giovedì 24 marzo 2011

Il Quotidiano Osservatore Romano del 24 Marzo 2011


All'udienza generale il Papa parla di san Lorenzo da Brindisi

Il mondo ha bisogno
di uomini e donne di pace


"Il mondo ha tanto bisogno di pace, ha bisogno di uomini e donne pacifici e pacificatori". Lo ha detto il Papa all'udienza generale di mercoledì 23 marzo, in piazza San Pietro, parlando di san Lorenzo da Brindisi.

Cari fratelli e sorelle,

ricordo ancora con gioia l'accoglienza festosa che mi fu riservata nel 2008 a Brindisi, la città che nel 1559 diede i natali a un insigne Dottore della Chiesa, san Lorenzo da Brindisi, nome che Giulio Cesare Rossi assunse entrando nell'Ordine dei Cappuccini. Sin dalla fanciullezza fu attratto dalla famiglia di san Francesco d'Assisi. Infatti, orfano di padre a sette anni, fu affidato dalla madre alle cure dei frati Conventuali della sua città. Qualche anno dopo, però, si trasferì con la madre a Venezia, e proprio nel Veneto conobbe i Cappuccini, che in quel periodo si erano messi generosamente a servizio della Chiesa intera, per incrementare la grande riforma spirituale promossa dal Concilio di Trento. Nel 1575 Lorenzo, con la professione religiosa, divenne frate cappuccino, e nel 1582 fu ordinato sacerdote. Già durante gli studi ecclesiastici mostrò le eminenti qualità intellettuali di cui era dotato. Apprese facilmente le lingue antiche, quali il greco, l'ebraico e il siriaco, e quelle moderne, come il francese e il tedesco, che si aggiungevano alla conoscenza della lingua italiana e di quella latina, un tempo fluentemente parlata da tutti gli ecclesiastici e gli uomini di cultura.
Grazie alla padronanza di tanti idiomi, Lorenzo poté svolgere un intenso apostolato presso diverse categorie di persone. Predicatore efficace, conosceva in modo così profondo non solo la Bibbia, ma anche la letteratura rabbinica, che gli stessi Rabbini rimanevano stupiti e ammirati, manifestandogli stima e rispetto. Teologo versato nella Sacra Scrittura e nei Padri della Chiesa, era in grado di illustrare in modo esemplare la dottrina cattolica anche ai cristiani che, soprattutto in Germania, avevano aderito alla Riforma. Con la sua esposizione chiara e pacata egli mostrava il fondamento biblico e patristico di tutti gli articoli di fede messi in discussione da Martin Lutero. Tra di essi, il primato di san Pietro e dei suoi successori, l'origine divina dell'Episcopato, la giustificazione come trasformazione interiore dell'uomo, la necessità delle opere buone per la salvezza. Il successo di cui Lorenzo godette ci aiuta a comprendere che anche oggi, nel portare avanti con tanta speranza il dialogo ecumenico, il confronto con la Sacra Scrittura, letta nella Tradizione della Chiesa, costituisce un elemento irrinunciabile e di fondamentale importanza, come ho voluto ricordare nell'Esortazione Apostolica Verbum Domini (n. 46).
Anche i fedeli più semplici, non dotati di grande cultura, furono beneficati dalla parola convincente di Lorenzo, che si rivolgeva alla gente umile per richiamare tutti alla coerenza della propria vita con la fede professata. Questo è stato un grande merito dei Cappuccini e di altri Ordini religiosi, che, nei secoli XVI e XVII, contribuirono al rinnovamento della vita cristiana penetrando in profondità nella società con la loro testimonianza di vita e il loro insegnamento. Anche oggi la nuova evangelizzazione ha bisogno di apostoli ben preparati, zelanti e coraggiosi, perché la luce e la bellezza del Vangelo prevalgano sugli orientamenti culturali del relativismo etico e dell'indifferenza religiosa, e trasformino i vari modi di pensare e di agire in un autentico umanesimo cristiano. È sorprendente che san Lorenzo da Brindisi abbia potuto svolgere ininterrottamente questa attività di apprezzato e infaticabile predicatore in molte città dell'Italia e in diversi Paesi, nonostante ricoprisse altri incarichi gravosi e di grande responsabilità. All'interno dell'Ordine dei Cappuccini, infatti, fu professore di teologia, maestro dei novizi, più volte ministro provinciale e definitore generale, e infine ministro generale dal 1602 al 1605.
In mezzo a tanti lavori, Lorenzo coltivò una vita spirituale di eccezionale fervore, dedicando molto tempo alla preghiera e in modo speciale alla celebrazione della Santa Messa, che protraeva spesso per ore, compreso e commosso nel memoriale della Passione, Morte e Risurrezione del Signore. Alla scuola dei santi, ogni presbitero, come spesso è stato sottolineato durante il recente Anno Sacerdotale, può evitare il pericolo dell'attivismo, di agire cioè dimenticando le motivazioni profonde del ministero, solamente se si prende cura della propria vita interiore. Parlando ai sacerdoti e ai seminaristi nella cattedrale di Brindisi, la città natale di san Lorenzo, ho ricordato che "il momento della preghiera è il più importante nella vita del sacerdote, quello in cui agisce con più efficacia la grazia divina, dando fecondità al suo ministero. Pregare è il primo servizio da rendere alla comunità. E perciò i momenti di preghiera devono avere nella nostra vita una vera priorità... Se non siamo interiormente in comunione con Dio, non possiamo dare niente neppure agli altri. Perciò Dio è la prima priorità. Dobbiamo sempre riservare il tempo necessario per essere in comunione di preghiera con nostro Signore". Del resto, con l'ardore inconfondibile del suo stile, Lorenzo esorta tutti, e non solo i sacerdoti, a coltivare la vita di preghiera perché per mezzo di essa noi parliamo a Dio e Dio parla a noi: "Oh, se considerassimo questa realtà! - esclama - Cioè che Dio è davvero presente a noi quando gli parliamo pregando; che ascolta veramente la nostra orazione, anche se noi soltanto preghiamo con il cuore e la mente. E che non solo è presente e ci ascolta, anzi può e desidera accondiscendere volentieri e con massimo piacere alle nostre domande".
Un altro tratto che caratterizza l'opera di questo figlio di san Francesco è la sua azione per la pace. Sia i Sommi Pontefici sia i principi cattolici gli affidarono ripetutamente importanti missioni diplomatiche per dirimere controversie e favorire la concordia tra gli Stati europei, minacciati in quel tempo dall'Impero ottomano. L'autorevolezza morale di cui godeva lo rendeva consigliere ricercato e ascoltato. Oggi, come ai tempi di san Lorenzo, il mondo ha tanto bisogno di pace, ha bisogno di uomini e donne pacifici e pacificatori. Tutti coloro che credono in Dio devono essere sempre sorgenti e operatori di pace. Fu proprio in occasione di una di queste missioni diplomatiche che Lorenzo concluse la sua vita terrena, nel 1619 a Lisbona, dove si era recato presso il re di Spagna, Filippo III, per perorare la causa dei sudditi napoletani vessati dalle autorità locali.
Fu canonizzato nel 1881 e, a motivo della sua vigorosa e intensa attività, della sua scienza vasta e armoniosa, meritò il titolo di Doctor apostolicus, "Dottore apostolico", da parte del Beato Papa Giovanni XXIII nel 1959, in occasione del quarto centenario della sua nascita. Tale riconoscimento fu accordato a Lorenzo da Brindisi anche perché egli fu autore di numerose opere di esegesi biblica, di teologia e di scritti destinati alla predicazione. In esse egli offre una presentazione organica della storia della salvezza, incentrata sul mistero dell'Incarnazione, la più grande manifestazione dell'amore divino per gli uomini. Inoltre, essendo un mariologo di grande valore, autore di una raccolta di sermoni sulla Madonna intitolata "Mariale", egli mette in evidenza il ruolo unico della Vergine Maria, di cui afferma con chiarezza l'Immacolata Concezione e la cooperazione all'opera della redenzione compiuta da Cristo.
Con fine sensibilità teologica, Lorenzo da Brindisi ha pure evidenziato l'azione dello Spirito Santo nell'esistenza del credente. Egli ci ricorda che con i suoi doni la Terza Persona della Santissima Trinità illumina e aiuta il nostro impegno a vivere gioiosamente il messaggio del Vangelo. "Lo Spirito Santo - scrive san Lorenzo - rende dolce il giogo della legge divina e leggero il suo peso, affinché osserviamo i comandamenti di Dio con grandissima facilità, persino con piacevolezza".
Vorrei completare questa breve presentazione della vita e della dottrina di san Lorenzo da Brindisi sottolineando che tutta la sua attività è stata ispirata da un grande amore per la Sacra Scrittura, che sapeva ampiamente a memoria, e dalla convinzione che l'ascolto e l'accoglienza della Parola di Dio produce una trasformazione interiore che ci conduce alla santità. "La Parola del Signore - egli afferma - è luce per l'intelletto e fuoco per la volontà, perché l'uomo possa conoscere e amare Dio. Per l'uomo interiore, che per mezzo della grazia vive dello Spirito di Dio, è pane e acqua, ma pane più dolce del miele e acqua migliore del vino e del latte... È un maglio contro un cuore duramente ostinato nei vizi. È una spada contro la carne, il mondo e il demonio, per distruggere ogni peccato". San Lorenzo da Brindisi ci insegna ad amare la Sacra Scrittura, a crescere nella familiarità con essa, a coltivare quotidianamente il rapporto di amicizia con il Signore nella preghiera, perché ogni nostra azione, ogni nostra attività abbia in Lui il suo inizio e il suo compimento. È questa la fonte da cui attingere affinché la nostra testimonianza cristiana sia luminosa e sia capace di condurre gli uomini del nostro tempo a Dio.


(©L'Osservatore Romano 24 marzo 2011)
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SLa Germania ritira tutte le forze militari dal Mediterraneo

Nato in Libia


Si va delineando un'intesa sul ruolo chiave dell'Alleanza nel comando delle operazioni

TRIPOLI, 23. Francia, Gran Bretagna e Stati Uniti hanno raggiunto un'intesa politica per cercare di ricompattare il fronte diplomatico e affidare - come sollecitato da molti Paesi in particolare dall'Italia - il comando delle operazioni militari in Libia alla Nato. Siamo dunque a un nodo cruciale della crisi ed è necessario agire con il consenso multilaterale per applicare la risoluzione 1973 approvata dal Consiglio di sicurezza dell'Onu che prevede l'imposizione di una no-fly zone. E mentre per la quarta notte sono continuati incessanti i bombardamenti della coalizione sul Paese nordafricano (prima dell'alba due forti esplosioni sono state udite a Tripoli), nonostante il regime dica di aver accettato il cessate il fuoco, secondo alcune fonti combattimenti si svolgerebbero in diverse città del Paese. Il leader libico Muammar Gheddafi ha ieri sera parlato dalle rovine della sua residenza alla folla che lo acclamava: "Non ci arrenderemo, non ci arrenderemo. Non abbiamo paura dei vostri missili. Siamo pronti per la battaglia, lunga o breve che sia. Queste bombe mi fanno ridere".
Il presidente degli Stati Uniti, Barack Obama, è riuscito a convincere ieri il presidente francese, Nicolas Sarkozy, che era una buona soluzione mettere la struttura della Nato al servizio di un comando internazionale per le operazioni in Libia. La Nato avrà "un ruolo tecnico nelle operazioni in Libia": lo ha detto oggi a Parigi il portavoce del Governo francese al termine del Consiglio dei ministri. L'accordo che si sta delineando permette a Obama - il prossimo anno ci sono le elezioni negli Stati Uniti - di mantenere le sue promesse iniziali, cioè un impegno statunitense limitato nel tempo come autorizzato dalla Costituzione (si tratta anche di un terzo fronte, dopo l'Afghanistan e l'Iraq), accettando di prendere la leadership soltanto all'inizio dell'operazione Odyssey Dawn, quando si trattava di neutralizzare la contraerea libica. Oltre che con Sarkozy, Obama ha parlato con il premier britannico, David Cameron, e turco, Tayyip Erdogan.
Sulla discesa in campo della Nato nelle operazioni militari in Libia i rappresentanti dei 28 Stati membri dell'Alleanza atlantica sono riuniti nuovamente a Bruxelles per tradurre l'indicazione in un nuovo schema operativo di comando, che per ora resta un vero e proprio rompicapo. Nonostante l'intesa politica, restano molte le questioni da risolvere. Il presidente Obama ha parlato di ruolo chiave, indicando che la Nato dovrà essere "parte di una struttura di comando internazionale una volta che gli Stati Uniti lasceranno" la guida. E ha indicato come prioritario il coinvolgimento nelle operazioni di Paesi che non fanno parte dell'Alleanza atlantica, in particolare del mondo arabo. La Francia ha accettato questa impostazione. Il comunicato stampa dell'Eliseo non parla di un accordo sul ruolo chiave della Nato, ma di un accordo "sulle modalità di utilizzo delle strutture di comando della Nato in sostegno alla coalizione". I francesi insistono sull'idea di un pilotaggio politico delle operazioni condotto dai ministri degli Esteri della coalizione: una sorta di cabina di regia che includerebbe l'Alleanza atlantica insieme agli altri protagonisti.
E mentre continuano le riunioni - Onu, Lega araba, Ue, Nato - la Germania si ritira dalle operazioni dell'Alleanza atlantica nel Mediterraneo. Lo ha scritto il settimanale tedesco "Spiegel". Un portavoce del ministero della Difesa ha infatti annunciato che le due fregate e le navi, con 550 soldati, verranno riportate al comando tedesco. I circa 60-70 soldati tedeschi, che finora si trovavano in una missione di sorveglianza della Nato nel Mediterraneo, verranno ritirati. La Germania si era astenuta - insieme a Russia, Cina, India e Brasile - nella sede del Consiglio della sicurezza dell'Onu, di fronte alla risoluzione sulla no-fly zone.


(©L'Osservatore Romano 24 marzo 2011)
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Dopo la fuga radioattiva dalla centrale di Fukushima risultano contaminate anche le riserve idriche della capitale

Sorsi di atomi a Tokyo


TOKYO, 23. L'acqua corrente a Tokyo ha livelli di radioattività che superano i limiti consentiti per il consumo da parte dei neonati, secondo quanto comunicato oggi dall'amministrazione della capitale nipponica, un agglomerato urbano in cui vivono 35 milioni di persone. Tokyo si trova a 240 chilometri a sud della centrale nucleare di di Fukushima, danneggiata dal terremoto e dallo tsunami dell'11 marzo. In Giappone l'acqua che contiene più di 100 becquerel (l'unità di misura della radioattività) al chilo non può essere utilizzata per il latte in polvere dei neonati e in un esame sono stati riscontrati 210 becquerel al chilo.
L'annuncio è arrivato contemporaneamente alla decisione del premier giapponese, Naoto Kan, di interrompere la distribuzione di latte non trattato e di undici tipi di verdure nella prefettura di Fukushima e nelle tre più vicine, quelle di Ibaraki, Tochigi e Gunm. Il premier ha preso tale decisione dopo che forti tracce di radioattività sprigionata dalla centrale nucleare sono state trovate su campioni di undici tipi di verdure provenienti dalla prefettura di Fukushima e da quella di Ibaraki.
Secondo quanto anticipato oggi dal quotidiano giapponese "Nikkei", il Governo stima tra i 185 e i 308 miliardi di dollari i danni materiali causati dal terremoto e dallo tsunami. Il quotidiano specifica che il ministro dell'Economia, Kaoru Yosano, presenterà queste stime a una riunione del Governo che si terrà oggi. Da parte sua, il ministro degli Esteri, Takeaki Matsumoto, ha riferito che 25 Paesi hanno chiuso temporaneamente le ambasciate a Tokyo, per evitare che il personale rimanesse esposto a eventuali radiazioni. Otto rappresentanze diplomatiche si sono trasferite fuori Tokyo, per lo più a Osaka, oppure si sono appoggiate ad altre sedi all'estero, mentre le altre hanno lasciato a casa i dipendenti. Il ministro ha comunque precisato che il suo dicastero rimane in contatto con tutte le rappresentanze e "fornisce accurate informazioni all'intero corpo diplomatico". Le affermazioni delle autorità giapponesi non sembrano però convincere l'Agenzia internazionale per l'energia atomica (Aiea), che ha lamentato la scarsità delle informazioni. "Continuiamo a vedere che radiazioni escono dal sito della centrale e la domanda è: da dove esattamente vengono fuori?", ha dichiarato un portavoce dell'Aiea.
Nella centrale di Fukushima, intanto, i tecnici continuano a cercare di raffreddare i reattori surriscaldati e ancora fuori controllo, nonostante che si sia riusciti a riportarvi corrente elettrica. L'agenzia di stampa Kyodo ha riferito oggi che fumo nero si sta alzando dal reattore numero 3 e che i lavoratori impegnati nel tentativo di raffreddarlo sono stati allontanati dalla zona. "Non sappiamo se la fumata proviene dall'edificio che ospita la turbina o dalla struttura di contenimento del reattore", ha precisato un portavoce della Tepco, la società privata che gestisce le centrali nucleari in Giappone. Da parte sua, L'Agenzia giapponese per la sicurezza nucleare ha chiarito che i livelli radioattivi sono invariati dopo la fuoriuscita di fumo nero. Il reattore numero 3, danneggiato da un'esplosione, crea particolare inquietudine in quanto è alimentato con il cosiddetto mox, una miscela di combustibili nucleari riciclati, e ha un punto di fusione più basso degli altri. Il sistema più danneggiato è però quello del reattore numero 1. Attualmente, i reattori continuano a essere raffreddati dall'esterno, con idranti e pompe. Il portavoce dell'Agenzia per la sicurezza nucleare, Hidehiko Nishiyama, ha detto che l' equipaggiamento elettrico interno alla centrale è stato trovato in condizioni relativamente buone. L'agenzia Kyodo riferisce altresì affermazioni di responsabili tecnici e governativi secondo i quali le scosse di assestamento, compresa una di magnitudo 4,7 sulla scala Richter registrata oggi, non hanno provocato ulteriori danni alla centrale.


(©L'Osservatore Romano 24 marzo 2011)
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La denuncia dell'Unicef

L'acqua sporca
che uccide i bambini

Dubbi sui dubbi de "La Civiltà Cattolica"

Hacker in cerca della perla preziosa


GINEVRA, 23. L'uso di acqua non potabile uccide ogni anno un milione quattrocentomila bambini, vittime di malattie come la diarrea. Lo ha ricordato ieri, in occasione della Giornata mondiale dell'acqua, l'Unicef, l'agenzia dell'Onu per l'infanzia, sottolineando che un miliardo e cento milioni di persone nel mondo non hanno accesso a forniture di acqua sicura.
Tra i Paesi nei quali questa situazione è più grave c'è il Pakistan, dove sono coinvolte sessanta milioni di persone e dove ogni anno più di centomila bambini muoiono per aver bevuto acqua inquinata. Secondo una ricerca del Pakistan Council for Research in Water Resources, oltre l'80 per cento dei campioni di acqua risultano contaminati con batteri al momento dell'utilizzo. L'Unicef sta collaborando con alcuni partner per promuovere una campagna per purificare l'acqua al momento dell'utilizzo. I bambini di 143 scuole di Islamabad, Rawalpindi, Lahore, Peshawar, Quetta, Vehari e Kabirwala hanno lavorato negli ultimi mesi sui modi per mantenere l'acqua potabile a casa e a scuola. Secondo la rappresentante dell'Unicef in Pakistan, Karen Allen, "la disponibilità di acqua potabile è fondamentale per la salute dei bambini e il loro benessere. È necessario incoraggiare i bambini a parlare dell'importanza di acqua e dare loro l'opportunità di riflettere sul problema e di proporre soluzioni innovative".
Nel frattempo, l'Unicef in Pakistan continua a fornire acqua potabile alle popolazioni colpite dalle alluvioni monsoniche devastanti che hanno investito il Paese tra luglio e settembre scorsi. Più di 4,4 milioni di persone colpite dalle inondazioni ricevono ogni giorno acqua potabile.
Anche in Iraq, dove sei milioni di persone, per metà bambini, non hanno accesso ad acqua sicura, l'Unicef e l'Unione europea hanno celebrato la Giornata mondiale con iniziative che hanno coinvolto circa undicimila bambini di 23 scuole, sei di Baghdad e una per ciascuno degli altri 17 governatorati del Paese, volte a sensibilizzare l'opinione pubblica sul tema degli investimenti nelle infrastrutture e nella conservazione delle risorse idriche.


(©L'Osservatore Romano 24 marzo 2011)
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di LUCA M. POSSATI
Lui si chiama Pearl e aiuta le persone a essere creative, a immaginare un mondo diverso, una vita giocosa fatta di idee provocanti, nuove, condivise, straordinariamente belle. Pearl è un linguaggio di programmazione inventato nel 1987 dall'hacker Tom Pittmann. Pearl, appunto, come la "perla di grande valore" per cui il mercante "va, vende tutti i suoi averi e la compra" (Matteo, 13, 45). Storico fondatore dell'Homebrew Computer Club, Pittman si definisce a christian and a technologist. Cristiano, prima che informatico, perché - sostiene - l'hacker non è soltanto un programmatore, ma un esteta, un contemplatore della creazione che interpreta la sua missione come una forma di partecipazione al "lavoro di Dio".
Sono in molti a chiedersi, oggi, quali possano essere i rapporti tra la mens catholica e la cultura hacker. E naturalmente, non mancano gli esperti che, attraverso dotte e raffinate analisi, lanciano l'allarme sui limiti e sui possibili rischi della seconda. In questa direzione si muove anche il saggio di Antonio Spadaro, Etica hacker e visione cristiana, pubblicato sull'ultimo numero di "La Civiltà cattolica". L'autore mette in rilievo la necessità di una "nuova forma di apologetica" in grado di rispondere alle sfide del web 2.0 e "che non potrà non partire dalle mutate categorie di comprensione del mondo e di accesso alla conoscenza".
Di per sé irriverente e provocatoria, la forma mentis dell'hacker - sostiene Spadaro - è incompatibile con i principi cattolici di autorità e di tradizione. Il rischio è quello "d'indurre a intendere la comunione come connessione e il dono come gratuità".
Ma la cultura cattolica e lo stile hacker sono davvero così lontani? Non c'è, forse, nella cosiddetta "tensione domenicale" dell'hacker un'intuizione non solo cristiana, ma anche profondamente cattolica? Nella cultura dell'open source - modello di un lavoro libero, aperto alla collaborazione, non ristretto alla proprietà privata - non c'è proprio una manifestazione estrema dei principi cattolici di autorità e di tradizione?
È venuto il momento di riconoscere che i media hanno imposto un'immagine degli hacker totalmente falsa: quella di spregiudicati "pirati informatici" che rubano i documenti, minacciano i Governi o truffano i privati cittadini. La realtà è ben più complessa: to hack significa non solo "fare a pezzi", "colpire violentemente", ma anche "riuscire a fare", "cavarsela" o "resistere". È una filosofia di vita, un atteggiamento esistenziale giocoso e impegnato, che spinge al culto della sperimentazione alla creatività applicata e alla condivisione, opponendosi ai modelli di controllo.
Un'etica? Sì, anche, se con "etica" s'intende una prospettiva verso il bene, una visione del mondo riassunta in alcuni principi e non una morale votata all'ortodossia del dovere. Principi come quelli tracciati da Stephen Ley nel suo Hackers (1984) e da lui definiti "i sette comandamenti": 1) l'accesso ai computer dev'essere illimitato e totale; 2) dare sempre priorità all'hanson ("verificare di persona"); 3) tutte le informazioni devono essere libere; 4) sfiduciare le autorità, promuovere il decentramento; 5) gli hacker devono essere giudicati dal loro hacking; 6) è possibile creare arte e bellezza su un computer; 7) le macchine possono cambiare la vita in meglio.
Il manifesto di Levy è il simbolo di una stagione che molto ha dato e molto ha distrutto, quella degli anni Settanta negli Stati Uniti, segnati dalla contestazione alla guerra nel Vietnam, dal Watergate, dall'anarchia del movimento hippy, dalla messa in discussione di qualsiasi sistema di valori. Certo, gli hacker sono figli del loro tempo, ma anche molto di più. C'è una dimensione teologica nel loro agire: come ha sottolineato anche Pekka Himanen, nel suo L'etica hacker e lo spirito dell'età dell'informazione (2001), l'hacker promuove un'idea di lavoro flessibile, caratterizzata dalla passione e dalla creatività, lontana dunque dalla performance finalizzata all'efficienza e al profitto.
In questo Himanen vede una "tensione domenicale" - per lo scopo della vita è la domenica, ossia un'altra vita di passioni e desideri creativi, piena realizzazione della propria umanità - molto lontana dalla cultura protestante che invece ha spostato il centro al venerdì, cioè all'occupazione rigidamente organizzata e alla "catena di montaggio". L'esempio perfetto è Wikipedia, che, nonostante tutti i suoi limiti "ha segnato un cambiamento netto" scrive Spadaro poiché "mentre i media tradizionali permettevano sostanzialmente il consumo di ciò che veniva prodotto, il cablaggio delle reti ci consente di poter immaginare, a esempio, il tempo libero come una risorsa globale condivisa, e di immaginarci nuovi tipi di partecipazione".
Ma è proprio questo l'aspetto più delicato: il dono. Basta la condivisione? È vero, come scrive Spadaro, che la gift culture dell'hacker "non spinge a dare e ricevere, ma a prendere e lasciare che gli altri prendano"? Non c'è, al contrario, una prefigurazione della gratuità della grazia che va seguita e implementata? E perché il modello della connessione orizzontale non può essere orientato alla trascendenza? Si aprono sfide immense. Torniamo così al racconto evangelico. Il mercante è attratto dalla perla preziosa. La cerca, vende tutti i suoi averi e infine la compra. Sulla superficie di questa perla si riflettono le vite di milioni di uomini e di donne. Una realtà infinita, multiforme, che si riproduce su se stessa. Un bazar brulicante, da cui però emerge una forma unitaria, un disegno speciale. Sta al mercante coglierla.


(©L'Osservatore Romano 24 marzo 2011)
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Interviste di viaggio con Giovanni Paolo II

Cosa diceva Pietro in volo


Nel pomeriggio di mercoledì 23 marzo a Roma, nella sede della Radio Vaticana, è stato presentato il libro, curato da Angela Ambrogetti, Compagni di viaggio. Interviste al volo con Giovanni Paolo II (Città del Vaticano, Libreria Editrice Vaticana, 2011, pagine 389, euro 24,50). Pubblichiamo la prefazione scritta dal direttore generale della Radio Vaticana.
Se la Radio Vaticana ha il compito di riprendere e diffondere la voce del Papa in tutto il mondo, naturalmente l'archivio centrale delle sue registrazioni è dedicato essenzialmente alla voce dei Papi. Le diverse sezioni linguistiche della Radio conservano spesso documenti interessanti nelle rispettive lingue, interviste con vescovi o persone particolarmente autorevoli, o eventi legati ai popoli a cui dedicano i loro programmi. Ma l'archivio centrale ha un compito istituzionale chiarissimo: conservare le registrazioni della voce del Papa. È una ricchezza per tutta la Chiesa.
La tecnica di registrazione e di archiviazione delle registrazioni è cambiata rapidamente e profondamente col tempo. Decenni fa occorrevano strumenti ingombranti per registrare, e supporti non facilmente maneggevoli, né molto durevoli per conservarne il risultato. Avevamo a esempio una raccolta di cosiddetti "padelloni", dischi di vinile molto grandi, che ospitavano varie cerimonie del tempo di Pio XII. Non c'è da stupirsi che le registrazioni conservate dei primi decenni della vita della Radio, per quanto numerose e preziose, corrispondano solo a una piccolissima parte dei discorsi e delle attività pontificie. Ma col tempo le cose sono diventate gradualmente più facili. E anche l'atteggiamento verso la conservazione dei documenti - e specificamente dei documenti audio e video - è divenuto più attento e consapevole.
Il pontificato di Giovanni Paolo II è quindi probabilmente il primo a essere documentato in modo veramente sistematico e quasi completo tramite le registrazioni audio, non solo usate abbondantemente nelle trasmissioni, ma anche classificate e conservate con cura. I tecnici della Radio Vaticana si sono impegnati sempre più a raccogliere anche gli interventi più estemporanei e più brevi, che in tempi precedenti non si pensava affatto di registrare.
Anche per questo, oltre che per l'eccezionale lunghezza e intensità del pontificato, la parte dell'archivio sonoro dedicata a Giovanni Paolo II è senza paragoni la più ampia, anzi costituisce in assoluto la maggior parte dell'intero archivio, oltre il 70 per cento dell'insieme.
Naturalmente i viaggi sono stati le occasioni più impegnative per questa raccolta della voce del Papa. Altro è registrare in Vaticano nelle celebrazioni o nelle udienze, altro è correre dietro a un Papa di attività e creatività prorompente, in tutte le parti del mondo e nelle situazioni più diverse.
Ma la Radio Vaticana ha fatto tutto il possibile per esserci. Il risultato è che, per quanto si pensi che tutto sia già stato detto e pubblicato, questo non è vero. Non sono pochi i materiali che ora possono venire riscoperti e utilizzati con più calma e attenzione. Le registrazioni delle conversazioni in aereo con i giornalisti sono fra questi, e forse fra i più interessanti.
Oggi le parole che Benedetto XVI rivolge ai giornalisti nei voli verso le destinazioni internazionali vengono accuratamente "sbobinate" dagli stessi giornalisti, e a volte trasmesse per telefono alle agenzie già durante il volo, poi vengono anche pubblicate in forma praticamente integrale su "L'Osservatore Romano". Ma per molti anni non era così, anche perché le conversazioni di Giovanni Paolo II erano diverse, assai più estemporanee, composte di numerose brevi battute. Non era affatto facile trasmetterle a Roma e forse non era neppure necessario sbobinarle per intero. Ma per fortuna noi le abbiamo conservate per la maggior parte e possiamo riascoltarle.
Ho quindi accolto con favore la proposta di Angela Ambrogetti di lavorare sulle registrazioni delle conversazioni di Giovanni Paolo II durante i voli e di pubblicarne le parti più interessanti in un volume. Un lavoro così sistematico non era ancora stato fatto. Valeva veramente la pena.
Il cardinale Roberto Tucci, organizzatore e testimone privilegiato della massima parte dei viaggi all'estero di Giovanni Paolo II, mi ha detto che ritiene questo libro una testimonianza rara ed efficace della personalità e delle idee di Papa Wojty?a. Ne risulta con grande freschezza "come era", con la sua straordinaria spontaneità e libertà espressiva, con la sua bonarietà e schiettezza nei confronti degli altri, anche di quel genere speciale di umanità che sono i giornalisti.

di FEDERICO LOMBARDI


(©L'Osservatore Romano 24 marzo 2011)
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Appello in vista della Convocazione ecumenica promossa dal Wcc in Giamaica

Costruttori di pace
e custodi del creato


di ALESSANDRO TRENTIN
"Le comunità cristiane sono chiamate a dare una risposta globale senza precedenti di fronte alle sfide che minacciano la coesione umana e l'ambiente": è l'appello che giunge in vista della Convocazione ecumenica per la pace a Kingston, in Giamaica, che rappresenta il momento culminante del programma decennale per la non violenza promosso dal World Council of Churches (Wcc-Consiglio ecumenico delle Chiese-Cec).
Nei giorni scorsi, a Kingston, si è svolta una cerimonia liturgica in occasione del lancio ufficiale dell'evento al quale, secondo le ultime stime, parteciperanno oltre un migliaio di leader di varie organizzazioni religiose e della società civile. La Convocazione, che si terrà dal 17 al 25 maggio, caratterizza infatti la conclusione del programma Decade to overcome violence avviato dal Wcc nel 2001. "L'incontro - ha spiegato il presidente del Comitato organizzatore, Fernando Enns - sarà il momento in cui raccoglieremo i frutti delle iniziative del decennio trascorso, ma anche in cui riconosceremo le nostre mancanze e i nostri errori e ci interrogheremo su come proseguire". In questi giorni nella città giamaicana ferve l'attività preparatoria. "Forte è l'aspettativa per questo rilancio dell'impegno a livello globale - dichiara a "L'Osservatore Romano" il responsabile del programme executive for Peace building and Disarmament per il Wcc, Jonathan Frerichs - mentre aumenta sempre più la consapevolezza delle difficoltà che il mondo attraversa". In questa fase, aggiunge il rappresentante dell'organizzazione ecumenica, "è incoraggiante vedere con quale importanza le comunità che fanno parte del Wcc e i gruppi a esso collegati si stanno preparando all'iniziativa, vista come un'occasione di confronto per affrontare "i temi giusti al momento giusto"". L'agenda si articolerà in sedute plenarie, laboratori, seminari e momenti di preghiera, che coinvolgeranno i partecipanti su quattro tematiche principali: pace nella società, pace con la terra, pace nell'economia e pace tra i popoli. La rilevante partecipazione numerica di leader di varie comunità religiose, ong e altri organismi della società civile viene considerata "come un segno di speranza di fronte alle violenze e alle forme d'ingiustizia che colpiscono il mondo".
L'evento assume peraltro un significato particolare per le comunità religiose dell'isola, dove proprio nel 2011 si festeggiano i settant'anni dalla costituzione del Consiglio nazionale delle Chiese in Giamaica. Come accennato una cerimonia liturgica si è svolta a Kingston alla presenza di vari leader, tra i quali il presidente della Conferenza episcopale nelle Antille, l'arcivescovo di Kingston in Jamaica, Donald James Reece. Monsignor Reece, riferendosi alla violenza della schiavitù, ha sottolineato che la Giamaica "è la sede giusta per poter esaminare il percorso che dalle forme di oppressione della libertà ha portato al movimento per la pace. Noi non siamo chiamati a sperimentare la guerra e l'odio, ma l'unità e la pace". In un messaggio video trasmesso durante la cerimonia liturgica, il segretario generale del Wcc, Olav Fykse Tveit, ha messo in rilievo la proficua collaborazione tra la Conferenza episcopale nelle Antille e il Consiglio nazionale delle Chiese in Giamaica. Il segretario generale ha anche richiamato le altre iniziative che accompagnano la Convocazione, tra le quali, in particolare, la celebrazione mondiale, il 22 maggio, della Domenica della Pace. Per l'occasione tutte le comunità religiose del Wcc saranno chiamate a unirsi in preghiera con i partecipanti all'incontro ecumenico, per suggellare il rilancio dell'impegno globale verso la pace giusta. Nel documento preparatorio alla Convocazione ecumenica è fra l'altro scritto: "La pace e la costruzione della pace sono aspetti importanti della vita comune nella casa di Dio. Se ognuno vive in armonia con l'altro e tutti sperimentano il benessere come frutto del vivere in verità, giustizia e pace nella casa, allora tutti devono partecipare al processo della costruzione della pace, del rafforzamento spirituale e dell'edificazione (oikodome). Ognuno è chiamato come costruttore della casa (oikodomos) a edificare e rafforzare l'oikoumene, aiutando ogni suo membro a vivere in modo responsabile e attivo". In sintesi, si conclude, "sia il nostro mondo interiore (la costruzione della pace come educazione dello spirito) che il mondo esteriore (la costruzione della pace in e con le istituzioni giuste) hanno un urgente bisogno di costruttori di pace. La terra ha bisogno di cristiani che si uniscano agli altri per costruire la pace nel creato e, allo stesso tempo, facciano la pace con il creato". L'incontro ecumenico, ribadisce a "L'Osservatore Romano" il direttore della Commission of Churches on International Affairs del Wcc, Mathews George Chunakara, "servirà dunque a fornire un ampio spettro di azioni, in modo tale da creare una piattaforma comune da cui partire per dare testimonianza e senso di praticità alla pace di Dio e trovare i modi per rafforzare la posizione delle comunità religiose". In tale modo, aggiunge, "tutte le comunità e i singoli individui troveranno un'opportunità d'incoraggiamento per rinnovare il loro impegno per la non violenza". L'auspicio, conclude Chunakara, "è che il documento finale, che scaturirà dall'incontro, possa contribuire a rafforzare le posizioni delle comunità religiose sulla pace giusta e a renderle capaci di essere più creative ed efficaci nella loro missione per promuovere la pace e la riconciliazione a ogni livello della società".


(©L'Osservatore Romano 24 marzo 2011)
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Nella Giornata di preghiera e di digiuno in memoria dei missionari martiri

La suprema testimonianza
al Vangelo


ROMA, 23. Non disperdere la memoria dei martiri. Lo aveva chiesto Giovanni Paolo II alla vigilia dell'Anno Santo del 2000. "Nel nostro secolo - aveva detto - sono tornati i martiri, spesso sconosciuti, quasi militi ignoti della grande causa di Dio". In quest'idea del martirio come realtà contemporanea, c'è tutto il senso della Giornata di preghiera e digiuno per i missionari martiri, in programma per giovedì 24 marzo. Un appuntamento giunto ormai alla 19ª edizione. Sulla scia del servo di Dio, molte comunità cristiane, associazioni, semplici fedeli organizzano marce, digiuni, rosari per onorare fratelli e sorelle che nel mondo muoiono a causa della fede. La Chiesa si raccoglie intorno a quanti hanno reso suprema testimonianza al Vangelo e ricorda in particolare gli operatori pastorali - vescovi, sacerdoti, religiosi, religiose e laici - che nel 2010 hanno perso la vita per la violenza altrui: "Il nostro mondo - sono parole di Benedetto XVI - continua ad essere segnato dalla violenza, specialmente contro i discepoli di Cristo".
La Giornata è coordinata dall'Ufficio nazionale della Conferenza episcopale italiana (Cei) per la cooperazione missionaria tra le Chiese ed è animata, in particolare, dal Movimento giovanile missionario delle Pontificie opere missionarie (Pom); cade - lo ricordiamo - nell'anniversario dell'uccisione dell'arcivescovo di San Salvador, monsignor Oscar Arnulfo Romero, avvenuta il 24 marzo 1980 durante la celebrazione dell'Eucaristia. Con la scelta del motto per la ricorrenza del 2011, "Restare nella speranza", si intende proporre una lettura escatologica della figura del missionario caduto che ponga l'accento sul perdurare della sua testimonianza lungo il cammino della Chiesa, a sostegno della missione dei fedeli nelle ore di difficoltà. L'ucciso diviene, dunque, "fondatore di nuove speranze, sorgente di fiducia, messaggio che supera il tempo e la spazio", come si legge nei sussidi preparati per la Giornata.
Secondo il dossier redatto dall'agenzia Fides, sono 23 gli operatori pastorali caduti nel 2010, un conteggio che non considera solo i missionari ad gentes in senso stretto, ma tutti gli operatori pastorali morti in modo violento. L'elenco include un vescovo - monsignor Luigi Padovese, vicario apostolico dell'Anatolia - 15 sacerdoti, un religioso, una religiosa, due seminaristi, tre laici. Rispetto ai continenti e paesi di origine, 14 provenivano dall'America (5 Brasile, 3 Colombia, 2 Messico, uno Stati Uniti, Portorico, Perú, Haiti), 5 dall'Asia (due Cina, due Iraq, uno India), due dall'Africa (Togo, Congo/RDC), due dall'Europa (Italia, Polonia).
Comunità parrocchiali e di vita consacrata, seminari fanno memoria dei fratelli scomparsi con un triduo di preghiera, per il quale è stato approntato uno speciale sussidio; il materiale offre tra l'altro uno schema per il rosario, la Via Crucis e l'adorazione eucaristica, con meditazioni che propongono brani della spiritualità dei missionari e missionarie uccisi. I fedeli potranno anche dedicare il frutto del digiuno ad una iniziativa di solidarietà, individuata ogni anno dalla Fondazione Missio. Quest'anno sarà in particolare sostenuto e incrementato il progetto "Andiamo in Uruguay Giovani" istituito nel 1997 per la formazione e di ragazzi e bambini secondo il modello educativo di san Giovanni Bosco. Nell'ambito del progetto sono state realizzate quattro fondazioni in Uruguay e Bolivia che accolgono i ragazzi anche in regime di internato, offrendo loro la possibilità di seguire gli studi e di apprendere un mestiere.
Intanto l'Assemblea generale dell'Onu, su proposta del Salvador, ha designato il 24 marzo "Giornata internazionale per il diritto alla verità in ciò che attiene le violazioni flagranti dei diritti umani e per la dignità delle vittime"; nella pertinente risoluzione del 10 dicembre 2010 viene espressamente riconosciuta l'importante azione di monsignor Romero a servizio della promozione e protezione dei diritti umani nel suo Paese, un impegno riconosciuto internazionalmente grazie ai messaggi in cui il vescovo denunciava le violazioni dei diritti umani delle popolazioni più vulnerabili. Il testo evoca inoltre la dedizione dell'arcivescovo Romero al servizio dell'umanità, i suoi costanti appelli al dialogo e la sua opposizione ad ogni forma di violenza.
"Il martire - sottolinea don Gianni Cesana, direttore nazionale della Fondazione Missio, illustrando il tema della Giornata - non resiste solo nella memoria commossa di chi lo ha conosciuto o nel ricordo dei suoi gesti e insegnamenti: il martire resiste in Cristo. In tal modo diventa segno e fonte di speranza: non ci istruisce tanto la sua morte, ma la vita che prima ha vissuto in nome e per conto del Vangelo e ora la vita che sperimenta nel suo compimento, cioè nella relazione salda e definitiva con Gesù, il Crocifisso Risorto. Nello scandalo dell'apparente assenza, il martire diventa sorgente di fiducia, messaggio che supera il tempo e lo spazio, Parola preziosa per rinnovare la Missione".


(©L'Osservatore Romano 24 marzo 2011)
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