ascolto delle ammonizioni e dei consigli del confessore è importante per il giudizio sugli atti, per il cammino spirituale e per la guarigione interiore del penitente. Non dimentichiamo quante conversioni e quante esistenze realmente sante sono iniziate in un confessionale! L'accoglienza della penitenza e l'ascolto delle parole "Io ti assolvo dai tuoi peccati" rappresentano, infine, una vera scuola di amore e di speranza, che guida alla piena confidenza nel Dio Amore rivelato in Gesù Cristo, alla responsabilità e all'impegno della continua conversione.
Cari sacerdoti, sperimentare noi per primi la Misericordia divina ed esserne umili strumenti, ci educhi ad una sempre più fedele celebrazione del Sacramento della Penitenza e ad una profonda gratitudine verso Dio, che "ha affidato a noi il ministero della riconciliazione" (1 Cor 5, 18). Alla Beata Vergine Maria, Mater misericordiae e Refugium peccatorum, affido i frutti del vostro Corso sul Foro interno e il ministero di tutti i Confessori, mentre con grande affetto vi benedico.
(©L'Osservatore Romano 26 marzo 2011)
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