mercoledì 23 marzo 2011

Il Quotidiano Osservatore Romano del 23 Marzo 2011


Alcuni Paesi chiedono che le operazioni in Libia passino sotto il comando Nato

Vacilla la coalizione dei volenterosi


TRIPOLI, 22. Proseguono per il quarto giorno consecutivo i raid sulla Libia, ma la grande confusione che percorre la coalizione dei volonterosi - impegnata a imporre la risoluzione 1973 decisa dal Consiglio di sicurezza dell'Onu - è sfociata in un confronto diplomatico tra Italia e Francia e tradisce tutti i problemi politici per questa operazione militare avviata in fretta senza nessun cordinamento dalla Francia. L'attacco alla Libia deve fare i conti con i ripensamenti della Lega araba, con Gran Bretagna, Belgio e Italia che chiedono che il comando militare delle operazioni passi alla Nato. La Norvegia ha sospeso le operazioni in attesa di un chiarimento sul comando delle operazioni.
"L'Alleanza atlantica verrà coinvolta nel coordinamento delle future operazione in Libia", ha detto il presidente degli Stati Uniti, Barack Obama, ieri a Santiago del Cile, confermando che si passerà alla seconda fase molto rapidamente. "Voglio sottolineare il fatto che sarà una questione di giorni, non di settimane". Il segretario alla Difesa statunitense, Robert Gates - in missione a Mosca - ha previsto che i combattimenti dovrebbero diminuire nei prossimi giorni, mentre il ministro della Difesa, Anatoli Serdiukov, ha dichiarato: "La Russia invita tutte le parti coinvolte nel conflitto a fare tutto il possibile per fermare la violenza". Ieri il premier russo, Vladimir Putin, aveva criticato la risoluzione dell'Onu mentre il presidente Dmitri Medvedev aveva definito inaccettabili queste dichiarazioni. Anche la Cina ha rivolto oggi un appello a tutte le parti in gioco in Libia affinché possano cessare il fuoco immediatamente per risolvere la questione in maniera pacifica.
I ministri degli Esteri dell'Ue - che hanno approvato ieri una terza tornata di sanzioni contro il regime libico - hanno espresso soddisfazione per il varo della risoluzione dell'Onu 1793 e hanno affermato la loro determinazione a contribuire alla sua applicazione, anche se la Germania ha ribadito le sue perplessità. E mentre il Parlamento britannico ha approvato le operazioni militari in Libia con 557 voti a favore e 13 contrari, la Turchia ha escluso di partecipare a un intervento militare ma il premier Erdogan ha detto che Ankara potrebbe prendere parte a operazioni con scopi umanitari.
"Desideriamo che il comando delle operazioni passi alla Nato e che ci sia un coordinamento diverso da quello istituito finora", ha chiarito ieri sera il presidente del Consiglio dei ministri italiano, Silvio Berlusconi, mentre in precedenza il ministro degli Esteri, Franco Frattini, ha dichiarato "È giunto il momento di passare sotto l'ombrello della Nato", altrimenti l'Italia "avvierà una riflessione sull'uso delle sue basi per riprenderne il controllo". Anche il presidente della Repubblica, Giorgio Napolitano, ha oggi sottolineato che il comando unificato sotto l'egida della Nato è la soluzione di gran lunga più appropriata.
Le richieste del Governo italiano non sono però state accolte da Parigi: "Per il momento la Nato non ha alcun ruolo in questa vicenda", ha osservato il generale Philippe Ponthies, portavoce del ministero della Difesa, e anzi "il coordinamento delle operazioni funziona bene anche senza il comando unico". Oggi il portavoce del ministero degli Esteri francese, Christine Fages, ha detto che un coinvolgimento delle capacità di coordinamento della Nato nella gestione delle operazioni in Libia è un'opzione e ha invitato a "non creare polemiche artificiali" sul ruolo dell'Alleanza in Libia.


(©L'Osservatore Romano 23 marzo 2011)
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Sempre più alta la tensione nella capitale

L'ombra di un golpe sullo Yemen


SAN'A, 22. L'ombra di un golpe militare si allunga sullo Yemen, scosso da settimane di manifestazioni contro il presidente Ali Abdullah Saleh, da 32 anni al potere. Dopo il massacro di 52 manifestanti avvenuto venerdì scorso, ambasciatori, parlamentari e capi tribù hanno abbandonato il leader di San'a, insieme con molti alti ranghi dell'esercito, tra cui il potente generale Ali Mohsen. Anche il ministro degli Esteri francese, Alain Juppè, è intervenuto con decisione nella crisi, affermando che un passo indietro di Saleh è inevitabile.
Ma il regime yemenita, pur vacillando, sembra optare per la resistenza a oltranza, come ha affermato in un discorso televisivo il presidente Saleh affermando che "qualunque tentativo di prendere il potere con un colpo di Stato condurrà a una guerra civile". Numerosi carri armati sono stati schierati nella capitale mentre il consiglio nazionale della Difesa ha lanciato un monito ai militari ribelli: "non esiteremo ad agire contro qualunque progetto di golpe contro la Costituzione". A far salire la tensione è stato il clamoroso annuncio del generale di divisione Ali Mohsen, fratellastro di Saleh, il quale ha deciso di unirsi alla causa dei manifestanti, insieme ad altri due generali e una dozzina di ufficiali. La dichiarazione (Mohsen sembra controlli circa il 60 per cento dell'esercito) ha provocato la reazione del regime, che ha schierato numerosi carri armati nella capitale, in difesa dei palazzi del potere e della banca centrale.


(©L'Osservatore Romano 23 marzo 2011)
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Nella zona della centrale di Fukushima

Giappone, mare radioattivo


TOKYO, 22. Dal Giappone arrivano nuove conferme della diffusione della contaminazione radioattiva provocata dall'incidente alla centrale di Fukushima. L'agenzia di stampa nipponica Kyodo ha riferito oggi che è stato rilevato materiale radioattivo nell'acqua di mare nei pressi della centrale. Il Governo ha riferito che i livelli di radiazione in acqua di mare non costituiscono minaccia immediata per la salute, ma i valori sono al di sopra del normale alimentando preoccupazioni sulla contaminazione marina e sugli effetti sui prodotti della pesca. Il ministero della Scienza e Tecnologia ha precisato che provvederà a esaminare l'acqua nel raggio di trenta chilometri dalla centrale di Fukushima.
Secondo la Tepco, la società privata che gestisce gli impianti nucleari in Giappone, lo iodio-131 è stato rilevato nei campioni di acqua pari a 126,7 volte il limite di concentrazione legale, mentre i livelli di cesio-134 si sono attestati a 24,8 volte e quelli di cesio-137 a 16,5 volte. In un campione d'acqua prelevato nei pressi dell'impianto sono state rilevate anche tracce di cobalto 58.
Ai reattori della centrale danneggiata si è riusciti a collegare linee elettriche esterne che potrebbero consentire di accelerare le operazioni di raffreddamento, ma nelle ultime ore sono riprese le fuoriuscite di fumo che secondo l'Agenzia per la sicurezza nucleare potrebbero probabilmente rilasciare piccole quantità di particelle radioattive.


(©L'Osservatore Romano 23 marzo 2011)
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Il celibato sacerdotale

Questione di radicalità evangelica

Le catacombe come paradigma della complessità degli ultimi secoli del mondo antico

Quando i romani dipingevano al buio


di MAURO PIACENZA
Residuo preconciliare e mera legge ecclesiastica. Sono queste, in definitiva, le principali e più dannose obiezioni che riaffiorano nel periodico riaccendersi del dibattito sul celibato sacerdotale. Eppure, niente di questo ha reale fondamento, sia che si guardi ai documenti del concilio Vaticano II, sia che ci si soffermi sul magistero pontificio. Il celibato è un dono del Signore che il sacerdote è chiamato liberamente ad accogliere e a vivere in pienezza.
Se infatti si esaminano i testi, si nota innanzitutto la radicale continuità tra il magistero che ha preceduto il concilio e quello successivo. Pur con accenti talora sensibilmente differenti, l'insegnamento papale degli ultimi decenni, da Pio XI a Benedetto XVI, è concorde nel fondare il celibato sulla realtà teologica del sacerdozio ministeriale, sulla configurazione ontologica e sacramentale al Signore, sulla partecipazione al suo unico sacerdozio e sulla imitatio Christi che esso implica. Solo, dunque, una scorretta ermeneutica dei testi del Vaticano II - a cominciare dalla Presbyterorum ordinis - potrebbe condurre a vedere nel celibato un residuo del passato di cui liberarsi. E una tale posizione, oltre che errata storicamente, teologicamente e dottrinalmente, è anche dannosa sotto il profilo spirituale, pastorale, missionario e vocazionale.
Alla luce del magistero pontificio bisogna anche superare la riduzione, in taluni ambienti molto diffusa, del celibato a mera legge ecclesiastica. Esso, infatti, è una legge solo perché è un'esigenza intrinseca del sacerdozio e della configurazione a Cristo che il sacramento dell'Ordine determina. In tale senso la formazione al celibato, oltre ogni altro aspetto umano e spirituale, deve includere una solida dimensione dottrinale, poiché non si può vivere ciò di cui non si comprende la ragione.
In ogni caso, il dibattito sul celibato, che periodicamente nei secoli si è riacceso, certamente non favorisce la serenità delle giovani generazioni nel comprendere un dato così determinante della vita sacerdotale.
Giovanni Paolo II nella Pastores dabo vobis (n. 29), riportando il voto dell'assemblea sinodale, afferma: "Il Sinodo non vuole lasciare nessun dubbio nella mente di tutti sulla ferma volontà della Chiesa di mantenere la legge che esige il celibato liberamente scelto e perpetuo per i candidati all'Ordinazione sacerdotale nel Rito latino. Il Sinodo sollecita che il celibato sia presentato e spiegato nella sua piena ricchezza biblica, teologica e spirituale, come dono prezioso dato da Dio alla sua Chiesa e come segno del Regno che non è di questo mondo, segno dell'amore di Dio verso questo mondo nonché dell'amore indiviso del sacerdote verso Dio e il Popolo di Dio".
Il celibato è questione di radicalismo evangelico. Povertà, castità e obbedienza non sono consigli riservati in modo esclusivo ai religiosi. Sono virtù da vivere con intensa passione missionaria. Non possiamo abbassare il livello della formazione e, di fatto, della proposta di fede. Non possiamo deludere il popolo santo di Dio, che attende pastori santi come il curato d'Ars. Dobbiamo essere radicali nella sequela Christi senza temere il calo del numero dei chierici. Infatti, tale numero decresce quando si abbassa la temperatura della fede, perché le vocazioni sono "affare" divino e non umano. Esse seguono la logica divina che è stoltezza agli occhi umani.
Mi rendo conto, ovviamente, che in un mondo secolarizzato è sempre più difficile comprendere le ragioni del celibato. Ma dobbiamo avere il coraggio, come Chiesa, di domandarci se intendiamo rassegnarci a una tale situazione, accettando come ineluttabile la progressiva secolarizzazione delle società e delle culture, o se siamo pronti a un'opera di profonda e reale nuova evangelizzazione, al servizio del Vangelo e, perciò, della verità sull'uomo. Ritengo, in tal senso, che il motivato sostegno al celibato e la sua adeguata valorizzazione nella Chiesa e nel mondo possano rappresentare alcune tra le vie più efficaci per superare la secolarizzazione.
La radice teologica del celibato, dunque, è da rintracciare nella nuova identità che viene donata a colui che è insignito del sacramento dell'Ordine. La centralità della dimensione ontologica e sacramentale e la conseguente strutturale dimensione eucaristica del sacerdozio rappresentano gli ambiti di comprensione, sviluppo e fedeltà esistenziale al celibato. La questione, allora, riguarda la qualità della fede. Una comunità che non avesse in grande stima il celibato, quale attesa del Regno o quale tensione eucaristica potrebbe vivere?
Non dobbiamo allora lasciarci condizionare o intimidire da chi non comprende il celibato e vorrebbe modificare la disciplina ecclesiastica, almeno aprendo delle fessure. Al contrario, dobbiamo recuperare la motivata consapevolezza che il nostro celibato sfida la mentalità del mondo, mettendo in crisi il suo secolarismo e il suo agnosticismo e gridando, nei secoli, che Dio c'è ed è presente.


(©L'Osservatore Romano 23 marzo 2011)
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di CARLO CARLETTI
Il 23 marzo, nella sala delle conferenze di Palazzo Massimo a Roma, viene presentato il volume di Fabrizio Bisconti Le pitture delle catacombe romane. Restauri e interpretazioni (Tau Editrice, Todi, 2011, pp. XI + 361, euro 90). Anticipiamo ampi stralci di due degli interventi previsti. All'incontro interverranno anche il direttore del Dipartimento di studi storici e artistici, archeologici e della conservazione dell'Università di Roma Tre, Liliana Barroero, e il direttore del nostro giornale.

Le pitture delle catacombe romane sono senza alcun dubbio parte costitutiva e dinamica della produzione artistica di età tardoantica, anche se questo ruolo non sempre è stato riconosciuto da quella parte del mondo degli studi e della divulgazione (ad esempio nelle mostre), ancora ingabbiato in un malcelato pregiudizio "classicistico" e condizionato da un inconscio atteggiamento "laicista", pateticamente percepito come politically correct.
Ma il dato concreto è quello di una documentazione di enorme consistenza, in cui convivono - talvolta nel medesimo contesto insediativo - manifestazioni di notevole eccellenza qualitativa e prodotti per lo più di livello medio-basso, sia dal punto di vista formale che da quello tecnico-esecutivo: performances di routine di "immediato consumo", condizionate e dalla urgenza dell'irruzione della morte e dalle disagevoli condizioni ambientali e strutturali che caratterizzano i siti catacombali.
La funzionalità di questo repertorio di immagini nel mondo dei morti, rimane (anche nella percezione dei committenti e degli utenti cristiani) quella tradizionale della decorazione dell'ultima dimora e della autorappresentazione di un singolo o di un gruppo familiare. Sono poi le scelte di determinati temi e soggetti che, attraverso emblematiche schematizzazioni, interazioni e formulazioni, svelano e definiscono la prospettiva entro la quale questi messaggi figurali si inseriscono e prendono significato.
Si rimarrebbe nel vago e nell'indefinito se una volta tanto non si entrasse nella reale consistenza di questo patrimonio, se non si percorresse anche con attenzione "computistica" questo microcosmo figurativo capillarmente "invasivo", che tuttora si lascia leggere, apprezzare, studiare negli oltre centocinquanta chilometri di estensione lineare degli ambienti sotterranei catacombali. In questa prospettiva una preliminare analisi quantitativa riveste un ruolo determinante e costituisce un fondamentale plafond di riferimento per qualsiasi successiva indagine non condizionata da pregiudiziali divisive.
Il volume complessivo di questo straordinario dossier figurativo, tradotto in numeri, svela ordini di grandezza senza dubbio inaspettati, forse anche per gli addetti ai lavori. Negli oltre settanta insediamenti catacombali di Roma si conservano 420 unità monumentali (cubicoli, arcosoli, tratti di gallerie, loculi, cripte, basiliche ipogee), con circa 2.300 contesti decorativi, esiti ultimi della consapevole scelta di temi e soggetti che, per un verso ripropongono la tradizione di un immaginario figurativo connesso alla morte e all'aldilà nelle sue diversificate percezioni e, per l'altro, presentano un nuovo repertorio tematico, che per la prima volta, con la discrezione che contrassegna la nascita di processi innovativi, entra nell'universo figurativo della tarda antichità.
Pertanto, accanto al tessuto connettivo costituito dagli innumerevoli dispositivi figurativi che caratterizzano il mondo ultraterreno, emergono le traduzioni figurative di uno specifico "identitario". Qui sono ancora i numeri che forniscono l'entità e lo spessore di una molteplicità di temi e soggetti di diretta estrazione biblica: complessivamente 620 esemplari (420 dall'Antico Testamento, 198 dal Nuovo) che propongono 47 temi, 31 veterotestamentari e 16 neotestamentari. Se ci si spinge più in profondità all'interno di queste indicazioni numeriche, si possono apprezzare, come elemento forse significativo della Biblisierung ("diffusione della Scrittura nelle comunità"), le ricorrenze dei diversi luoghi scritturistici.
Al vertice delle preferenze si pongono due eventi veterotestamentari, Mosè che batte la rupe (12 per cento di esemplari) e i diversi momenti del ciclo di Giona (10 per cento), cui seguono un tema neotestamentario - il miracolo della resurrezione di Lazzaro, rappresentato in sessantacinque esemplari (10 per cento) - e ancora altri due temi dell'antico Testamento, Daniele nella fossa dei leoni e Noè nell'arca (rispettivamente 8 per cento e 7,50 per cento). Tra i temi di ascendenza neotestamentaria, sono nettamente più diffusi i miracoli di Gesù e, tra questi, particolare predilezione è riservata alla risurrezione di Lazzaro, alla moltiplicazione dei pani e alla guarigione del paralitico.
Al di fuori dello specifico religioso, vi sono una moltitudine di rappresentazioni che propongono un amplissimo repertorio di una vera e propria "iconografia del reale", che illustra attività, mestieri, professioni, attitudini dei defunti, proponendo a volte anche momenti salienti connessi al rituale funerario. Il tessuto connettivo concettuale e materiale in cui si dispone questa esplosione di immagini bibliche rimane quello dell'iconografia dell'"irreale", la rappresentazione cioè di un immaginario dell'aldilà che sintetizza in molteplici esiti e soluzioni un patrimonio di idealità secolari.
Dietro e dentro questa elencazione di dati, si celano una infinità di questioni che afferiscono agli ambiti storico-culturale, storico-artistico, iconografico e iconologico ma anche naturalmente alle metodologie, agli approcci, alla verifica delle correnti storiografiche e della proposizione dei modelli interpretativi. Problematiche che, come ovvio, suscitano interrogativi, impongono riletture, esigono chiarimenti.
È questo il perimetro, ampio e articolato, pieno anche di classiche e insidiose questioni lungamente dibattute, in cui si muove il nuovissimo libro di Fabrizio Bisconti, Le pitture delle catacombe romane. Restauri e interpretazioni. Il titolo, come gli studiosi percepiranno immediatamente, richiama un'opera grandiosa, ma ormai ineluttabilmente segnata dal tempo. La raccolta, appunto, delle pitture delle catacombe romane pubblicata a Roma nel 1903 da Giuseppe Wilpert: un libro monumentale che fece epoca e che ha costituito per molti decenni il punto di partenza obbligato per qualsiasi ricerca nel campo della pittura cimiteriale tardoromana, anche se le datazioni di Wilpert (oggi del tutto superate) si muovevano verso confini incompatibili con la realtà del tardo antico, cui concettualmente e cronologicamente appartiene tutta la pittura catacombale.
A oltre un secolo di distanza da un precedente così illustre, il libro di Bisconti si muove naturalmente in tutt'altra prospettiva e lungo percorsi impensabili (almeno a Roma) tra la fine del XIX e l'inizio del XX secolo. La materia, complessa e articolata nelle problematiche e negli strumenti ermeneutici, è presentata attraverso una oculata e meditata riproposizione di quattordici saggi pubblicati nell'ultimo ventennio, disposti in successione secondo la cronologia dei monumenti pittorici esaminati. È un'idea felice perché consente al lettore di seguire fin dalla sua fase genetica la nascita e lo sviluppo di una iconografia paleocristiana e nel contempo la "resistenza" di un immaginario figurativo di tradizione, che non sempre e non necessariamente - anche nei cimiteri cristiani - risponde e si spiega alla luce della categoria religiosa.
La raccolta dei saggi è preceduta da una densissima introduzione che ha il taglio di una rimeditazione storiografica e metodologica e che, in trasparenza, fa emergere il percorso di maturazione critica dell'autore. Ma in questa selezione c'è un valore aggiunto: come indicato nel sottotitolo, tutti i saggi muovono dalle risultanze acquisite in seguito a interventi particolarmente rilevanti (conservazione, consolidamento, restauro) eseguiti dalla Pontificia Commissione di archeologia sacra in alcuni importanti e, in più di un caso, fondamentali complessi pittorici. In particolare, quelli del sepolcreto della Piazzola in catacumbas, degli ipogei degli Aureli e di Trebio Giusto, nelle catacombe di Priscilla, di Pretestato, dei Santi Marcellino e Pietro, di via Dino Compagni, di San Callisto, della ex vigna Chiaraviglio, dell'insediamento anonimo della via Ardeatina. La lucida consapevolezza dell'inestricabile legame che interconnette (ma non sempre e dovunque è così) la ricerca della conoscenza storica con la vigile preoccupazione della tutela e della conservazione, è la sfraghìs connotativa del libro di Bisconti e del suo modo di interagire - attraverso gli appropriati strumenti critici - con la produzione figurativa dell'antichità cristiana, come è chiarito nell'incipit della nota introduttiva al volume. "Vent'anni di restauri hanno mutato il volto della "Roma sotterranea cristiana", di quel mondo delle catacombe che mai aveva goduto di una vera e propria attenzione conservativa per quanto attiene gli apparati decorativi e, specialmente, per quanto riguarda un grande patrimonio pittorico. (...) Una disattenzione che ha pesato sulla conoscenza della pittura dell'ultima antichità, tanto che, ancora ai nostri giorni, si parla con disinvoltura dell'arte tardoantica, tacendo di questi "affreschi nel buio"".
Eppure questi affreschi nel buio svelano storie complesse spesso insospettabili e concorrono a chiarire aspetti di una storia complessa e non sempre leggibile nei dettagli, che riguarda anche problemi nodali, come ad esempio quello del rapporto delle prime comunità con i luoghi della sepoltura. In questa direzione un contributo importante è venuto dall'intervento di pulizia e restauro di un affresco sovrastante il mausoleo di Clodius Hermes nel complesso della Piazzola in catacumbas: qui la rappresentazione figurativa era stata letta (sebbene con qualche dubbio) in chiave cristiana con il riconoscimento della parabola del Buon Pastore, della moltiplicazione dei pani, della guarigione dell'ossesso di Gerasa.
Ma l'intervento di pulizia e consolidamento dell'intera superficie affrescata ha consentito di riconoscervi alcuni episodi del ciclo omerico (le greggi di Laerte, la gozzoviglia dei Proci, i compagni di Ulisse trasformati in porci) peraltro presenti in altra formulazione anche nell'ipogeo degli Aureli. L'aspetto importante di questa rilettura è la conferma che quello della Piazzola è un insediamento pagano che, nel corso della prima età antoniniana, accolse anche le sepolture di alcuni cristiani della famiglia degli Ancotii.
Spostandosi verso la fine del IV secolo, si osserva come momenti nodali della storia della Chiesa di Roma abbiano trovato eco nelle pitture delle catacombe. Nell'arcosolio di Celerina della catacomba di Pretestato, sottoposto a un'accuratissima operazione di consolidamento e restauro guidato da Barbara Mazzei, è stato possibile rileggere e meglio percepire quanto veicolato dalle immagini. Qui - siamo all'inizio del V secolo - si coglie evidente l'eco della questione ariana al tempo di Papa Liberio (352-366) resa allegoricamente dall'immagine biblica di Susanna in forma di agnello insidiata dai seniores (i vecchioni) tradotti come lupi, che rappresentano rispettivamente la Chiesa e l'eresia (in questo caso quella ariana), sulla scorta appunto della figura dei due lupi che la tradizione patristica aveva elaborato per significare i persecutori e gli eretici sulla scorta del passo di Matteo, 10, 6: sicut oves in medio luporum. Ancora un altro punto nodale - emerso durante il pontificato di Damaso (366-384) - è quello rappresentato da un affresco della catacomba dell'ex vigna Chiaraviglio, in cui senza alcun dubbio si coglie il riflesso delle deliberazioni del concilio romano del 382, nel quale il primato petrino (e dunque del vescovo romano) viene riproposta come societas beatissimi Pauli, un prestigioso "valore aggiunto" alla apostolicità della sede romana.
Questa pregnante definizione è figurativamente tradotta con la scena monumentale dell'abbraccio di Pietro e Paolo, cioè con la concordia Apostolorum, che all'inizio degli anni Sessanta del IV secolo era stata corrosivamente messa in discussione dall'imperatore Giuliano l'Apostata, ispirato dalla polemica anticristiana del filosofo Porfirio di Tiro.
Una parte consistente e significativa dei numerosi e complessi problemi affrontati nel libro di Bisconti non si sarebbe nemmeno posta se non ci fosse stata l'azione coordinata della Pontificia Commissione di archeologia sacra nella direzione della conservazione e della tutela delle catacombe, soprattutto nelle sue evidenze più fragili, che sono proprio le pitture ad affresco. A queste problematiche connesse alle attività di conservazione è stata dato lo spazio che meritavano, anche con l'esposizione dettagliata (supportata dal contributo degli interventi specialistici di Barbara Mazzei) delle procedure di intervento che hanno attinto alle più sofisticate e aggiornate tecniche.
Merita di essere segnalata la ripresa fotografica all'infrarosso con il sistema della riflettografia che, nelle sovrapposizioni di successive stesure pittoriche, consente di leggere lucidamente ciò che l'occhio umano o il tradizionale obiettivo fotografico non consentirebbero: è il caso della concordia Apostolorum dell'ex vigna Chiaraviglio che ha svelato una prima rappresentazione degli apostoli acclamanti alla croce o, ancora, dell'arcosolio di Celerina, in cui sotto la figura di san Paolo è emersa una presenza maschile, appartenente a un precedente e diverso contesto decorativo.
Gli esiti degli interventi di consolidamento, restauro, come anche del ricollocamento di disiecta membra nei contesti figurativi di appartenenza, hanno consentito di vedere "l'erba dalla parte delle radici", come scrive Bisconti, e dunque di seguire e definire nelle loro caratteristiche i procedimenti tecnico-esecutivi e la presenza di tutto quanto attiene alla fase preparatoria del lay-out (impaginazione) della superficie destinata ad accogliere l'affresco.
L'individuazione endoscopica - perciò indolore oltre che non invasiva - di questi elementi fornisce preziosi indicatori per una più dettagliata e documentata definizione cronologica: un aspetto nevralgico tuttora in corso di ridefinizione anche perché condizionato dalla contrapposizione critica (non di rado duramente polemica) alle cronologie pregiudizialmente "alte", spesso insostenibili, ereditate dalla prima scuola romana (de Rossi - Wilpert).
In sintesi, sul piano della multiforme e multiculturale vicenda storico-artistica che attraversa i secoli della tarda antichità, il valore e l'utilità di questo nuovo libro si possono agevolmente riconoscere nella ricca molteplicità di elementi e di argomenti che quasi naturalmente conducono - anche attraverso l'ottica della produzione figurativa - a riconoscere anche nell'universo-catacomba una cassa di risonanza non troppo flebile delle complessità, che caratterizzano i secoli ultimi del mondo antico, in cui si rincorrono e si integrano, con differenti livelli di incidenza, non sempre lucidamente percepibili, tradizione, creatività, trasformazione.


(©L'Osservatore Romano 23 marzo 2011)
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Nel "Gesù di Nazaret"

Lo sguardo nuovo di Benedetto


di ALAIN BESANÇON
Il primo sentimento che ho provato nel leggere il Gesù di Nazaret è stato di ammirazione. Ho molti motivi per ammirare questo libro, come cristiano, come cattolico e infine come professore. So abbastanza bene che cos'è un buon libro. Questo, formalmente, è eccellente, degno non solo di un cardinale e di un Papa (l'autore firma con questi due titoli) ma, e lo dico con ironia, anche di un grande professore. Un arcivescovo di Parigi, monsignor Hyacinthe-Louis de Quélen, durante la Restaurazione, verso il 1820, disse che Gesù Cristo non era solo il figlio di Dio, ma anche, da parte di sua madre, di ottima famiglia.
Un buon professore conosce la sua materia a fondo, un grande professore è capace di esporla con semplicità e chiarezza. La materia è puramente e semplicemente la fede cristiana e il Papa, che ne è il custode, non ha affatto intenzione di proporre un'interpretazione personale. Non si troverà in questo libro una "teologia d'autore". Non c'è novità. Ma c'è del nuovo. Questo Papa non smette di leggere e di studiare. Ritiene altresì necessario indicare una breve bibliografia di libri contemporanei. Si tratta principalmente di libri in lingua tedesca, perché è la sua lingua e perché i tedeschi hanno scritto molto, ma cita anche libri in altre lingue. In francese non dimentica Lubac, uno dei suoi maestri, Feuillet, Louis Bouyer.
Benedetto XVI possiede l'arte di sbrogliare le questioni complesse. Un esempio: la data dell'Ultima Cena. Il Papa sostiene che è meglio seguire la cronologia di Giovanni piuttosto che quella suggerita dai Sinottici. Ne trae una conclusione teologica molto importante: Gesù non ha celebrato proprio la pasqua ebraica, ha celebrato un'altra pasqua, la sua, che ha un senso allo stesso tempo uguale e diverso.
La spiegazione è così luminosa da far provare alla mente del lettore il piacere della dimostrazione riuscita di un teorema dalla vasta portata. Questo piacere l'ho ritrovato in tutto il libro. Voltaire ha scritto che tutti i generi sono buoni eccetto quello noioso. Questo libro è di quelli che, una volta aperti, non si possono più chiudere. È appassionante.
L'interpretazione storico-critica è stata aperta al pensiero cattolico dall'enciclica di Pio XII, Divino afflante spiritu (1943), a partire dalla quale gli esegeti cattolici hanno velocemente recuperato terreno rispetto all'esegesi protestante, fino alle ipotesi più avventurose. Il Papa ritiene che questa interpretazione, ora decantata, abbia ormai "dato ciò che di essenziale aveva da dare". Ebbene, "tale esegesi deve riconoscere che un'ermeneutica della fede, sviluppata in modo giusto, è conforme al testo e può congiungersi con un'ermeneutica storica consapevole dei propri limiti, per formare un'interezza metodologica".
Un'interezza metodologica? L'obiettivo è molto ambizioso. Si tratta in definitiva di armonizzare le esigenze della fede, che non cambia, con le evidenze della ragione, che cambiano continuamente, che sono sempre da criticare e da ricostruire ma nel loro ordine legittimo.
La sfida non è nuova. Risale ai primordi della religione cristiana. A partire da Richard Simon, da Spinoza, dall'Illuminismo, dall'erudizione tedesca, non ha fatto altro che radicalizzarsi. È urgente raccoglierla. È ciò che fa questo libro, in modo calmo, irenico e generoso. È lo stile costante di Benedetto XVI.
Gli eventi si svolgono in una settimana, dalla Domenica delle Palme alla Domenica della Risurrezione. La Settimana Santa ha per i cristiani un significato inesauribile. È meno una successione di eventi che una successione di misteri. Ma ciò non impedisce allo storico d'indagare su quello che è realmente accaduto. Il metodo di Ratzinger è di seguire passo dopo passo il testo e, nel farlo, di dissipare le interpretazioni improprie. Non ne segnalo che due.
La prima fa di Gesù Cristo un attore politico, più esattamente un rivoluzionario. Durante il XIX secolo abbiamo incontrato il Cristo sanculotto nel 1792 e il Cristo socialista nel 1848. Nel XX secolo il Cristo delle "teologie della liberazione". Si trattava di un'iniezione di marxismo leninismo nel Vangelo. Ciò ha sconvolto interi continenti e i poveri fedeli hanno preferito spesso o passare direttamente ai partiti leninisti o rifugiarsi nelle sette dove, quanto meno, si credeva seriamente in Dio e nella salvezza per mezzo di Gesù Cristo. Non rimane nulla di queste teologie se si segue in buonafede lo sviluppo di questo libro. La seconda interpretazione è il protestantesimo liberale. Ratzinger ha trovato degli alleati nel protestantesimo autentico, in particolare in Joachim Ringleben che saluta come un "fratello ecumenico". Il bersaglio principale è Rudolf Bultmann, e in generale le interpretazioni simboliche degli eventi. Dico bersaglio anche se in queste pacifiche esposizioni non c'è alcuna aggressività. Quando Bultmann ha ragione, Ratzinger fa il suo elogio.
Da queste analisi si deduce che Cristo si mantiene il più vicino possibile alla Legge e ai Profeti, che non smette mai di citare e ai quali fa continuamente riferimento. Segue passo passo la tradizione. Così facendo, osservando la Torà senza cambiare una virgola, la trasforma.
Sono molto fiero di aver sottolineato, a proposito del film di Mel Gibson, La passione di Cristo, un punto che qui ritrovo sviluppato a fondo. Riguarda Caifa e Pilato. Non c'è bisogno di attribuire loro una malvagità particolare. Uno voleva la salvezza del suo popolo, l'altro voleva salvare la pax Romana. Cristo è stato messo a morte da tutti gli uomini, dai cattivi, naturalmente, ma anche dai buoni, che non lo sono fino a quel punto e che non sanno di aver bisogno di essere salvati. Ciò vale per tutti noi. Il mondo ebraico ha reagito favorevolmente a questa affermazione, dimenticando che era già stata fatta nel concilio di Trento e nel Vaticano II. Non è inutile ripeterlo.
Il nuovo rapporto con il popolo ebraico, che sussiste tuttora, è una delle conquiste più importanti del Vaticano II. Bisogna tuttavia conservare l'equilibrio. Si vede qua e là in alcuni cattolici, sempre inclini all'idolatria, un certa idealizzazione del popolo ebraico, che quest'ultimo non chiede. C'è continuità fra i due Testamenti. Ma c'è anche un taglio. Cristo non è un rabbino. Non è un altro Hillel.
Può essere che il lavoro dello storico-critico sul Nuovo Testamento si sia esaurito, ma continua sull'Antico Testamento. Da un secolo si scava con passione nella terra d'Israele alla ricerca di prove. Ebbene, non solo non sono state trovate, ma l'archeologia pensa di averne trovato alcune che dimostrano che le cose non sono avvenute come suggerisce la narrazione biblica. Sembra che si sia creato un vasto consenso fra gli archeologi e gli esegeti ebrei, protestanti e cattolici. Io ho letto, come molte persone, i libri di Finkelstein e di Silberman, e quello di Liverani. Ci sono reazioni molto critiche dal lato ebraico.
Ebbene, noi cristiani siamo sulla stessa barca. La nostra religione è una storia. Non si può far passare troppi eventi dalla parte della leggenda. Due punti appaiono cruciali. Il primo riguarda il soggiorno del popolo eletto in Egitto e la sua liberazione da parte di Mosè. È l'origine tanto dell'ebraismo quanto del cristianesimo. Cristo, ci spiega Ratzinger, si presenta come il nuovo Mosè. Sarebbe difficile ammettere che l'esodo sia un racconto leggendario.
Il secondo concerne la datazione e lo statuto di Davide, di Salomone e di Gerusalemme.
Lascio il mio giudizio in sospeso in attesa che queste nuove teorie si decantino. Nel suo libro il Papa sembra rimandare tali questioni a più tardi. Questioni che inevitabilmente si porranno.
Attendo con impazienza la terza parte dell'indagine che il Papa ci ha promesso. Riguarderà i Vangeli dell'infanzia. Vorrei essere informato sulla questione dei "fratelli di Gesù", divenuta scottante nel nostro tempo. Per me si tratta di un Shiboleth. Quando vedo un libro che osa affermare che la Vergine Maria avrebbe avuto vari figli, lo rifiuto con la stessa indignazione che provavano Lutero e Calvino quando una simile tesi veniva sostenuta dinanzi a loro. È l'Incarnazione a essere in gioco.


(©L'Osservatore Romano 23 marzo 2011)
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In Thailandia incontro dell'Ecumenical advocacy alliance sulla lotta all'Aids

Impegno comune nella promozione della vita


di RICCARDO BURIGANA
Negli ultimi anni il dialogo ecumenico si è trovato a vivere una stagione nella quale l'approfondimento delle questioni teologiche, ancora oggetto di discussione, è stato affiancato dal moltiplicarsi di iniziative con le quali Chiese e singole comunità si propongono di rendere palese quanto i cristiani possono e devono fare insieme come segno della fedeltà alla missione di annunciare e di vivere l'unità della Chiesa. Talvolta, queste iniziative nascono per opera di gruppi e di associazioni, già impegnate nell'azione missionaria e nell'opera assistenziale, così da riproporre un modello per la ricerca dell'unità che richiama le origini del movimento ecumenico contemporaneo, ufficialmente nato a Edimburgo (1910) proprio per risolvere il problema delle divisioni nell'annuncio di Cristo.

Sono molti i soggetti che sono nati proprio per assecondare e per favorire questa testimonianza ecumenica per l'unità. Tra questi, uno dei più attivi è sicuramente la Ecumenical Advocacy Alliance (Eaa) organizzazione con sede in Svizzera, a Ginevra.
La Eaa, in realtà, è una rete di soggetti ecumenici che comprende organizzazioni internazionali, come il Consiglio delle Chiese africane, la Federazione luterana mondiale (Lwf) e la Caritas internationalis, e locali, come i presbiteriani del Canada e i luterani della Finlandia, solo per citare alcuni tra i quasi cento membri cattolici, ortodossi, protestanti e evangelicali che contribuiscono alla realizzazione dei progetti nel mondo.
L'idea, che ha portato nel 2000 alla creazione della Eaa, risulta sempre attuale, come mostra il grado di coinvolgimento dei membri, il cui numero continua a crescere, per realizzare i progetti che testimoniano un impegno cristiano nella società soprattutto nella lotta contro la fame e contro la sofferenza nel mondo, in nome della difesa dei valori umani, sui quali si deve fondare la giustizia che rappresenta il primo passo per sconfiggere ogni forma di discriminazione.
La Eaa si propone di operare in difesa dei più deboli nella convinzione che tutti i cristiani siano chiamati a farsi portavoce delle istanze degli ultimi nel mondo, secondo il messaggio evangelico che deve guidare i cristiani nella ricerca dell'unità della Chiesa.
In questi anni la Eaa ha rivolto una particolare attenzione ai malati di Aids, soprattutto a coloro che vivono in quei Paesi, nei quali i pregiudizi e la precarietà del sistema sanitario determinano la progressiva emarginazione del malato dalla società. Tra i progetti promossi proprio per debellare l'Aids - identificato come un fattore che genera ingiustizia - nel 2009 è stata lanciata una campagna triennale di intervento a sostegno dei malati e per una capillare campagna di prevenzione in modo da rimuovere pregiudizi e cattiva informazione su una malattia che rimane una terribile pandemia in molti Paesi. Per una prima verifica di questa campagna triennale, che vede coinvolti cristiani di diverse denominazioni, la Eaa ha convocato dal 20 al 22 marzo un incontro ecumenico internazionale, in Thailandia, a Chang Mai. L'appuntamento, che ha come titolo "Vivere la promessa", intende essere un'occasione per valutare lo stato della campagna, in particolare i progressi nella prevenzione, nel trattamento dei malati e nel coinvolgimento delle strutture statali, là dove è stato possibile. E per programmare i prossimi passi, proprio alla luce dei risultati ottenuti e delle difficoltà incontrate. L'incontro è anche un'opportunità per rilanciare l'azione ecumenica della Eaa contro l'Aids, che non significa solo promuovere un'azione capillare ma anche una riflessione sul significato della vita come dono di Dio. Proprio su questo punto appare fondamentale il coinvolgimento di credenti di altre religioni con i quali è possibile condividere la battaglia per l'affermazione di quei valori umani, che i cristiani sono chiamati a annunciare e a difendere in ogni parte del mondo. La stessa scelta della Thailandia - Paese nel quale i cristiani sono una minoranza circoscritta, ma molto attiva e in crescita, chiamata a confrontarsi con una realtà multireligiosa, nella quale predominante è una tradizione buddista - risponde al desiderio della Eaa di trovare sempre nuovi punti d'incontro con le altre religioni in un'azione quotidiana in grado di cambiare la società, rimuovendo gli elementi di ingiustizia e di povertà. Senza, però, che questa collaborazione possa mettere in pericolo il peculiare ruolo dei cristiani.
Anche per questo, il convegno ha previsto un incontro con una comunità buddista locale per un confronto sulle soluzioni proposte per affrontare la diffusione dell'Aids e l'emarginazione dei malati, all'interno di un percorso che privilegia ciò che i cristiani devono fare insieme in questo campo. Il confronto con questa esperienza si inserisce in un programma, che, oltre a offrire una serie di elementi sullo stato della campagna, frutto di un'analisi complessiva di quanto la Eaa sta promuovendo, soprattutto in Africa e in Asia, propone uno scambio di esperienze quotidiane con le quali misurare il livello di comprensione della centralità del cammino ecumenico per rendere efficace la campagna in difesa degli ultimi. Con questo convegno la Eaa si propone anche di rilanciare una riflessione teologica sul rapporto tra i diritti umani e la lotta contro l'Aids e di sostenere ogni forma che faciliti l'accesso alle medicine in nome di un'uguaglianza dell'assistenza che affonda le proprie radici nell'assistenza ai malati, indicato nelle Sacre Scritture, in particolare nei Vangeli. Si tratta così di rendere sempre più centrale la scelta in favore di una testimonianza cristiana, fondata sulla condivisione delle Sacre Scritture e delle tradizioni di Chiese e comunità ecclesiali, che spinga i singoli cristiani a farsi annunciatori del messaggio evangelico, come elemento fondamentale e irrinunciabile per la vita della Chiesa così da condurre alla progressiva rimozione dello scandalo della divisione nell'annuncio del Vangelo per vivere l'unità nella carità.


(©L'Osservatore Romano 23 marzo 2011)
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Appelli dei vescovi e della comunità cattolica per la Giornata mondiale

L'acqua diritto di tutti e bene da preservare


NAIROBI, 22. Si celebra oggi la Giornata mondiale dell'acqua istituita dalle Nazioni Unite nel 1992 e nata per sensibilizzare alla promozione di un uso consapevole della risorsa maggiore e più importante per gli esseri umani, ancora oggi inaccessibile nel mondo a ben 884 milioni di persone. Ogni 17 secondi un bambino muore per problemi e malattie connesse alla sua mancanza e l'acqua è un bene così prezioso che la finanza lo chiama "oro blu" in quanto in grado di determinare crisi, conflitti e spaccature nei contesti sociali e politici.
Purtroppo, numerose e vaste aree del mondo patiscono il flagello della siccità. Specialmente in Africa la situazione si presenta particolarmente grave. "Emergency Response Fund for Kenya 2011 Drought Appeal" è il titolo dell'appello recentemente firmato dall'arcivescovo di Nairobi, il cardinale John Njue, a nome dei vescovi del Kenya, a favore dei circa 2.1 milioni di abitanti di alcune delle diocesi cattoliche del Paese che sono state gravemente colpite dalla siccità. La situazione attuale - spiegano i vescovi - ha generato una conseguente carenza di prodotti alimentari, aumento dei prezzi, mancanza di acqua, di raccolti, migrazioni e conflitti, malnutrizione, assenza dei bambini dalle scuole, fame e morte. "Siamo tutti profondamente preoccupati a causa di questa crisi e delle sofferenze che stanno vivendo molti kenyoti. In questa situazione milioni di persone vulnerabili rischiano di perdere i propri mezzi di sussistenza". I presuli invitano a unirsi in una grande iniziativa solidale di raccolta di generi alimentari e finanziamenti attraverso parrocchie, diocesi e altre strutture della Chiesa. Secondo il comunicato, le aree più gravemente colpite includono i pascoli al nord, nordest e quelli del sud (Maasai) come pure le famiglie dedite all'agricoltura che vivono nelle zone costiere e nel sud-est del Paese.
In occasione della Giornata, anche le Pontificie opere missionarie (Pom) australiane, hanno diffuso un messaggio dal titolo "Preservare l'acqua della vita", nel quale si sottolinea che ancora oggi milioni di donne e di bambini camminano ogni giorno per ore per raccogliere e portare acqua alle loro famiglie. Circa due milioni di persone percorrono fino a un chilometro di distanza per avere un po' d'acqua che non sempre è potabile e causa malattie serie come il colera e la dissenteria. Il direttore nazionale delle Pom australiane, Martin Teulan, scrive: "Le richieste di progetti idrici sono molto frequenti, e variano a seconda delle circostanze, anche se hanno come elemento comune quello di contribuire a sostenere e migliorare le condizioni di vita". Tra queste richieste, per esempio - viene ricordato - in Papua Nuova Guinea ci sarebbero da sostituire i serbatori d'acqua nelle scuole; creare un impianto idraulico per la cucina in un seminario in Timor Est, comprare una pompa idraulica in Myanmar, o scavare un pozzo in Etiopia. Le Pom offrono anche altri tipi di sovvenzioni come quelli per la fornitura di medicinali alle cliniche che prestano soccorso alle persone affette da malattie causate dall'acqua inquinata. "La siccità continua a colpire - conclude - molti Paesi. Persiste nell'Australia occidentale, e in Vietnam, Cina, Africa e America Latina".
L'acqua diventa anche veicolo di educazione e possibilità di crescita per oltre 400 bambini in Messico. Lo dimostra il nuovo progetto "Nutrire la persona, alimentare la speranza", che l'Associazione volontari per il servizio internazionale (Avsi) sta portando avanti in collaborazione con Humana Italia. Il gruppo si è impegnato a devolvere 10 centesimi di euro per ogni bottiglia di acqua venduta, in modo da sostenere il nuovo centro educativo "Maria De Guadalupe" di Monte Álban, nello Stato di Oaxaca in Messico.
In una nota, il presidente del Coordinamento di iniziative popolari di solidarietà internazionale (Cipsi), Guido Barbera, sottolinea che "l'acqua è il bene comune più prezioso, un diritto di tutta l'umanità e non può essere ridotta a merce".


(©L'Osservatore Romano 23 marzo 2011)
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Intervista all'arcivescovo di Nagasaki, Joseph Mitsuaki Takami

Le radiazioni scuotono la coscienza del Giappone


di ROBERTO SGARAMELLA
"L'evoluzione degli avvenimenti all'interno della centrale atomica di Fukushima, il sacrificio di quanti sono impegnati nell'opera di spegnimento dei generatori e le radiazioni che rischiano d'inquinare per sempre l'ambiente circostante ci preoccupano molto ma questi sentimenti non prevalgono sul profondo dolore per le migliaia di vittime del terremoto e dello tsunami". Questo è quanto dichiara monsignor Joseph Mitsuaki Takami, arcivescovo di Nagasaki, nel corso dell'intervista a L'Osservatore Romano. Su questa tragica vicenda, il presule giapponese dimostra forte sensibilità per i lutti e le sofferenze causati dal disastro naturale e pone attenzione sui rischi di contaminazione per le emissioni radioattive dalla centrale atomica il cui livello di sicurezza rimane ancora una incognita.

Monsignor Takami, lei afferma di essere preoccupato per i problemi causati dalla centrale di Fukushima. Trova forse un'anologia tra lo shock subìto dagli abitanti di Nagasaki per l'esplosione dell'atomica e l'allarme per i danni causati dalle fughe di radiazioni nella centrale atomica?

Assolutamente no. I tragici bombardamenti di Hiroshima e di Nagasaki furono legati agli eventi bellici. L'attuale situazione è invece una conseguenza di un grave disastro naturale che tuttavia poteva avere conseguenze meno devastanti se ci fosse stata una maggiore prevenzione. Certo è innegabile che lo shock provocato dagli ordigni atomici di Nagasaki e di Hiroshima permane ancora oggi per le atroci conseguenze subìte da chi venne colpito dalle radiazioni. Penso che sia comprensibile che quanto sta avvenendo alla centrale di Fukushima colpisca profondamente i tanti che hanno impresse nella memoria le sofferenze delle radiazioni. L'incidente della centrale atomica è solo il più recente di una lunga serie che ha colpito gli impianti atomici in Giappone dal 1981 ad oggi.

Cosa sta facendo la sua diocesi per aiutare le vittime del disastro?

Partecipiamo a tutte le iniziative avviate dalla Caritas del Giappone. In più stiamo inviando volontari della nostra diocesi esperti in aiuti umanitari. Non dubitiamo certo sull'efficienza degli aiuti già in atto, ma vogliamo dare un apporto diretto a quanti si trovano in una condizione di urgente bisogno. L'aiuto proveniente da chi è discendente diretto delle vittime della bomba atomica può avere un forte valore di testimonianza.

Lei ha detto che l'incidente alla centrale di Fukushima è il più recente di una lunga serie. Crede che la tecnologia nucleare non sia così sicura?

Non posso rispondere perché non sono un esperto di energia atomica. Tuttavia, devo constatare la lunga serie d'incidenti avvenuti in Giappone prima dell'attuale: dal 1981, con la fuga di radioattività nell'impianto di Tsuruga, fino a quello del luglio 2007 che ha riguardato l'impianto di Kashiwazaki-Kariwa, la più grande centrale atomica del mondo che fornisce energia a venti milioni di abitanti. Anche qui l'incidente è avvenuto in seguito ai danneggiamenti alle strutture causate da un terremoto. Ha preso fuoco un trasformatore elettrico che ha provocato la fuoriuscita di milleduecento litri di acqua radioattiva che si sono riversati nel Mar del Giappone. L'allora direttore dell'Agenzia internazionale per l'energia atomica (Aiea), El Baradhei, aveva dichiarato che il sisma "era stato più forte di quello per cui la centrale era stata progettata". C'è il fondato sospetto che la faglia sismica passi sotto la centrale.

Attualmente è possibile che il Giappone rinunci all'uso delle centrali atomiche?

Non è assolutamente realistico! Nel Paese sono in funzione cinquantadue impianti a propulsione nucleare che forniscono un quarto dell'energia totale. Bloccarli significherebbe provocare uno shock all'economia. Certo è possibile migliorare gli standard di sicurezza e incentivare lo sviluppo di altre fonti energetiche più sicure. Come vescovo posso dire che l'energia è un dono di Dio all'uomo e che deve essere usata solo per il bene comune.


(©L'Osservatore Romano 23 marzo 2011)
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Intervento dell'arcivescovo Vegliò ad Amman

Vanno difesi i diritti
di profughi e lavoratori migranti


La Chiesa deve sempre poter "alzare la sua voce a difesa dei diritti dei rifugiati". È l'appello che l'arcivescovo Antonio Maria Vegliò, presidente del Pontificio Consiglio della Pastorale per i Migranti e gli Itineranti, ha lanciato ad Amman il 18 marzo scorso. Il presule - che si è recato nella capitale giordana per incontrare le organizzazioni cattoliche locali di volontariato (come il Jesuit refugee service e la Caritas) che si occupano del dramma dei migranti e degli sfollati - ha denunciato soprattutto il rischio che la dipendenza delle organizzazioni caritative della Chiesa da donatori non cattolici possa "mettere in discussione la loro identità" e, dunque, limitare la loro libertà di azione e di intervento a favore dei più bisognosi.
L'attenzione dell'arcivescovo si è rivolta soprattutto alla situazione della Giordania. Il Paese infatti, che ha circa sei milioni di abitanti, moltissimi dei quali di origine palestinese, ospita oggi anche mezzo milione di rifugiati iracheni e trecentomila lavoratori migranti. Monsignor Vegliò dopo aver ricordato che nel Paese la maggior parte dei lavoratori migranti sono egiziani, srilankesi e filippini - persone che "vivono in balia dei loro datori di lavoro e delle agenzie di reclutamento" - ha parlato della revisione della legge sul lavoro dell'agosto 2008, che riconosce nel regno hascemita i diritti di alcune categorie, in particolare quella dei lavoratori domestici. Purtroppo - ha spiegato - "non è chiaro se e in quale misura tali norme sono state attuate". Tanto che "i lavoratori migranti sono ancora vulnerabili allo sfruttamento e agli abusi che possono essere facilmente nascosti dai datori di lavoro, dalle agenzie di reclutamento e dagli stessi funzionari".
L'arcivescovo Vegliò si è poi soffermato sulle precarie condizioni dei rifugiati iracheni, "che non hanno uno status giuridico chiaro". Decine di migliaia di persone che versano in condizioni di povertà - a rischio sfruttamento nel lavoro minorile o nella prostituzione - e con la prospettiva di essere costretti a ritornare in patria. La loro è una situazione disumana: uomini e donne che sopravvivono "per anni senza la speranza di una vita decente", feriti nell'intimo per "non essere visti come esseri umani". Un dramma che ha portato il presidente del dicastero vaticano per i migranti a chiedere un rinnovato impegno delle organizzazioni cattoliche nel sostenere materialmente e spiritualmente i rifugiati iracheni in Giordania. "La dignità di ogni persona - ha affermato - è il punto centrale della dottrina sociale della Chiesa, che è la misura di ogni istituzione e di ogni decisione".
Infine l'arcivescovo Vegliò ha concluso il suo intervento evidenziando come i migranti cattolici possano essere "portatori di speranza" nel mondo di oggi. "Se adeguatamente preparati e accompagnati, essi possono essere una luce nel buio, portatori di speranza nel mondo, una testimonianza vivente e fedele in luoghi in cui il cristianesimo è sconosciuto a molti", ha detto. "Possono essere - ha aggiunto - veri ed efficaci agenti di evangelizzazione, più attraverso un'autentica vita cristiana che a parole". Per questo le associazioni ecclesiali devono cercare di mettersi il più possibile al loro servizio per aiutarli a far fronte alle sfide che devono inevitabilmente affrontare.
Spesso, però, ha riconosciuto il presule, le organizzazioni caritative della Chiesa "sono diventate dipendenti da risorse non cattoliche per il proprio finanziamento". A volte, inoltre "c'è anche una competizione tra loro per trovare fondi". In questo caso, ha sottolineato, c'è il rischio che un'organizzazione sia "guidata dal donatore" anziché "dalla missione". Per questo - ha concluso monsignor Vegliò - la questione primaria "è come sono espressi la solidarietà, l'ospitalità e l'impegno pastorale della Chiesa" nei confronti dei lavoratori migranti: "Bisogna dunque compiere passi affinché la Chiesa locale possa affrontare questa sfida d'amore". Su queste tematiche il presule era intervenuto anche due giorni prima incontrando a Gerusalemme gli ordinari cattolici di Terra Santa riuniti in assemblea. L'arcivescovo aveva ricordato, in particolare, la difficile situazione a Cipro e aveva richiamato la realtà dei profughi iracheni in Giordania e delle popolazioni palestinesi costrette a fuggire dalle loro case a causa della violenza e della distruzione. "La riconciliazione - aveva affermato - rappresenterà un elemento essenziale per tentare di trovare delle soluzioni". Monsignor Vegliò aveva esortato in particolare a promuovere politiche di sostegno ai diritti dei rifugiati e di contrasto ad atteggiamenti di discriminazione e razzismo nei confronti dei migranti.


(©L'Osservatore Romano 23 marzo 2011)
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