Un orizzonte di pace per la Libia
Il Pontefice segue con "viva trepidazione" e con "grande apprensione" la drammatica escalation militare in Libia. Lo ha confidato all'Angelus di domenica 20 marzo, in piazza San Pietro, lanciando "un pressante appello a quanti hanno responsabilità politiche e militari".
Nei giorni scorsi le preoccupanti notizie che giungevano dalla Libia hanno suscitato anche in me viva trepidazione e timori. Ne avevo fatto particolare preghiera al Signore durante la settimana degli Esercizi Spirituali.
Seguo ora gli ultimi eventi con grande apprensione, prego per coloro che sono coinvolti nella drammatica situazione di quel Paese e rivolgo un pressante appello a quanti hanno responsabilità politiche e militari, perché abbiano a cuore, anzitutto, l'incolumità e la sicurezza dei cittadini e garantiscano l'accesso ai soccorsi umanitari. Alla popolazione desidero assicurare la mia commossa vicinanza, mentre chiedo a Dio che un orizzonte di pace e di concordia sorga al più presto sulla Libia e sull'intera regione nord africana.
(©L'Osservatore Romano 21-22 marzo 2011)
[Index] | [Top] | [Home] |
Una luce più intensa del sole
"Secondo i sensi, la luce del sole è la più intensa che si conosca in natura, ma, secondo lo spirito, i discepoli videro, per un tempo breve, uno splendore ancora più intenso, quello della gloria divina di Gesù, che illumina tutta la storia della salvezza". Lo ha sottolineato Benedetto XVI commentando il Vangelo della Trasfigurazione all'Angelus di domenica 20 marzo.
Cari fratelli e sorelle!
Ringrazio il Signore che mi ha donato di vivere nei giorni scorsi gli Esercizi Spirituali, e sono grato anche a quanti mi sono stati vicini con la preghiera. L'odierna domenica, la seconda di Quaresima, è detta della Trasfigurazione, perché il Vangelo narra questo mistero della vita di Cristo. Egli, dopo aver preannunciato ai discepoli la sua passione, "prese con sé Pietro, Giacomo e Giovanni suo fratello e li condusse in disparte, su un alto monte.E fu trasfigurato davanti a loro: il suo volto brillò come il sole e le sue vesti divennero candide come la luce" (Mt 17, 1-2). Secondo i sensi, la luce del sole è la più intensa che si conosca in natura, ma, secondo lo spirito, i discepoli videro, per un tempo breve, uno splendore ancora più intenso, quello della gloria divina di Gesù, che illumina tutta la storia della salvezza. San Massimo il Confessore afferma che "le vesti divenute bianche portavano il simbolo delle parole della Sacra Scrittura, che diventavano chiare e trasparenti e luminose" (Ambiguum 10: PG 91, 1128 B).
Dice il Vangelo che, accanto a Gesù trasfigurato, "apparvero Mosè ed Elia che conversavano con lui" (Mt 17, 3); Mosè ed Elia, figura della Legge e dei Profeti. Fu allora che Pietro, estasiato, esclamò: "Signore, è bello per noi essere qui! Se vuoi, farò qui tre capanne, una per te, una per Mosè e una per Elia" (Mt 17, 4).
Ma sant'Agostino commenta dicendo che noi abbiamo una sola dimora: Cristo; Egli "è la Parola di Dio, Parola di Dio nella Legge, Parola di Dio nei Profeti" (Sermo De Verbis Ev. 78, 3: PL 38, 491). Infatti, il Padre stesso proclama: "Questi è il Figlio mio, l'amato: in lui ho posto il mio compiacimento. Ascoltatelo" (Mt 17, 5). La Trasfigurazione non è un cambiamento di Gesù, ma è la rivelazione della sua divinità, "l'intima compenetrazione del suo essere con Dio, che diventa pura luce. Nel suo essere uno con il Padre, Gesù stesso è Luce da Luce" (Gesù di Nazaret, Milano 2007, 357). Pietro, Giacomo e Giovanni, contemplando la divinità del Signore, vengono preparati ad affrontare lo scandalo della croce, come viene cantato in un antico inno: "Sul monte ti sei trasfigurato e i tuoi discepoli, per quanto ne erano capaci, hanno contemplato la tua gloria, affinché, vedendoti crocifisso, comprendessero che la tua passione era volontaria e annunciassero al mondo che tu sei veramente lo splendore del Padre" .
Cari amici, partecipiamo anche noi di questa visione e di questo dono soprannaturale, dando spazio alla preghiera e all'ascolto della Parola di Dio. Inoltre, specie in questo tempo di Quaresima, esorto, come scrive il Servo di Dio Paolo VI, "a rispondere al precetto divino della penitenza con qualche atto volontario, al di fuori delle rinunce imposte dal peso della vita quotidiana" (Cost. ap. Pænitemini, 17 febbraio 1966, III, c: AAS 58 [1966], 182). Invochiamo la Vergine Maria, affinché ci aiuti ad ascoltare e seguire sempre il Signore Gesù, fino alla passione e alla croce, per partecipare anche alla sua gloria.
(©L'Osservatore Romano 21-22 marzo 2011)
[Index] | [Top] | [Home] |
In san Corbiniano l'universalità e l'unità della Chiesa
"La Chiesa è fondata su Pietro eci garantisce anche la perennità della Chiesa costruita sulla roccia, che mille anni fa era la stessa Chiesa come oggi, perché il Signore è sempre lo stesso".Il messaggio di san Corbiniano è stato riproposto dal Papa domenica mattina, 20 marzo, durante la messa per la dedicazione della nuova chiesa della parrocchia romana dell'Infernetto al santo vescovo di Frisinga.
Cari fratelli e sorelle!
Sono molto contento di essere in mezzo a voi per celebrare un evento così significativo come la Dedicazione a Dio e al servizio della comunità di questa chiesa intitolata a san Corbiniano. La Provvidenza ha voluto che questo nostro incontro avvenga nella II Domenica di Quaresima, caratterizzata dal Vangelo della Trasfigurazione di Gesù. Perciò oggi abbiamo l'accostamento tra due elementi, entrambi molto importanti: da una parte, il mistero della Trasfigurazione e, dall'altra, quello del tempio, cioè della casa di Dio in mezzo alle vostre case. Le Letture bibliche che abbiamo ascoltato sono state scelte per illuminare questi due aspetti.
La Trasfigurazione. L'evangelista Matteo ci ha raccontato ciò che avvenne quando Gesù salì su un alto monte portando con sé tre dei suoi discepoli: Pietro, Giacomo e Giovanni. Mentre erano lassù, loro soli, il volto di Gesù divenne sfolgorante, e così pure le sue vesti. È ciò che chiamiamo "Trasfigurazione": un mistero luminoso, confortante. Quale ne è il significato? La Trasfigurazione è una rivelazione della persona di Gesù, della sua realtà profonda. Infatti, i testimoni oculari dell'evento, cioè i tre Apostoli, furono avvolti da una nube, anch'essa luminosa - che nella Bibbia annuncia sempre la presenza di Dio - e udirono una voce che diceva: "Questi è il Figlio mio, l'amato: in lui ho posto il mio compiacimento. Ascoltatelo" (Mt 17,5). Con questo evento i discepoli vengono preparati al mistero pasquale di Gesù: a superare la terribile prova della passione e anche a comprendere bene il fatto luminoso della risurrezione.
Il racconto parla anche di Mosè ed Elia, che apparvero e conversavano con Gesù. Effettivamente questo episodio ha un rapporto con altre due rivelazioni divine. Mosè era salito sul monte Sinai, e lì aveva avuto la rivelazione di Dio. Aveva chiesto di vedere la sua gloria, ma Dio gli aveva risposto che non l'avrebbe visto in faccia, ma solo di spalle (cfr. Es 33, 18-23). In modo analogo, anche Elia ebbe una rivelazione di Dio sul monte: una manifestazione più intima, non con una tempesta, con un terremoto, o con il fuoco, ma con una brezza leggera (cfr. 1 Re 19, 11-13). A differenza di questi due episodi, nella Trasfigurazione non è Gesù ad avere la rivelazione di Dio, bensì è proprio in Lui che Dio si rivela e che rivela il suo volto agli Apostoli.
Quindi, chi vuole conoscere Dio, deve contemplare il volto di Gesù, il suo volto trasfigurato: Gesù è la perfetta rivelazione della santità e della misericordia del Padre. Inoltre, ricordiamo che sul monte Sinai Mosè ebbe anche la rivelazione della volontà di Dio: i dieci Comandamenti. E, sempre sul monte, Elia ebbe da Dio la rivelazione divina di una missione da compiere. Gesù, invece, non riceve la rivelazione di ciò che dovrà compiere: già lo conosce; sono piuttosto gli Apostoli a sentire, nella nube, la voce di Dio che comanda: "Ascoltatelo". La volontà di Dio si rivela pienamente nella persona di Gesù. Chi vuole vivere secondo la volontà di Dio, deve seguire Gesù, ascoltarlo, accoglierne le parole e, con l'aiuto dello Spirito Santo, approfondirle. È questo il primo invito che desidero farvi, cari amici, con grande affetto: crescete nella conoscenza e nell'amore a Cristo, sia come singoli, sia come comunità parrocchiale, incontrateLo nell'Eucaristia, nell'ascolto della sua parola, nella preghiera, nella carità.
Il secondo punto è la Chiesa, come edificio e soprattutto come comunità. Prima di riflettere, però, sulla Dedicazione della vostra chiesa, vorrei dirvi che c'è un motivo particolare che accresce la mia gioia di trovarmi oggi con voi. San Corbiniano, infatti, è il fondatore della diocesi di Frisinga, in Baviera, della quale sono stato Vescovo per quattro anni. Nel mio stemma episcopale ho voluto inserire un elemento strettamente associato alla storia di questo Santo: l'orso. Un orso - così si racconta - aveva sbranato il cavallo di Corbiniano, che si stava recando a Roma. Egli lo rimproverò aspramente, riuscì ad ammansirlo e gli caricò sulle spalle il bagaglio che, fino a quel momento, era stato portato dal cavallo. L'orso trasportò quel carico fino a Roma e solo qui il Santo lo lasciò libero di andarsene.
Forse questo è il punto dove dire due parole sulla vita di san Corbiniano. San Corbiniano era francese, sacerdote della zona di Parigi, e aveva fondato vicino a Parigi un monastero. Era molto stimato come consigliere spirituale, ma egli cercava piuttosto la contemplazione e perciò venne a Roma per crearsi qui, vicino alle tombe degli apostoli Pietro e Paolo, un monastero. Ma il Papa Gregorio II - siamo più o meno nel 720 - stimava le sue qualità, aveva capito le sue qualità, lo ordinò vescovo incaricandolo di andare in Baviera e di annunciare in quella terra il Vangelo. Baviera: il Papa pensava al Paese tra il Danubio e le Alpi che per cinquecento anni era stata la provincia romana della Raetia; solo alla fine del quinto secolo la popolazione latina era tornata in gran parte in Italia. Là erano rimasti in pochi, la gente semplice; la terra era poco abitata e là era entrato un nuovo popolo, il popolo bavarese, che aveva trovato un'eredità cristiana perché il Paese era stato cristianizzato nel tempo romano. La gente bavarese aveva capito subito che questa era la vera religione e voleva farsi cristiana, ma mancava gente colta, mancavano sacerdoti per annunciare il Vangelo. E così il Cristianesimo era rimasto molto frammentario, iniziale. Il Papa conosceva questa situazione, sapeva della sete di fede che c'era in quel Paese, e perciò incaricò san Corbiniano di andare là e là annunciare il Vangelo. E a Freising, nella città del duca, su un colle, il Santo ha creato il Duomo - già aveva trovato un santuario della Madonna - e là è rimasta per più di mille anni la sede del vescovo. Solo dopo il tempo napoleonico, essa è stata trasferita trenta chilometri più a sud, a Monaco. Si chiama ancora diocesi di Monaco e Freising, e la maestosa cattedrale romanica di Freising rimane il cuore della diocesi. Così vediamo come i santi stanno per l'unità e l'universalità della Chiesa. L'universalità: san Corbiniano collega la Francia, la Germania, Roma. L'unità: san Corbiniano ci dice che la Chiesa è fondata su Pietro e ci garantisce anche la perennità della Chiesa costruita sulla roccia, che mille anni fa era la stessa Chiesa come oggi, perché il Signore è sempre lo stesso. Lui è sempre la Verità, sempre antica e sempre nuova, attualissima, presente, e apre la chiave per il futuro.
Vorrei ora ringraziare quanti hanno contribuito a costruire questa chiesa. So quanto la diocesi di Roma si impegni per assicurare ad ogni quartiere adeguati complessi parrocchiali. Saluto e ringrazio il Cardinale Vicario, il Vescovo Ausiliare del Settore e il Vescovo Segretario dell'Opera Romana per la Preservazione della Fede e la Provvista di Nuove Chiese. Saluto soprattutto i miei due successori. Saluto il Cardinale Wetter, dal quale è partita l'iniziativa di dedicare una chiesa parrocchiale a san Corbiniano e un valido sostegno per la realizzazione del progetto. Grazie Eminenza. Herzlichen Dank. Ich freue mich, daß so schnell die Kirche gewachsen ist [Grazie mille. Sono lieto che la chiesa sia sorta così velocemente]. Saluto il Cardinale Marx, attuale Arcivescovo di Monaco e Frisinga, che continua con l'amore non solo per san Corbiniano, ma anche per la sua Chiesa a Roma. Herzlichen Dank auch Ihnen [Grazie mille anche a lei]. Saluto anche S.E. Mons. Clemens della diocesi di Paderborn e Segretario del Pontificio Consiglio per i Laici. Un particolare pensiero al Parroco, don Antonio Magnotta, con un vivissimo ringraziamento per le parole che lei ha rivolto a me. Grazie! E saluto naturalmente anche il Viceparroco! Attraverso tutti voi qui presenti, desidero far giungere una parola di affettuosa vicinanza ai circa diecimila residenti nel territorio della Parrocchia. Riuniti attorno all'Eucaristia, avvertiamo più facilmente che la missione di ogni comunità cristiana è quella di recare a tutti il messaggio dell'amore di Dio, far conoscere a tutti il suo volto. Ecco perché è importante che l'Eucaristia sia sempre il cuore della vita dei fedeli, come lo è quest'oggi per la vostra Parrocchia, anche se non tutti i suoi membri hanno potuto parteciparvi personalmente.
Viviamo oggi una giornata importante, che corona gli sforzi, le fatiche, i sacrifici compiuti e l'impegno della gente qui residente di costituirsi come comunità cristiana e matura, capace di avere una chiesa ormai consacrata definitivamente al culto di Dio. Mi rallegro per tale meta raggiunta e sono certo che essa favorirà l'aggregarsi e il crescere della famiglia dei credenti in questo territorio. La Chiesa vuole essere presente in ogni quartiere dove la gente vive e lavora, con la testimonianza evangelica di cristiani coerenti e fedeli, ma anche con edifici che permettono di radunarsi per la preghiera e i Sacramenti, per la formazione cristiana e per stabilire rapporti di amicizia e fraternità, facendo crescere i fanciulli, i giovani, le famiglie e gli anziani in quello spirito di comunità che Cristo ci ha insegnato e di cui il mondo ha tanto bisogno.
Come è stato realizzato l'edificio parrocchiale, così la mia visita desidera incoraggiarvi a realizzare sempre meglio quella Chiesa di pietre vive che siete voi. Lo abbiamo ascoltato nella seconda lettura: "Voi siete campo di Dio, edificio di Dio", scrive san Paolo ai Corinzi (1 Cor 3, 9) e a noi; e li esorta a costruire sull'unico vero fondamento, che è Gesù Cristo (3, 11). Per questo, anch'io vi esorto a fare della vostra nuova chiesa il luogo in cui si impara ad ascoltare la Parola di Dio, la "scuola" permanente di vita cristiana da cui parte ogni attività di questa parrocchia giovane e impegnata. Su questo aspetto è illuminante il testo del Libro di Neemia che ci è stato proposto nella prima lettura. In esso si vede bene che Israele è il popolo convocato per ascoltare la Parola di Dio, scritta nel libro della Legge. Questo libro viene letto solennemente dai ministri e viene spiegato al popolo, che sta in piedi, alza le mani al cielo, poi si inginocchia e si prostra con la faccia a terra, in segno di adorazione. È una vera liturgia, animata dalla fede in Dio che parla, dal pentimento per la propria infedeltà alla Legge del Signore, ma soprattutto dalla gioia perché la proclamazione della sua Parola è segno che Lui non ha abbandonato il suo popolo, che Lui è vicino. Anche voi, cari fratelli e sorelle, radunandovi ad ascoltare la Parola di Dio con fede e perseveranza, diventate, di domenica in domenica, Chiesa di Dio, formati e plasmati interiormente dalla sua Parola. Che grande dono è questo! Siatene sempre riconoscenti.
La vostra è una comunità giovane, costituita in gran parte da coppie appena sposate che vengono a vivere nel quartiere; tanti sono i bambini e i ragazzi. Conosco l'impegno e l'attenzione che vengono dedicati alla famiglia e all'accompagnamento delle giovani coppie: sappiate dar vita a una pastorale familiare caratterizzata dall'accoglienza aperta e cordiale dei nuovi nuclei familiari, che sappia favorire la conoscenza reciproca, così che la comunità parrocchiale sia sempre più una "famiglia di famiglie", capace di condividere con loro, insieme alle gioie, le inevitabili difficoltà degli inizi. So anche che vari gruppi di fedeli si radunano per pregare, formarsi alla scuola del Vangelo, partecipare ai Sacramenti e vivere quella dimensione essenziale per la vita cristiana che è la carità. Penso a quanti con la Caritas parrocchiale cercano di andare incontro alle tante esigenze del territorio, specialmente rispondendo alle attese dei più poveri e bisognosi.
Mi rallegro per quanto fate nella preparazione dei ragazzi e dei giovani ai Sacramenti della vita cristiana, e vi esorto ad interessarvi sempre di più anche dei loro genitori, specialmente di quelli che hanno bambini piccoli; la Parrocchia si sforzi di proporre anche a loro, in orari e modi convenienti, incontri di preghiera e di formazione, soprattutto per i genitori dei bambini che devono ricevere il Battesimo e gli altri Sacramenti dell'iniziazione cristiana. Abbiate anche una particolare cura e attenzione per le famiglie in difficoltà, o che si trovano in una condizione di precarietà o di irregolarità. Non lasciatele sole, ma state loro vicino con amore, aiutandole a comprendere l'autentico disegno di Dio sul matrimonio e la famiglia. Una speciale parola di affetto e di amicizia il Papa vuole dirigerla anche a voi, cari ragazzi e giovani che mi ascoltate, ed ai vostri coetanei che vivono in questa Parrocchia. L'oggi e il domani della comunità ecclesiale e civile sono affidati in modo particolare a voi. La Chiesa si aspetta molto dal vostro entusiasmo, dalla vostra capacità di guardare avanti e dal vostro desiderio di radicalità nelle scelte della vita.
Cari amici di San Corbiniano! Il Signore Gesù, che condusse gli Apostoli sul monte a pregare e mostrò loro la sua gloria, oggi ha invitato noi in questa nuova chiesa: qui possiamo ascoltarlo, qui possiamo riconoscere la sua presenza nello spezzare il Pane eucaristico; e in questo modo diventare Chiesa viva, tempio dello Spirito Santo, segno nel mondo dell'amore di Dio. Ritornate alle vostre case con il cuore colmo di riconoscenza e di gioia, perché siete parte di questo grande edificio spirituale che è la Chiesa. Alla Vergine Maria affidiamo il nostro cammino quaresimale, come quello della Chiesa intera. La Madonna, che ha seguito il suo Figlio Gesù fino alla croce, ci aiuti ad essere discepoli fedeli del Cristo, per poter partecipare insieme con lei alla gioia della Pasqua. Amen.
(©L'Osservatore Romano 21-22 marzo 2011)
[Index] | [Top] | [Home] |
L'orso del Papa
Mentre sono in corso negoziati per affidare il coordinamento delle operazioni alla NatoTerzo giorno di raid
Alla dedicazione della parrocchia romana di San Corbiniano - una liturgia esemplare per la cura e la partecipazione dei fedeli, tra i quali tantissimi bambini - erano presenti ben tre successori del fondatore della diocesi di Frisinga: oltre a Joseph Ratzinger, oggi Papa con il nome di Benedetto XVI, i cardinali Friedrich Wetter e Reinhard Marx. Un fatto eccezionale, che il parroco ha sottolineato nel suo caloroso saluto iniziale.
Nell'omelia il vescovo di Roma, successore del primo degli apostoli, ha improvvisato una breve riflessione su questo monaco francese attratto dalla vita contemplativa che scese a Roma per fondarvi un monastero. Ma qui la sua vita cambiò in modo inatteso: il Papa lo ordinò vescovo per la Baviera, dove la popolazione "voleva farsi cristiana, ma mancava gente colta, mancavano sacerdoti per annunciare il Vangelo".
Una scelta, quella di Gregorio II, che si rivelò di universalità - il santo infatti "collega la Francia, la Germania, Roma", ha sottolineato il Papa - e nello stesso tempo di unità: Corbiniano ci dice che "la Chiesa è fondata su Pietro" e che era la stessa "come oggi". Per una ragione molto semplice: Cristo è lo stesso, "la Verità, sempre antica e sempre nuova, attualissima, presente, e apre la chiave per il futuro".
Parlando ai fedeli Benedetto XVI ha accennato all'orso che ha scelto di collocare nel suo stemma, episcopale e poi papale. Joseph Ratzinger ne aveva scritto per la prima volta nel libro autobiografico, tanto piccolo quanto prezioso, che pubblicò nel suo settantesimo anno e dove raccolse i suoi ricordi sino alla consacrazione episcopale. Raccontando come all'animale che aveva sbranato il cavallo di Corbiniano, in viaggio per Roma, fu imposto dal monaco di portare il suo fardello.
Ratzinger, sulla traccia del prediletto Agostino, spiegava che quel peso - il carico episcopale di chi "tira il carro di Dio in questo mondo" - venne imposto a Corbiniano e al vescovo africano, attratti entrambi dalla contemplazione e dallo studio. "Ma proprio in questo modo io ti sono vicino, ti servo, tu mi hai nella mano", concludeva il cardinale ormai a Roma. Affidandosi all'unico Signore, come ogni giorno fa Benedetto XVI. Che resta sempre affezionatissimo al suo orso.g. m. v.
(©L'Osservatore Romano 21-22 marzo 2011)
[Index] | [Top] | [Home] |
TRIPOLI, 21. È giunto al suo terzo giorno l'intervento militare Odyssey dawn (Odissea all'alba) contro il regime libico di Muammar Gheddafi: in azione, oltre agli aerei statunitensi, britannici e francesi, anche i primi Tornado italiani. A quanto si apprende, nelle ultime ore parti del bunker di Gheddafi a Tripoli sono state distrutte dai raid della coalizione internazionale. Proprio ieri, dopo l'annuncio del cessate il fuoco da parte delle forze armate libiche, il raìs è intervenuto nuovamente alla televisione di Stato minacciando le truppe internazionali e l'Occidente.
Sono in corso in queste ore negoziati sull'ipotesi che le operazioni militari della "coalizione dei volenterosi" ricadano sotto l'egida della Nato. Secondo quanto si apprende a Bruxelles, dove è in corso una riunione dei ministri degli Esteri e dove nel pomeriggio si riuniranno nuovamente gli ambasciatori dei 28 Paesi dell'Alleanza atlantica, alcuni Stati considerano che l'attuale gestione multilaterale delle operazioni, con comandi separati per Francia, Gran Bretagna e Stati Uniti, rischi di essere meno garantista nei confronti degli obiettivi stabiliti dalla risoluzione dell'Onu, ovvero principalmente la protezione della popolazione civile.
Le azioni militari contro obiettivi libici continueranno anche nei prossimi giorni, finché Gheddafi non si atterrà a quanto prevede la risoluzione dell'Onu. È quanto ha detto oggi il ministro degli Esteri francese, Alain Juppè. Il capo degli stati maggiori riuniti statunitense, Mike Mullen, ha invece precisato che la risoluzione 1973, firmata dal Consiglio di sicurezza Onu, "non è finalizzata a un rovesciamento del regime" libico e che esiste la possibilità di uno stallo che potrebbe lasciare Gheddafi al potere. L'ammiraglio ha anche negato la notizia diffusa dalla televisione di Stato libica secondo cui "60 civili sono morti" nel corso degli attacchi sferrati dalle forze internazionali.
Mentre caccia francesi hanno bombardato diversi mezzi militari, il Pentagono ha fatto sapere che un totale di 110 missili da crociera Tomahawk sono stati lanciati da unità americane, insieme a quelle britanniche. I razzi, precisano fonti militari citate dalla Reuters, hanno colpito "20 dei 22 obiettivi pianificati", provocando "danni di diversa entità".
Dopo il via libera all'azione militare arrivato sabato dal summit internazionale che si è svolto a Parigi, la Francia ha subito iniziato l'attacco contro le forze di Gheddafi. Hanno partecipato alla riunione, i leader statunitensi, europei e arabi, assente invece, l'Unione africana.
(©L'Osservatore Romano 21-22 marzo 2011)
[Index] | [Top] | [Home] |
Cibo contaminato in Giappone
TOKYO, 21. In quattro prefetture giapponesi è stato ordinato di sospendere la distribuzione di latte e di due tipi di vegetali, dopo la scoperta di radioattività in alcuni prodotti provenienti dalle zone vicine alla centrale nucleare danneggiata di Fukushima, secondo quanto riferito oggi dal portavoce governativo Yukio Edano in una conferenza stampa. Il portavoce ha precisato che si tratta di misure precauzionali e ha sostenuto che quanti hanno consumato i prodotti provenienti dalle quattro prefetture vicine a Fukushima non corrono rischi immediati. Da parte sua, l'Organizzazione mondiale della sanità (Oms) ha definito grave la contaminazione radioattiva di cibo in Giappone seguita al disastro nella centrale di Fukushima. Il portavoce regionale dell'Oms, Peter Cordingley, in un'intervista telefonica da Manila, ha affermato che "è abbastanza chiaro che si tratta di una situazione grave". Secondo Cordingley, "è molto più serio di quanto tutti avevano pensato in un primo momento, quando credevamo che questo tipo di problema fosse limitato entro venti o trenta chilometri dalla centrale". Invece, ora è lecito supporre che prodotti contaminati siano usciti dalla zona colpita dalle radiazioni. Cordingley ha precisato come non ci siano indicazioni che il cibo contaminato abbia raggiunto altri Paesi.
Nel disastro giapponese si continua comunque a operare per ridurre i danni e per scongiurarne di più catastrofici. I tecnici impegnati nella centrale di Fukushima sono riusciti ad allacciare i cavi dell'elettricità a tutti e sei i reattori della struttura. Lo hanno riferito questa mattina i mezzi d'informazione locali, sottolineando che il ritorno dell'alimentazione è presupposto fondamentale per qualsiasi tipo di stabilizzazione della centrale danneggiata. Di progressi lenti, ma costanti per mettere sotto controllo la centrale ha parlato il premier nipponico Naoto Kan, secondo il quale è il momento di prepararsi alla ricostruzione, dopo i danni causati dal terremoto e dallo tsunami.
Oggi, le autopompe hanno riversato 3.700 tonnellate di acqua sul reattore 3 di Fukushima, il più problematico, per abbassarne la temperatura. Tuttavia, a causa di fumo che ne usciva, è stato fatto evacuare il personale. Secondo l'Agenzia per la sicurezza nucleare dal reattore 3 non c'è stato aumento significativo di radiazioni.
Sulla vicenda è in corso oggi una riunione dell'Agenzia internazionale per l'energia atomica (Aiea) nella quale il direttore generale, il giapponese Yukiya Amano, sta riferendo sulla missione condotta nei giorni scorsi a Tokyo. La riunione è a porte chiuse, ma si è appreso che il direttore dell'Aiea ha parlato di emergenza che rimane grave, ma si è detto convinto che sarà completamente superata con successo.
Nel frattempo, si precisano anche comportamenti irresponsabili nella vicenda giapponese. La Tepco, la società privata che gestisce gli impianti nucleari in Giappone, in un rapporto del 28 febbraio all'Agenzia per la sicurezza nucleare, aveva riconosciuto di aver omesso alcune verifiche alla centrale di Fukushima. Nel dettaglio, secondo quanto si legge sul sito della Tepco, sono 33 i pezzi oggetto d'ispezione dei sei reattori non controllati. Lo scambio d'informazioni tra Tepco e Agenzia sulla sicurezza nucleare è finito sotto osservazione sia per la tempistica sia per le indicazioni non impeccabili su come correggere i problemi. Nella risposta data il 2 marzo alla relazione della Tepco, l'Agenzia aveva accordato tempo fino al 2 giugno per mettere a punto un piano correttivo, ritenendo che non ci fossero rischi immediati. Hidehiko Nishiyama, vice direttore generale dell'Agenzia, ha detto oggi di non essere a conoscenza della corrispondenza intercorsa con la Tepco. Nishiyama ha poi aggiunto di non essere nelle condizioni di poter affermare se la minore sicurezza, a causa delle ispezioni non effettuate, abbia avuto o meno un ruolo nel peggioramento della crisi.
(©L'Osservatore Romano 21-22 marzo 2011)
[Index] | [Top] | [Home] |
Una ricchezza da sottrarre alle leggi del mercato
di GAETANO VALLINI "Facile come bere un bicchiere d'acqua" si dice a volte. Ma questo detto popolare non dev'essere familiare ai quasi novecento milioni di uomini, donne e bambini che nel mondo non hanno acqua potabile, e agli oltre due miliardi e mezzo di persone - circa la metà della popolazione dei Paesi in via di sviluppo - che vivono in condizioni igienico-sanitarie insufficienti a causa della carenza di risorse idriche. Eppure mancano appena quattro anni al 2015, data che negli Obiettivi di sviluppo del millennio la comunità internazionale si era prefissata per ridurre il numero di persone senza accesso sostenibile all'acqua, e alla sanità di base. Così ogni anno un milione e mezzo di bambini sotto i cinque anni muoiono per malattie legate alla carenza di risorse idriche. Inoltre, stando alle previsioni, dal cinque al venticinque per cento degli usi globali di acqua dolce probabilmente supererà nel lungo termine le forniture disponibili e entro il 2015 circa la metà della popolazione mondiale sarà chiamata ad affrontare una crisi legata alla mancanza d'acqua.
La Giornata mondiale dell'acqua che si celebra il 22 marzo dal 1992 è l'occasione per fare il punto sulla situazione, anche in forza della risoluzione approvata lo scorso luglio dall'Assemblea generale delle Nazioni Unite la quale ha sancito che l'accesso all'acqua è un diritto umano fondamentale. Più precisamente il testo "dichiara che l'accesso a un'acqua potabile pulita e di qualità, e a installazioni sanitarie di base, è un diritto dell'uomo, indispensabile per il godimento pieno del diritto alla vita".
La comunità internazionale ha in sostanza riconosciuto, dopo più di 15 anni di dibattiti, ciò che era naturalmente evidente. Ma si sa, nelle faccende politiche ed economiche la sola evidenza non ha valore. Come è altrettanto noto che il riconoscimento di un diritto serve a tutelare i più deboli, perché i forti si tutelano da soli. E così, anche se la risoluzione non ha carattere vincolante, l'inserimento di questo nuovo punto nella Dichiarazione dei diritti dell'uomo è sicuramente un passo importante per affrontare una questione sempre più urgente tra aumento dell'uso, sprechi, cambiamenti climatici, disparità nella distribuzione e nell'accesso.
Il problema riguarderà in particolare i grandi centri abitati, e non a caso quest'anno il tema scelto per la giornata è "Acqua per le città: rispondere alle sfide della crescita urbana". Oggi un abitante su due vive in un contesto urbano e le città crescono a ritmi vertiginosi. Il 93 per cento dei processi di urbanizzazione avviene nei Paesi in via di sviluppo. La crescita urbana mondiale è rappresentata per lo più dall'espansione di quartieri poveri che procede a velocità straordinaria: si ritiene che entro il 2020 la loro popolazione aumenterà con una media di 27 milioni di persone all'anno a livello mondiale.
Fermo restando che bisogna porre un freno all'uso irresponsabile delle risorse, il punto cruciale è quello della gestione. In tale senso, il secondo Forum mondiale dell'acqua, ha sollecitato "un profondo cambiamento se si vuole raggiungere un consumo sostenibile nel prossimo futuro". E allo stesso tempo, si aggiunge, "è essenziale dare potere (e responsabilità) alla gente a livello locale per gestire le risorse idriche" e quindi "una "democratizzazione" della gestione dell'acqua".
Negli ultimi decenni, visto il tasso di crescita della popolazione, il servizio idrico ha incontrato difficoltà per la cronica mancanza di investimenti e interventi di manutenzione degli impianti. Ciò ha fatto sì che un numero sempre crescente di Paesi abbia affidato la gestione del servizio a società private. Il risultato è che il finanziamento degli investimenti decisi contrattualmente fra governi e gestori ha portato generalmente consistenti aumenti delle tariffe. Aumenti che hanno determinato in diversi Paesi poveri una forte conflittualità fra Stato, aziende private e società civile, a dimostrazione di come nessun diritto fondamentale riesca ad affermarsi senza conflitto sociale. Non solo. Gli esperti delle Nazioni Unite continuano a ritenere che, se le cose non cambieranno, con il passare del tempo sempre più conflitti verranno combattuti per l'acqua. E saranno guerre tra poveri, come la storia insegna.
Se è vero che spesso per i poveri non è tanto la scarsità d'acqua in sé a portare sofferenza, ma l'impossibilità economica di accedervi, allora esiste, come ha ricordato il 24 febbraio il vescovo Mario Toso, segretario Pontificio Consiglio della Giustizia e della Pace, intervenendo alla conferenza internazionale di Greenaccord a Roma, "un serio problema di indirizzo etico", perché, ha aggiunto rilanciando le parole del Compendio della dottrina sociale della Chiesa, l'acqua - diritto universale e inalienabile - è un bene troppo prezioso per obbedire solo alle ragioni del mercato e per essere gestita con un criterio esclusivamente economico e privatistico. Il suo valore di scambio o prezzo non può essere fissato secondo le comuni regole della domanda e dell'offerta, ovvero secondo la logica del profitto. Che è però quanto in più parti del mondo accade o si rischia in caso di privatizzazione, fino a giungere al paradosso che vede i poveri pagare molto più dei ricchi per quello che dovrebbe essere un diritto naturale.
La via maestra è quella indicata da Benedetto XVI nel messaggio in occasione dell'Esposizione internazionale su "Acqua e sviluppo sostenibile" svoltasi a Saragozza (Spagna) nel luglio del 2008: l'uso dell'acqua "deve essere razionale e solidale, frutto di un'equilibrata sinergia fra il settore pubblico e quello privato". Ed è ciò che oggi la società civile chiede anche in alcuni Paesi occidentali, come l'Italia, dove presto si voterà un referendum che chiede di evitare di intraprendere la strada verso la privatizzazione dell'acqua. Un referendum che ha visto impegnate anche alcune realtà ecclesiali nel comitato promotore, segno dell'attenzione del mondo cattolico verso un tema delicato e cruciale.
Si tratta di un'attenzione peraltro quasi insita nel dna dei credenti. Il perché lo ha spiegato proprio il Papa nel citato messaggio: "Il fatto che oggigiorno si consideri l'acqua come un bene preminentemente materiale, non deve far dimenticare - sottolinea infatti Benedetto XVI - i significati religiosi che l'umanità credente, e soprattutto il cristianesimo, ha sviluppato a partire da essa, dandole un grande valore come un prezioso bene immateriale, che arricchisce sempre la vita dell'uomo su questa terra. Come non ricordare in questa circostanza il suggestivo messaggio che ci giunge dalle Sacre Scritture, dove si tratta l'acqua come simbolo di purificazione? Il pieno recupero di questa dimensione spirituale è garanzia e presupposto per un'adeguata impostazione dei problemi etici, politici ed economici che condizionano la complessa gestione dell'acqua da parte di tanti soggetti interessati, nell'ambito sia nazionale sia internazionale".
I credenti sono dunque chiamati a contribuire a trovare una soluzione ai problemi legati alla gestione delle risorse idriche. A partire dalle campagne di sensibilizzazione. Come "Seven weeks for water: water, conflict and just peace" avviata per la quaresima dalla Rete ecumenica per l'acqua, un'organizzazione di rappresentanza di varie comunità cristiane e di ong, coordinata dal Consiglio ecumenico delle Chiese. Ma sono anche sollecitati a lavorare sul terreno. Ed è ciò che avviene in molte missioni e nei centri attivati da organizzazioni di volontariato, per affrontare emergenze concrete nelle situazioni più critiche del pianeta. In quei luoghi abbandonati - in attesa di decisioni che rendano finalmente giustizia ai poveri ed effettivo un diritto - uomini e donne, religiosi e laici, operano accanto alle popolazioni locali per costruire pozzi e piccoli acquedotti. Perché sanno che lì anche un solo, preziosissimo bicchiere d'acqua in più può fare la differenza tra la vita e la morte.
(©L'Osservatore Romano 21-22 marzo 2011)
[Index] | [Top] | [Home] |
Una scelta laica per la libertà religiosa
di EMANUELE RIZZARDI L'Italia non è colpevole di aver leso i diritti umani della signora Lautsi: è ciò che la Grande Camera della Corte europea dei diritti dell'uomo (Cedu) ha sentenziato venerdì scorso, 18 marzo, ribaltando completamente il precedente pronunciamento della seconda sezione della stessa Corte del novembre 2009.
Si può ben parlare di una sentenza storica, come è stata definita dalla Santa Sede: mai era avvenuto in secondo grado un ribaltamento di una sentenza adottata all'unanimità dal primo grado della Corte. E soprattutto non si era mai visto un sostegno così massiccio alla richiesta d'appello di un Governo firmatario della Cedu da parte di altri Governi aderenti alla Convenzione: in totale 21, molti dei quali di tradizione ortodossa. A cui vanno aggiunti i 33 europarlamentari e numerose Organizzazioni non governative intervenute in qualità di "amici curiae". Un segno tangibile che la "questione del crocefisso" ha unito tradizioni, identità e nazionalità differenti nella difesa di una laica e genuina libertà religiosa.
La sentenza era attesa dal 30 giugno 2010, data in cui l'Italia aveva presentato le sue ragioni per l'appello. Venerdì scorso erano presenti in tantissimi e ha rappresentato un vero successo per tutti coloro che hanno lavorato mesi per elaborare e presentare alla Corte solidi argomenti giuridici e dare il supporto necessario alle delegazioni nazionali nella redazione dei propri interventi a sostegno dell'appello italiano.
La sentenza è molto asciutta e lineare nelle sue argomentazioni: riprendendo il paragrafo uno dell'articolo due (diritto all'educazione) della Convenzione e l'articolo 9 (libertà di pensiero), quelli per i quali era stata sollevata l'accusa da parte della signora Lautsi, la Corte ha ribadito che "gli Stati hanno la responsabilità di assicurare, con neutralità e imparzialità, l'esercizio delle varie religioni, fedi e credo" all'interno della propria giurisdizione. Inoltre, nell'ambito dell'educazione, "devono assicurarsi che [...] i programmi siano trasmessi in modo oggettivo, critico e pluralista", senza alcuna opera di "indottrinamento".
È quanto già succede in Italia, riconosce la Corte: il crocifisso esposto nelle aule è un simbolo, religioso sì, ma "non attivo", che non ha in sé nessuna intenzione "proselitistica" e di "indottrinamento". Soprattutto se il contesto in cui viene utilizzato è quello della scuola pubblica italiana, in cui da sempre diversi provvedimenti hanno garantito libertà di religione e un pluralismo rispettoso delle differenze culturali.
In questo contesto, quindi, la "percezione soggettiva [della signora Lautsi] non è sufficiente a integrare una violazione" della Cedu, argomenta la stessa Corte.
La Corte ha quindi riconosciuto all'Italia "discrezionalità nel conciliare l'esercizio delle funzioni che le competono in materia di educazione e d'insegnamento con il rispetto del diritto dei genitori di garantire tale educazione e insegnamento secondo le loro convinzioni religiose e filosofiche".
Questa discrezionalità in Italia viene esplicitata proprio tramite l'esposizione nelle sue scuole pubbliche del crocifisso, simbolo religioso in cui si riconosce la maggioranza della sua popolazione.
Sono così fatte salve le tradizioni, le identità e le culture europee: "Un'Europa che non ha più un'identità spaventerebbe in qualche maniera, ci interrogherebbe sulla possibilità dei rapporti con gli altri continenti, con le altre culture, davanti ai grandi problemi che l'umanità deve affrontare", ha detto a Radio Vaticana monsignor Aldo Giordano, Segretario generale del Consiglio delle Conferenze episcopali d'Europa.
E aggiunge Gregor Puppinck, direttore dell'European center for law and justice: di fronte ai diversi tentativi di marginalizzazione del cristianesimo a cui assistiamo con sempre maggiore frequenza, "occorre ricordare che il cristianesimo - che si sia credenti o meno - possiede, nei Paesi di tradizione cristiana, una legittimità sociale superiore alle credenze filosofiche e religiose. Questa innegabile legittimità giustifica che un approccio differenziato sia adottato laddove necessario. Questo approccio differenziato può giustificare la presenza del crocifisso nelle aule scolastiche italiane".
La sentenza della Grande Camera ha inoltre riparato una decisione che poteva costituire un pericoloso precedente e ha riportato la Corte all'interno delle sue competenze specifiche, cioè di garante dell'applicazione della Cedu tra gli Stati firmatari, allontanandola da posizioni che necessariamente sarebbero state considerate come ingerenze non neutrali nella sfera politica degli Stati sovrani. Apprezzamenti alla sentenza sono arrivati anche da oltreoceano.
Il professor Weiler, ebreo osservante, della New York University, che all'appello aveva rappresentato i governi di Armenia, Bulgaria, Cipro, Federazione Russa, Grecia, Lituania, Malta e San Marino, oltre a esprimere la sua personale soddisfazione, ha di nuovo incoraggiato l'Europa a non appiattire le sue tradizioni. Weiler ha sollecitato a continuare a difendere "a livello del privato sia la libertà di religione sia la libertà dalla religione", senza rinnegare nello spazio pubblico "ciò che per molti rappresenta una parte importante della storia e dell'identità dei propri Stati, riconosciuta anche da chi non condivide la stessa religione o non fa parte di nessuna religione".
Ciò che è accaduto a Strasburgo lo scorso venerdì, dunque, ci ricorda che la libertà religiosa è una conquista della cultura europea che va difesa e applicata concretamente in Europa come nel mondo, per il ruolo centrale che gioca all'interno delle libertà fondamentali.
Del resto lo aveva ricordato già Benedetto XVI parlando in gennaio al Corpo diplomatico.
(©L'Osservatore Romano 21-22 marzo 2011)
[Index] | [Top] | [Home] |
Come la Chiesa si reinventò dopo l'unità d'Italia
di LUCETTA SCARAFFIA Sarà dal 24 marzo in libreria la raccolta di saggi, curata da Lucetta Scaraffia, I cattolici che hanno fatto l'Italia. Religiosi e cattolici piemontesi di fronte all'Unità d'Italia (Torino, Lindau, 2011, pagine 251, euro 23). Anticipiamo ampi stralci dell'ultimo capitolo scritto dalla curatrice. Allo stesso tema è dedicata la mostra "Un'amicizia all'opera. La santità piemontese nella Torino dell'Unità" promossa dal centro culturale Pier Giorgio Frassati, in collaborazione con il consorzio Beni culturali Italia, e aperta dal 21 marzo al 10 maggio a Torino, a Palazzo Barolo.
Nel settembre 1860 le monache del monastero delle clarisse di Monteluce di Perugia vedono la loro vita tranquilla sconvolta dall'arrivo dei piemontesi, e lo narrano spaventate nel loro Memoriale: "Tornato il sullodato padre quasi correndo dal Vescovado ci annunziò che a momenti si doveva partire per andare in altro monastero dovendo in breve arrivare l'armata piemontese che si sarebbe qui accampata. Immagini ognuno il disturbo, la confusione, lo sbigottimento di tutte noi".Altre clarisse entrate successivamente nello stesso monastero, il 24 maggio 1915, al momento dell'entrata in guerra dell'Italia scrivono sempre sul Memoriale: "L'ora terribile è suonata e la guerra tanto temuta e scongiurata con tante preghiere fatte dì e notte è stata dichiarata dal nostro re Vittorio Emanuele III all'Austria (...) mentre un esercito si batte per la patria, noi pregheremo per essi e la preghiera affilerà le armi loro e le renderà robuste".
È una testimonianza, questa, del cambiamento di atteggiamento dei religiosi cattolici in poco più di cinquant'anni nei confronti della nuova nazione italiana, una prova di come, in un tempo relativamente breve, sia avvenuto un capovolgimento della situazione: da una forte contrapposizione iniziale a una sostanziale condivisione. È stato solo un adeguarsi alla realtà per ragioni di forza maggiore, oppure, fin dall'inizio, il rapporto così conflittuale fra nuovo Stato e Chiesa cattolica ha conosciuto una storia più complessa e in fondo più positiva di quella a cui spesso è stata ridotta?
I problemi da affrontare erano di due tipi, entrambi gravi e complicati: da una parte la Chiesa, con la sua realtà di Stato territoriale che occupava il centro della penisola, si opponeva di fatto alla sua unificazione, dall'altra le condizioni di assoluto privilegio di cui il clero e tutte le istituzioni ecclesiastiche godevano all'interno degli Stati peninsulari erano incompatibili con i principi liberali, e ancor di più con quelli democratico-mazziniani che animavano il movimento risorgimentale.
Il problema è stato affrontato dagli storici cattolici solo nella seconda metà del Novecento, con un atteggiamento sostanzialmente comprensivo verso le esigenze di formazione del nuovo Stato e la necessità della modernizzazione liberale: storici come Traniello, Scoppola, Rumi, Martina, hanno preferito guardare al cattolicesimo più favorevole alla modernizzazione, più vicino alla nuova entità nazionale, dimenticando l'intransigenza e la separazione che hanno segnato - se pure con intensità diversa - gli anni che vanno dall'Unità alla prima guerra mondiale.
Ma nel frattempo la storiografia cattolica, spesso anche interna alle stesse congregazioni religiose, ha avviato un interessante allargamento degli studi alla storia delle congregazioni di vita attiva nate nell'Ottocento, protagoniste di importanti interventi sociali nell'Italia appena riunificata, che hanno permesso di guardare al problema da un punto di visto più informale e positivo di quello del rapporto fra le istituzioni. Inoltre, negli ultimi decenni, è nata anche una storiografia cattolica tesa a recuperare in positivo le ragioni dell'intransigenza, descrivendo però il processo unitario in modo piuttosto unilaterale e negativo, cioè come una dura e violenta sopraffazione delle ragioni della Chiesa e dei cattolici da parte del nuovo Regno. Non si deve dimenticare, però, che il contributo di questo gruppo di storici è stato determinante per riaprire il dibattito e far conoscere la realtà di un processo storico in gran parte rimosso.
Certo, nei confronti della Chiesa lo Stato sabaudo fu ingiusto e prevaricatore, negandole la libertà proprio quando la concedeva a tutti, ma oggi studi recenti offrono la possibilità di una nuova sintesi interpretativa più equilibrata, come quella avviata da Andrea Riccardi, che pure ha riconosciuto che "l'intransigenza è stata qualcosa di più che una serie di battaglie contro nemici esterni: ha realizzato una ricomposizione profonda della Chiesa dopo la sua emarginazione dai quadri istituzionali". La Chiesa si ricentra su Roma e sul papato, e così si ricostruisce e si rafforza in una dimensione mondiale invece di spezzarsi in segmenti nazionali.
Quasi sempre, questi studi hanno mantenuto una prospettiva strettamente nazionale, senza prendere in considerazione il fatto che la costituzione del nuovo Regno d'Italia, con la fine del potere temporale della Chiesa, ha determinato un cambiamento sostanziale di una istituzione universale, che avrebbe poi coinvolto, nel giro di pochi anni, il cattolicesimo mondiale.
In sostanza, si può affermare che lo stretto legame fra Italia e sede del Papa provocò un positivo effetto di modernizzazione e di spiritualizzazione della struttura ecclesiastica che ebbe benefici effetti sullo stato del cattolicesimo nel mondo. Un vero esempio di eterogenesi dei fini, dal momento che i molti nemici della Chiesa pensavano invece che, privata del potere temporale, la Chiesa sarebbe scomparsa.
Non è un caso che, nell'Inghilterra dell'inizio Novecento, esca per la penna di Robert Benson, intellettuale anglicano appena convertitosi al cattolicesimo, un romanzo che si può definire di fantascienza religiosa dove si immagina che Roma sia rimasta sotto il dominio del Papa, in un'Italia unificata. Il protagonista, un sacerdote cattolico inglese, arriva a Roma e la trova ferma a vent'anni prima: "Il mondo aveva camminato molto: ma Roma non si era mossa". Questa volontà di rimanere impermeabile alla modernizzazione sembra essere la condizione, secondo l'autore, per il mantenimento di una tradizione a cui lui stesso aderisce.
La storia ci insegna invece che non furono indispensabili queste condizioni per mantenere la trasmissione della tradizione cattolica, dal momento che tanto male si è volto in bene, nel giro di pochi decenni. Ma questo è accaduto anche perché, pure all'interno della Chiesa, i punti di vista erano molti e diversi tra loro, e c'erano cattolici pronti a cogliere anche la perdita di beni e di poteri come un'occasione per riformare la vita religiosa. E fra costoro, come vedremo, un posto particolare lo ebbero le donne.
Senza dubbio, a confermare l'interpretazione più pessimista circa le intenzioni distruttive dello Stato italiano nei confronti della Chiesa sono state le leggi di espropriazione delle proprietà ecclesiastiche, che però, proprio mentre sembravano distruggere la Chiesa, hanno contribuito a rinnovare la vita religiosa. E che il risultato finale fosse poi stato ben diverso da quello che si proponevano gli anticlericali fautori delle leggi lo rivela Crispi, in un discorso tenuto alla Camera nel 1895, in cui presenta i risultati di un'inchiesta sulle associazioni religiose: "Il movimento religioso è tale da doversi impensierire (...). In Francia le congregazioni religiose sono attualmente aumentate e vanno al di là di quante erano nel 1789; hanno rifatto la manomorta e la stanno rifacendo in Italia (...). La legge del 1866 e quella del 1873 per la soppressione delle corporazioni religiose furono impotenti. Noi abbiano negato alle corporazioni religiose la personalità giuridica, ma non abbiamo impedito alle medesime di potersi raccogliere. E si sono raccolte; e possiedono più liberamente di quello che possedevano prima del 1866 e del 1873".
Il risultato della politica economica antiecclesiastica, alla fine, fu poi una sorta di compromesso che permise alle congregazioni di vivere, rinnovando le loro forme di vita. Ed è importante sottolineare che "le leggi del 1866 e del 1873 non soppressero alcun Ordine religioso e nessun Ordine religioso scomparve a seguito di esse".
Le pressioni a ridurre la Chiesa all'interno del diritto comune, mettendo fine ai suoi privilegi, che non trovano voce esplicita nello Statuto albertino del 1848, sfoceranno invece nel 1850 nelle leggi Siccardi: la prima era rivolta a sopprimere l'autonomia del foro ecclesiastico, togliendo ogni privilegio al clero, e indirizzando così la legislazione successiva sulla strada dell'uguaglianza dei culti; la seconda invece toccava proprio la proprietà ecclesiastica, con l'intento di limitare la concentrazione di beni nella cosiddetta manomorta. Ma la legge più rilevante fu quella, presentata da Cavour e da Rattazzi, del 1854, oggetto di discussione intensa nel Parlamento: con questo provvedimento cessavano di esistere, quali enti morali, le case degli Ordini religiosi, tranne quelli socialmente utili. Gli Ordini soppressi furono 21 maschili e 13 femminili, per un complesso di 335 case e 5.489 persone nei soli Stati sardi. I beni incamerati, per il momento, furono mantenuti all'interno dei bisogni religiosi, ma ciò nonostante fu forte l'opposizione dei cittadini piemontesi: di loro infatti 69.000 firmarono una petizione contraria alla legge, un numero ben superiore a quello dei votanti.
In sostanza, il Piemonte cattolico aveva pagato questo prezzo all'anticlericale Rattazzi per trovare un punto in comune fra gruppi politici estremamente eterogenei che condividevano solo il desiderio di unificare la penisola e di darle un'autonomia politica dai Paesi stranieri: monarchici, repubblicani, liberali di destra e di sinistra, esuli politici di tutti gli Stati italiani che erano stati accolti in Piemonte. Questa scelta assicurava anche al Piemonte l'alleanza della classe politica inglese, americana, tedesca, di parte del Belgio e dell'imperatore Napoleone III. "Fu, dunque, la difficile gestione del rapporto con il movimento moderato del resto d'Italia e poi con Garibaldi e i democratici - ancora una volta i problemi della strategia principale di Cavour - a dominare il campo; e il problema del rapporto con la Chiesa ne restò, tutto sommato, strumento tattico, come era stato - secondo la nostra interpretazione - in partenza. È forse uno di quei casi in cui la creazione politica avviene a spese dell'aggravamento di problemi di cui dovranno farsi carico le generazioni future" scrive Cafagna.
Dopo l'unificazione, la legge piemontese di eversione dei beni ecclesiastici venne subito applicata al resto della penisola, mentre il Codice civile dichiarava che "i beni degli istituti ecclesiastici sono soggetti alle leggi civili". Il Sillabo - che segna l'inevitabile inasprirsi dei rapporti con il pontefice - ribadisce invece la tesi opposta, cioè la piena autonomia della Chiesa dal potere civile e il diritto di questa di acquistare e possedere.
La crisi finanziaria in cui versava il nuovo Stato, unito all'inasprirsi dei rapporti con la Chiesa, costituì quindi il terreno favorevole alla promulgazione delle leggi del 1866-1867, che negavano alle organizzazioni religiose la personalità giuridica, cioè la possibilità di possedere dei beni.
Nonostante questi provvedimenti drastici, che segnarono una forte diminuzione del numero dei religiosi, il mondo monastico e conventuale italiano sopravvisse, purificandosi e modernizzandosi.
L'espropriazione ebbe conseguenze soprattutto dal punto di vista amministrativo: gli istituti religiosi, infatti, cercarono di utilizzare al massimo le possibilità offerte dalle leggi civili per garantire la propria sussistenza e le proprie opere. Molti tentarono di salvarsi, optando per diverse soluzioni: "O intestando i beni a singoli religiosi o religiose, o costituendo società tontinarie - come fece don Bosco - cioè intestavano i beni a un gruppo di persone, il cui numero poteva essere sempre ricostituito, con il vantaggio di pagare meno al momento della successione. O vendendo gli immobili a secolari ed ecclesiastici di loro fiducia, oppure fondando società immobiliari, società per azioni, società cooperative, o chiedendo l'approvazione civile come enti morali". Per operare queste strategie di sopravvivenza, i religiosi - in quanto fortemente limitati nelle loro attività economiche dal diritto canonico - avevano bisogno di apposite dispense, che la Santa Sede concesse rapidamente. In sostanza, alle congregazioni religiose fu chiesto un intervento nuovo, una rottura con la tradizione che rivelò spesso anche positivi effetti di modernizzazione.
Ma la via più moderna, battuta da molti istituti, fu quella della creazione di società anonime per azioni: la prima fu quella del Pontificio istituto missioni estere di Milano, nel 1866, e nello stesso anno la Società educativa delle Marcelline, di cui veniva nominata direttrice Marina Videmari, la fondatrice, che rimase in vita fino al 1940. Seguirono questa strada anche le suore di Carità fondate da Bartolomea Capitanio e Vincenza Gerosa, che costituirono l'associazione civile Sorelle della Carità in Milano. E l'elenco delle nuove società è lungo: Società anonima San Giuseppe, Società anonima San Pietro, Società anonima proprietà fondiarie, Istituto ligure dei beni stabili, Società ligure-emiliana di beni immobili, Società anonima per azioni San Paolo, La Immobiliare Valtellinese, e così via. Denominazioni che congiungono il nome di un santo antico con la moderna finanza capitalistica, creando spesso uno strano effetto di mescolanza di sacro e profano. Si tratta dunque di una forte spinta alla modernizzazione amministrativa, che conobbe parecchi successi, come cogliamo subito dal susseguirsi di nomi che ancora oggi ci richiamano l'esistenza di fiorenti società finanziarie.
A fine Ottocento, le innovazioni nella vita e nell'impegno religioso cominciano a coinvolgere anche le regioni meridionali. Un esempio interessante di questa commistione fra pietà popolare antica e nuove forme di vita religiosa assistenziale sviluppatosi negli ultimi decenni dell'Ottocento fu l'avvocato napoletano Bartolo Longo, a cui si deve l'"invenzione" di una nuova devozione di grande e duraturo successo - quella alla Madonna di Pompei, dove costruì un santuario - che seppe diffondere in tutta Italia, anche presso gli emigrati, con nuovi sistemi di diffusione per mezzo stampa, spedendo cioè a moltissimi nominativi, anche sconosciuti, libretti di preghiera e pubblicazioni del santuario. Accanto a questa opera devozionale, Longo volle realizzare istituti caritativi finalizzati sia all'educazione dei ragazzi della valle di Pompei sia all'educazione dei figli dei carcerati.
Longo costruisce la sua impresa seguendo le orme di don Bosco, che si reca visitare a Torino nel 1885, per capire, nel corso del breve colloquio, come aveva fatto a "conquistare il mondo". La tradizione narra che il prete torinese gli avrebbe risposto "mando il mio giornale a chi lo vuole e a chi non lo vuole" e Bartolo Longo, così, avrebbe capito che "la forza propulsiva della sua grande idea di fede e di carità" doveva essere la stampa periodica, "diffusa più ampiamente possibile e inviata anche a coloro che non pagavano".
Significava superare modi di comportarsi tipici del cattolicesimo della restaurazione, ma anche usi collaudati nel mercato librario e giornalistico, e sperimentare un nuovo tipo di utilizzazione della stampa periodica. "In altre parole - scrive Stella, biografo di don Bosco - don Bosco aveva capito l'importanza dell'opinione pubblica in un mondo che elevava i propri livelli d'istruzione e ch'era traversato dai messaggi più diversi mediante la stampa. In chiave economica aveva capito l'importanza dell'investimento di capitali a scopo di propaganda, di consenso e di ulteriore sicura mobilitazione di capitali in favore di opere di cui si faceva percepire il bisogno e l'utilità".
Come il "Bollettino salesiano", che rifletteva l'euforia di una impresa attiva e in espansione, così Longo ottenne analogo successo con il proprio periodico "Il Rosario e la Nuova Pompei", conquistando offerte per le sue opere di assistenza, prima locali, poi rivolte ai figli dei carcerati di tutta la penisola con un'opera che mirava, oltre all'assistenza dei figli, anche alla conversione dei genitori.
Anche l'iniziativa di Longo aveva una forte valenza culturale intransigente: gli scienziati positivisti della Scuola antropologica criminale sostenevano l'"impossibilità di educare i nati delinquenti", e lo accusarono di creare a Pompei "un covo di belve", usando per di più metodi educativi inadeguati, se non addirittura dannosi.
Bartolo Longo rispose proponendo i suoi come "sperimenti di fatto" che avrebbero negato l'atavismo e l'innata delinquenza, a favore della libertà dell'essere umano. Molto simile fu la risposta che don Bosco diede nei fatti a chi, come Darwin, sosteneva che gli indigeni della Patagonia fossero più simili alle bestie che agli umani, mandando i suoi missionari a convertirli e quindi a trasformarli in persone civili.
Si possono senza dubbio trovare molti elementi comuni fra i due benefattori: sia don Bosco che Longo erano promotori di santuari mariani, additavano ai fedeli la Madre di Dio come aiuto ai cristiani in ogni momento della vita, e si proponevano di affiancarle opere di assistenza rivolte alla gioventù povera, ma una certa differenza era segnata anche dal differente livello di alfabetizzazione fra il Piemonte e la Campania. Anche l'avvocato meridionale, però, dovette affrontare il problema di come collocare le sue opere all'interno dei sistemi politici e giuridici dell'epoca liberale, proponendosi come unico responsabile legale.
Fra i cambiamenti nella direzione della modernizzazione provocati dall'eversione dei beni ecclesiastici il più vistoso - e forse inaspettato - fu, senza dubbio, quello delle religiose che, fino all'Ottocento, erano state costrette dal concilio di Trento alla clausura.
Dopo la Rivoluzione francese, e la conseguente brusca interruzione della continuità secolare nella vita dei monasteri, la ripresa della vita religiosa femminile era infatti avvenuta in modo nuovo: le comunità nascevano per iniziativa di una candidata alla vita religiosa - quasi mai per desiderio di un fondatore esterno - ed escludevano la clausura e la perennità dei voti. Questo nuovo corso fu rafforzato dalle leggi di soppressione del Regno sabaudo, che comportarono la chiusura di 527 case femminili di clausura su un totale di 9.700; rimasero in vita quelle in cui le religiose svolgevano compiti di assistenza sociale. In questa fase di mutamento, durante la quale cominciò a manifestarsi un calo delle vocazioni maschili a cui corrispose un notevole aumento di quelle femminili, le religiose svolsero un ruolo particolarmente importante: fra il 1801 e il 1973 furono fondati quasi 350 nuovi istituti, di cui ben 185 nell'Ottocento e 162 nel Novecento. Norma pressoché comune di questi nuovi istituti fu la temporalità dei voti e la possibilità di conservare la proprietà dei beni, che fu chiamata "povertà semplice".
Le gerarchie ecclesiastiche hanno guardato a questo sviluppo con molto sospetto. Le primissime fondatrici, infatti, si appoggiavano sempre a un sacerdote, fingendo che egli fosse il fondatore o cofondatore, consapevoli che l'istituzione ecclesiastica non avrebbe mai accettato una fondazione solo femminile. Soprattutto, la gerarchia non accettava che ci fossero superiore generali sempre in viaggio, che cioè si comportavano come i superiori degli istituti maschili.
Le badesse, naturalmente, c'erano sempre state, ma appunto in un monastero, cioè stanziali, mentre la superiora generale di una congregazione di vita attiva, invece, doveva visitare tutti gli istituti e quindi viaggiare. Quando le suore parlavano di superiore generali, la Santa Sede rispondeva che, poiché le donne non potevano viaggiare, non poteva esistere una superiora donna. Contro questa tendenza ha combattuto una battaglia vittoriosa Teresa Eustochio Verzeri (1801-1852), nobildonna bergamasca che nel 1830 aveva fondato, dopo molte vicissitudini e con l'appoggio del canonico Benaglio, le Figlie del Sacro Cuore di Gesù, che realizzarono in pochi decenni una vera e propria catena di scuole inferiori e magistrali per le ragazze.
Teresa, di nobile famiglia, è stata una delle più ardenti fautrici dell'autonomia economica e organizzativa delle nuove congregazioni: è la prima fondatrice a chiedere esplicitamente la centralizzazione dei beni dell'istituto e la loro amministrazione diretta - "per quanto possibile", scrive, le donne "facciano da sé" - da parte della superiora generale, figura nuova e ancora molto controversa all'interno della Chiesa. L'intensa vita spirituale, testimoniata dai suoi numerosi scritti, non le impedisce di occuparsi con successo della gestione economica delle sue case e della loro espansione.
Le prime a richiedere di potersi organizzare con una superiora generale erano state, nel 1839, le suore della Carità di Lovere, che avevano incontrato in proposito un netto rifiuto. La Santa Sede temeva di diminuire l'autorità del vescovo, e mostrava preoccupazione per i viaggi che le superiore avrebbero necessariamente dovuto compiere per recarsi da un istituto all'altro. La Verzeri però procedette lo stesso nella sua richiesta, sicura del suo progetto - "questa libertà non è soltanto utile, è necessaria", scrive al Papa - forte anche dell'appoggio della sua famiglia di provenienza.
La nobile bergamasca avanzò così la richiesta direttamente a Pio IX nel 1847, dicendo che si trattava in realtà di un potere domestico, interno alla comunità, e riuscì a ottenere l'assenso, ma solo per il suo caso specifico. Però, rendendosi conto che il decreto di approvazione delle costituzioni del suo istituto non faceva menzione dell'abolizione della Quamvis justo - la costituzione di Benedetto XIV che impediva la superiora generale - la fondatrice non esitò a intervenire nuovamente presso la Curia romana, ottenendo che il breve pontificio contenesse quanto esplicitamente approvato, in modo che la possibilità di essere governate da una superiora generale fosse esteso a tutte le congregazioni femminili.
Volendo trarre qualche conclusione, che l'Italia fosse innanzi tutto una terra cattolica lo conferma il fatto che i due principali libri dell'Ottocento - prima di arrivare al libro Cuore di Edmondo De Amicis uscito nel 1886 - cioè Le mie prigioni e I promessi sposi, usciti nello stesso anno, 1832, siano due libri fortemente cattolici come i loro autori, Silvio Pellico e Alessandro Manzoni, entrambi convertiti dal liberalismo agnostico al cattolicesimo. In entrambe le opere, le ragioni della decadenza italiana seguita alle glorie del Rinascimento vengono spiegate con il dominio straniero, e questo costituirà un paradigma interpretativo condiviso almeno fino alle sconfitte delle rivoluzioni del 1848.
In realtà un'anticipazione delle polemiche anticattoliche risorgimentali era stata fatta dallo storico ed economista svizzero protestante Sismonde de Sismondi, autore di una Storia delle repubbliche italiane nel medioevo (1818), che aveva sostenuto che all'origine della decadenza italiana, della corruzione e superstizione delle sue plebi, stava la morale cattolica. Alessandro Manzoni, su suggerimento di Luigi Tosi, nel 1819 aveva confutato questi argomenti con il pacato ragionamento delle sue Osservazioni sopra la morale cattolica. Ma soprattutto dopo il 1848 - dopo cioè la fine del progetto neoguelfo - nella individuazione delle cause che avevano fino a quel momento impedito il formarsi di uno Stato nazione la presenza dello straniero viene sostituita o affiancata sistematicamente da quella della Chiesa.
I cattolici italiani infatti sono messi sul banco degli imputati non solo per la marcia indietro di Pio IX nei confronti della prima guerra d'indipendenza, ma soprattutto come responsabili dell'arretratezza culturale e sociale del Paese: in una caccia di tutto quello che risulta estraneo ad un rigido parametro di modernità razionalistica, ambito nel quale viene compresa anche la Riforma protestante, viene attribuita "alla Chiesa la responsabilità di aver tenuto lontano le masse dal progresso e dalla modernità".
La cultura cattolica fa infatti molta fatica ad accettare il liberalismo, che consiste, ai suoi occhi, nel mettere l'errore e la verità sullo stesso piano, mettendo in pericolo la fede e l'anima dei meno culturalmente preparati. Proprio contro questa libertà, che viene percepita come una pericolosa confusione, si muove con creatività e coraggio la cultura intransigente. Tipico esempio ben riuscito di mobilitazione intransigente sono le attività editoriali di don Bosco, e in particolare i libretti inseriti in una collana periodica iniziata nel 1853 con il titolo Letture cattoliche, libretti modesti di prezzo molto accessibile, volevano essere di lettura amena con apertura ai problemi sociali e naturalmente fondate su una ortodossa morale cattolica. Già dopo il 1870 avevano oltrepassato la tiratura di dodicimila copie, ed erano servite da modelli ad altri periodici pubblicati altrove con lo stesso titolo.
L'interesse per la stampa, intesa come impresa moderna, capitalistica, era centrale nel progetto di don Bosco, come dimostra la partecipazione dei salesiani all'esposizione universale di Torino del 1884, in cui trovava posto un padiglione dove essi avevano rappresentato tutto il ciclo della produzione libraria - dalla fabbricazione della carta fino alla stampa, alla legatoria e al banco vendita - con l'intento di presentarsi all'avanguardia del progresso.
Ma il più profondo cambiamento che si è impresso nell'Ottocento all'interno della cultura cattolica è stato proprio nel modo di essere e sentirsi cattolici: l'identità di appartenenza non è più determinata da nascita e tradizione, ma si basa su una "appartenenza sempre più consapevole", e la presenza cattolica in Italia si fa così un'alterità sempre più consapevole, migliorando quindi di qualità.
Se si vuole tentare un bilancio del conflitto scatenatosi fra Stato e Chiesa in occasione dell'unificazione del Paese dopo 150 anni, si può concludere che, nonostante indubbie violenze e prevaricazioni nei confronti della Chiesa e dei cattolici, la Chiesa non è stata indebolita da questa battaglia, ma ne è uscita più forte e purificata, e anche fortemente modernizzata, processo che era inevitabile e che trovava però molte difficoltà a essere accettato al suo interno. Un caso particolarmente significativo è quello delle religiose che, proprio a causa dell'eversione dei beni ecclesiastici, ottengono finalmente la possibilità di agire in campo sociale, dimostrando capacità e creatività tali da cambiare il posto delle donne nella Chiesa - basti pensare che quasi tutte le sante sono state canonizzate dopo l'Ottocento - e da proporre un modello interessante di emancipazione femminile: non attraverso la rivendicazione dei diritti, ma assumendosi le responsabilità e dimostrando di essere in grado di sostenerle.
Rimane comunque sempre aperto il problema che questa positiva metamorfosi è avvenuta sotto costrizione esterna, e non possiamo fare a meno di domandarci: "Perché la Chiesa del tempo subì anziché provocare essa stessa un mutamento che, alla lunga, si rivelò un guadagno? Perché non rinunciò essa stessa allo Stato temporale che già in occasione della guerra federale del 1848 era apparso un peso e una contraddizione?". Possiamo rispondere con le parole di Romanato che questo è un "nodo difficile e sempre riaffiorante del rapporto della Chiesa con il tempo e la storia, una storia che essa vorrebbe dominare e dalla quale invece, non infrequentemente, è dominata; e non sempre, aggiungo, ricevendone un danno".
(©L'Osservatore Romano 21-22 marzo 2011)
[Index] | [Top] | [Home] |
Nessun commento:
Posta un commento
Nota. Solo i membri di questo blog possono postare un commento.